SERVO DI ROLANDO RIVI
Nella primavera del
1977, preparando l’esame di abilitazione in filosofia, mi imbattei in un libro
di Mino Martelli, Una guerra, due resistenze (Ed. Paoline, Alba, 1976), che,
tra l’altro, narrava la storia di un seminarista di Reggio Emilia, ucciso dai
partigiani comunisti. Immaginai subito che doveva essere un ragazzo esemplare –
Rolando Rivi, questo il suo nome – che meritava di conoscere più a fondo, e mi
proposi, una volta terminati i miei studi di allora, di occuparmene per saperne
di più.
A scuola presi a narrare
di Rolando ai miei allievi che ne rimanevano commossi e pensosi. Finalmente nel
1991, cominciai a muovermi e mi trovai presto a contatto di persone che lo
avevano conosciuto assai da vicino: alcuni suoi compagni di Seminario, i suoi
maestri, alcuni familiari, persino il suo papà. La figura di Rolando apparve ai
miei occhi in tutta la sua bellezza e il suo fascino singolare.
Un uomo appassionato
Seppi che il suo papà si
chiamava Roberto Rivi ed era nato a S. Valentino di Castellarano (Reggio
Emilia), il 30 ottobre 1903, primo di numerosi fratelli. Crebbe, alla scuola di
mamma Anna, una donna di fede ardente, a pregare ogni giorno la Madonna con il
Rosario e a incontrare tutte le domeniche Gesù nella S. Messa e Comunione. La
sua guida era il parroco don Jemmi.
Dopo le elementari,
Roberto rimase a casa a lavorare la campagna e a testimoniare la fede cristiana
tra la sua gente. A 20 anni, prestò servizio militare, passando anche alcuni
mesi a Zara, nell’Istria, assai lontano da casa, vivendo in ambienti difficili,
sempre in fedeltà a Gesù, a costo di qualsiasi sacrificio.
A metà degli anni ’20,
era rientrato in famiglia a S. Valentino, proprio nel periodo in cui la Chiesa,
guidata da Papa Pio XI, organizzava la gioventù nell’Azione Cattolica: anche
Roberto fece parte di quei giovani appassionati. Ogni giorno, con la mamma
Anna, partecipava alla Messa con la Comunione. Lo farà sino all’ultimo giorno
della sua vita, preparandosi alla Comunione quotidiana con la Confessione settimanale
e la preghiera personale.
Ventiquattrenne, Roberto
aveva incontrato Albertina e la sposò, deciso a farsi una famiglia, che avesse
come centro Gesù, Luce, Amore e Guida.
Quindi erano venuti i
figli che furono la sua più grande gioia.
Il piccolo chiamato
Il 7 gennaio 1931, gli
nacque Rolando che si dimostrò subito un figlio speciale. A 5 anni, il piccolo
già serviva la Messa al parroco don Olinto Marzocchini, e si vedeva che gli
piaceva proprio stare in chiesa a pregare e a cantare le lodi del Signore.
Nella festa del Corpus
Domini, 16 giugno 1938, Rolandino ricevette la I Comunione e fu davvero per lui
festa umile e solenne: Gesù diventava il suo intimo Amico. A scuola, guidato
dalla maestra Clotilde Selmi, giovane donne dalla Comunione quotidiana, preparata
e tutta dedita alla sua missione di educatrice cristiana, seppe dare buoni
risultati: sostenuto da una vivace intelligenza, imparava con facilità e
aiutava volentieri i compagni.
Era generosissimo con i
poveri di passaggio ai quali donava con larghezza, dicendo: “La carità non
rende povero nessuno. Ogni povero per me è Gesù”. Il 24 giugno 1940, dal
Vescovo diocesano di Reggio Emilia, Mons. Edoardo Brettoni, Rolando ricevette
la Cresima. Si sentì ancora più obbligato con il Signore Gesù, “un soldato di
Cristo”, come allora si diceva, e prese forti impegni con Lui: la Messa e
Comunione quotidiana, la Confessione settimanale, il Rosario alla Madonna ogni
giorno, da solo e in famiglia.
I suoi piccoli amici del
borgo, Rolando cercava di portarli in chiesa, al catechismo, davanti al
Tabernacolo, per crescere nella fede e nell’amore al Signore. Papà Roberto si
chiedeva: “Chi mai sarà questo bambino?”. Rolando finì le elementari in modo
brillante. La maestra ricorderà sempre “i suoi occhi vivi, espressivi al
massimo, cui non sfuggiva nulla, la sua intuizione immediata, la logica serrata
dei suoi ragionamenti, la sua ottima memoria”.
A lui, però, ciò che più
importava, era il rapporto, intenso, sempre più intenso con Gesù. Il sacerdote
all’altare – don Narzocchini, sua guida e modello di vita – quando consacrava
il Pane e il Vino nella Messa, gli appariva grande da toccare il Cielo: “Perché
– si domandava – non avrebbe potuto essere come lui?”.
S. Pio X, il papa
dell’Eucaristia ai bambini in giovanissima età, un giorno previde: “Ci saranno
tanti ragazzi santi e tanti chiamati al sacerdozio, grazie a Gesù Eucaristico
adorato e santamente ricevuto da loro”.
