VENERABILE CECILIA EUSEPI
Una
nuova beata davvero “buona a nulla”, o almeno così si riteneva la diciottenne
Cecilia Eusepi, beatificata lo scorso 17 giugno, nel viterbese. Eppure, nella
storia di questo “pagliaccio, mezzo grullo, buono a nulla”, la Chiesa ha trovato i segni
di una straordinaria santità nell’ordinario, da ritenere di poterla proporre a
modello di perfezione laicale. D’altronde, lei stessa è perfettamente
convinta che “la santità non consiste nella grandezza e straordinarietà delle opere,
quella santità non è da tutti, ma bensì nel fare tutte le nostre azioni
ordinarie, anche minime, allo scopo unico di piacere a Gesù". Il che è
precisamente quanto lei ha cercato di fare. Nasce il 17 febbraio 1910 a Monte Romano,
Viterbo, undicesima figlia di un semplice contadino che ad un mese e mezzo la
lascia orfana. Insieme alla mamma va ad abitare a Nepi, in una tenuta dei duchi
Lante della Rovere di cui è fattore uno zio e che si prende tanto a cuore
l’istruzione della nipote da metterla a studiare dalle suore cistercensi. Per
lei è una provvidenza, perché intelligente com’è e con l’inclinazione alle cose
di chiesa che si ritrova, il monastero è il posto ideale. Se ne accorgono anche
le monache, che, se lei volesse, l’accoglierebbero volentieri da loro. Ma lei
non ci pensa, o meglio pensa ad altro: si innamora della piccola Teresa di
Lisieux e della sua strada “piccola” per arrivare alla santità, si sente
fraternamente vicina a San Gabriele dell’Addolorata, soprattutto si sente
attratta dalla vita che si svolge in parrocchia, tenuta dai Servi di Maria.
Dalla spiritualità di questi ultimi si lascia, anzi, contagiare al punto da
chiedere di entrare ad appena 12 anni nel Terz’Ordine dei Serviti e,
contemporaneamente, aderisce all’Azione Cattolica, affascinata dagli ideali di
“Eucaristia, purezza e apostolato” che questa propone. E proprio
nell’apostolato si distingue, malgrado la giovane età e la salute fragile,
impegnandosi nella catechesi insieme alle sue compagne e animando la vita
parrocchiale . Per lei, l’anno successivo, il vescovo fa un’eccezione,
permettendole di entrare, non ancora quattordicenne come postulante tra le
Suore Mantellate Serve di Maria: sono in tanti ad intuire che questa ragazzina
ha la stoffa di santa e sta bruciando tutte le tappe, quasi avesse il
presentimento di una vita breve. Tutti si mettono di traverso, a cominciare
dallo zio, sulla strada della sua vocazione, per via della salute delicata e
delle sue frequenti indisposizioni, consigliandole di restare a casa. Hanno
ragione loro: dopo neanche tre anni è la malattia, precisamente la tubercolosi
intestinale, a sabotare tutti i suoi sogni ed a costringerla a fare
ritorno a casa per i suoi ultimi due anni di vita. Ed è qui, invece, che
sboccia la vera Cecilia, quella che si offre interamente a Gesù e che,
prendendo coscienza di essere “il piccolo niente di Dio”, impara a poco a poco
a lasciar “agire Dio” in lei e nella sua sofferenza. Alla scuola di Teresa di
Lisieux, che proprio in quegli anni viene beatificata e poi canonizzata, fa il
proposito di “giungere a Gesù per un piccolo sentiero, breve, molto breve,
tracciatomi dalla piccola Teresa”. Da lei impara anche a fare della sua
vita un’offerta continua, in adorazione a Dio, in espiazione dei peccati del
mondo, per il trionfo di Gesù in tutti i cuori, soprattutto per le missioni
dove sarebbe andata di corsa se soltanto avesse avuto salute sufficiente.
Mentre la malattia devasta il suo povero corpo ed è perseguitata da calunnie e
maldicenze, si sforza di restare in uno stato di preghiera continua: “tutti i
palpiti del mio cuore, i battiti del mio polso, i miei respiri, intendo siano
tanti atti d’amore”; ma intanto non le viene risparmiata anche la “notte dello
spirito”, nella quale non sente la presenza di Gesù e tutto le sembra arido e
spento. Per obbedienza al suo confessore scrive un diario in cui racconta
la sua straordinaria esperienza della misericordia divina ed in cui lascia
intravedere il grado di intimità raggiunto con Dio: un piccolo quadernetto, che
insieme ad alcune lettere è tutto quello che oggi resta di lei. “Mi costa cara
l’offerta che ho fatto, ma sono felice di averla fatta. Se rinascessi, la farei
di nuovo”, la sentono esclamare ad inizio settembre 1928. la malattia l’ha
inchiodata nel letto, soffre terribilmente, eppure continua a ripetere: “È
bello darsi a Gesù che si è dato tutto a noi”. “Adesso, ho dato proprio tutto a
Gesù!, le sentono sussurrare un giorno: i suoi occhi si chiudono dolcemente
mentre sta per spuntare l’alba del 1° ottobre.
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