DON ANDREA SANTORO
Andrea Santoro nasce nel 1945 a
Priverno (Latina), in una famiglia operaia, che nel 1955 si trasferisce a Roma,
nel quartiere Quadraro. Nel 1970 è ordinato prete e vive le sue prime
esperienze pastorali nel degrado del quartiere Casilino e poi in quello di
Monteverde, nella parrocchia della Trasfigurazione, che è un vero laboratorio
di sperimentazione ecclesiale dove affina e irrobustisce il suo stile di prete
di frontiera, radicato nella preghiera, illuminato dalla Parola e impegnato nel
sociale. Quandosul finire degli Anni Settanta gli prospettano un incarico da
parroco, chiede ed ottiene un periodo sabbatico, che trascorre in Terra Santa,
per cercare “una vicinanza con Dio là dove Dio aveva cercato una vicinanza con
noi”. Raggiunto il Medio Oriente con un viaggio in autostop, vive sei mesi
spiritualmente molto intensi, sulle tracce di Cristo e con prolungate soste in
comunità monastiche.
A settembre 1981 gli affidano la
parrocchia di recente costituzione, nel quartiere di Verderocca: in fondo, è un
po’ venire incontro al suo stile missionario di fare il prete, perché si tratta
di una comunità che non ha strutture e neppure una chiesa e don Andrea vive in
un appartamento, incontra la gente per strada, la visita in casa, deve cercare
spazi condominiali e strutture pubbliche per la celebrazione dell’Eucaristia.
Nel 1994, dopo altri cinque mesi in Medio Oriente a ricaricare le “batterie”
seguendo i passi delle prime comunità, è destinato alla parrocchia dei Santi
Venanzio e Filippo, vicino al Laterano, dove accanto alla sua consueta
particolare sensibilità verso i più bisognosi, il suo stile pastorale si colora
di ecumenismo e di dialogo interreligioso: sono i frutti dei suoi soggiorni in
Medio Oriente e sono anche indice della sua crescente sete di partire per la
missione che i superiori sembrano non capire o che comunque tardano ad
esaudire.
Solo nel 2000, cioè a 55 anni
suonati, il cardinal Ruini gli permette
di andare per un triennio in Anatolia come sacerdote fidei donum. Prima di
partire fonda l'associazione “Finestra per il Medioriente”, per creare un
legame tra la sua diocesi di appartenenza e quella in Turchia, cui si sente
inviato. Prima vaadUrfa, nel sud est del paese, ai confini con la Siria, dove
rimane tre anni come presenza orante e silenziosa: lì non c’è neppure un
cristiano e tuttavia riesce a farsi benvolere da tutti, persino dall’imam della
moschea vicina. Ha ben chiaro, nella testa e nel cuore, di essere lì “non per
convertire ma per convertirsi, come confida agli amici di Roma: “mi sono
guardato intorno, ho pregato…, ho intessuto piccoli quotidiani rapporti con i
vicini di casa, con i mille piccoli negozianti delle mille piccole botteghe,
imparando a salutare, a rispondere alle tante domande, a chiedere informazioni;
ho imparato a voler bene, come segno fondamentale della presenza di Cristo, a
voler bene gratuitamente senza nulla aspettarmi, a voler bene ad ogni persona
così come è, come è vista ed amata da Dio”.
E’ lo stesso stile che adotta quando
gli chiedono di trasferirsi al nord, a Trabzon, Trebisonda: una città di
duecentomila abitanti, con una comunità cattolica di appena 15 persone, una più
folta comunità ortodossa sparsa per la città, un’emigrazione femminile
caratterizzata dalla prostituzione e dallo sfruttamento. “Tienici uniti nella
nostra diversità: non così uniti da spegnere la diversità, non così diversi da
soffocare l’unità” diventa la sua preghiera costante, mentre si esercita nella
“liturgia della porta”: aprire, sorridere, salutare, rispondere, ma anche prendere
posizione, per strappare dalla prostituzione quelle schiere di donne, perlopiù
armene e georgiane.“Cerco di essere la presenza, per quanto povera e
inadeguata, di Gesù . Cerco di essere, insieme a quei pochi che si riconoscono
in Gesù, un piccolo virgulto di Chiesa. Cerco di essere una piccola finestra di
luce”.
È forse in questa sua azione di
contrasto alla prostituzione, o più semplicemente nel fanatismo fomentato in
quei giorni dalla pubblicazione di alcune vignette blasfeme su un giornale
danese, che matura la decisione di eliminare quel prete scomodo, che in
silenzio sta creando ponti tra le religioni. Se ne incarica un ragazzo di
appena 16 anni, imbottito di odio da fanatici predicatori, che il 5 febbraio
2006 lo uccide con alcuni colpi di pistola, mentre don Andrea è inginocchiato
in chiesa, assorto in preghiera. Nella convinzione che sia un testimone della
fede fino al dono della vita, la Chiesa di Roma ha dato avvio nel 2011 al suo
processo di canonizzazione.
Commenti
Posta un commento