Per tutta la prima metà
del secolo XX – e oltre – grazie a una pedagogia davvero eucaristica da parte
delle parrocchie e dell’Azione Cattolica, la “profezia” di S. Pio X si è
avverata largamente: lo scrivente, ricercatore di “santità giovane”, lo può
ampiamente documentare, appoggiandosi anche sulla testimonianza scientifica e
teologica di illustri Maestri della psicologia, del dogma e dell’ascetica
cristiana, quali P. Agostino Gemelli, P. Garrigou-Lagrange, il Card. Pietro
Palazzini (si veda il testo di L. Castano, Santità giovanile, LDC, Torino,
1989).
Ebbene, proprio
nell’ambito della profezia di S. Pio XII, Rolando Rivi, decenne, a contatto di
Gesù vivo nel Tabernacolo e del suo parroco don Marzocchini, vero “sacerdos
propter Eucaristiam”, sentì la voce di Gesù che lo chiamava alla santità e al
sacerdozio. A 11 anni, decise: “Voglio farmi prete. Papà, mamma, vado in
Seminario”.
Così all’inizio
dell’ottobre 1942, entrò in Seminario, a Marola (Reggio Emilia), vestendo
subito l’abito talare, come allora si usava. Studiava con serietà e, con la sua
bella voce, faceva parte del coro. Stava assai volentieri davanti all’Eucaristia,
appassionato sempre di più della sua vocazione, sentendosi un prediletto di
Dio.
A casa, in vacanza,
durante l’estate, continuava a vivere da seminarista, con fedeltà ai suoi
impegni, la Messa e la Comunione quotidiana, la meditazione al mattino, la
visita al SS.mo Sacramento e il Rosario alla Madonna, ogni sera, in una vita di
studio e di purezza, e facendo apostolato tra i compagni. Portava sempre con
orgoglio l’abito religioso, spiegando: “È il segno che io sono di Gesù”.
Suonava in chiesa
l’harmonium e accompagnava i cantori, tra i quali il suo ottimo papà, Roberto
Rivi, fiero di cantare con il suo “tesoro” che si preparava, più convinto che
mai, a diventare “un altro-Gesù” nel sacerdozio. Lo si vedeva spesso circondato
da piccoli amici, con i quali il discorso era caldo di luce e di amore: voleva
raccoglierli tutti attorno a Gesù, insegnare loro ad amarlo come Lui solo
merita di essere amato.
Giovanissimo martire
Ha testimoniato di lui
un suo compagno di Seminario, ora prete e parroco: “Rolando era vivace e svelto
in tutti i giochi, a pallone a pallavolo. Il campione della classe, della sua
camerata. Attentissimo a scuola, molto studioso, esemplare, innamoratissimo di
Gesù. Tutto in lui era superlativo. Si stava volentieri con lui: contagiava
gioia e ottimismo. Era l’immagine perfetta del ragazzo santo, ricco di ogni
virtù, portata nella vita quotidiana all’eroismo”.
Papà Roberto era
orgoglioso che il buon Dio gli avesse dato un figlio così e già pregustava la
gioia di vederlo sacerdote. Ma nel 1944, il Seminario, a causa della guerra, fu
chiuso. Rolando, rientrato in famiglia a S. Valentino, viveva, nonostante le
difficoltà, la sua stessa vita ardente e luminosa, intessuta di preghiera e di
studio, di amore intenso a Gesù Eucaristico, di pietà mariana.
Il momento era
difficilissmo, per le scorribande di tedeschi, fascisti e partigiani; l’odio
alla Chiesa e ai preti diffuso e rabbioso. Venne a sostituire il parroco, un
givoane curato, don Alberto Camellini. Rolando con i suoi amici seminaristi di
S. Valentino, diceva spesso: “Preghiamo per tornare al più presto in Seminario.
Quando sarò prete, partirò come missionario a portare Gesù a quelli che non lo
conoscono”.
Non temeva né derisione
né minacce – che non gli mancavano – segnato a dito, come “il pretino”. A chi
gli chiedeva di vestire come gli altri ragazzi, rispondeva: “Non posso lasciare
la mia veste: è il segno che io appartengo al Signore”.
Il 10 aprile 1945, finì
in mano a un gruppo di partigiani comunisti a Monchio (Modena). Lo portarono
nella loro base e lo processarono come un colpevole (colpevole della sequela
Christi!). Poi emisero la sentenza: “Uccidiamolo, avremo un prete in meno”. In
un bosco, presso Piane di Monchio, dopo averlo percosso e malmenato senza
pietà, gli scavarono la fossa… Mentre Rolando, inginocchiatosi, pregava il suo
Gesù per sé, per i suoi genitori, forse per gli stessi aguzzini, questi lo
presero a calci, poi, con due colpi di rivoltella al cuore e alla fronte, lo
finirono barbaramente.
Era il 13 aprile 1945, un
venerdì, quando Rolando Rivi, a 14 anni appena, fu freddato nel clima di odio
contro la Chiesa e i sacerdoti.
L’indomani, papà Roberto
e don Camellini ritrovarono il suo corpo martoriato. Sepolto provvisoriamente a
Monchio, un mese dopo, tornava a S. Valentino tra la sua gente in lacrime che
guardava a lui, come a un piccolo angelo, della razza dei martiri, uccisi dai
senza-Dio, dai primi secoli cristiani a quelli contemporanei della Russia, del
Messico e della Spagna. Sulla sua tomba, papà Roberto fece scrivere le parole
da lui composte: “Tu che dalle tenebre e dall’odio fosti spento, vivi nella
luce e pace di Cristo”.
Al di là dell’odio
Su quell’immane
tragedia, papà Roberto disse soltanto: “Perdono”. Era straziato, ma con la sua
fede grandissima riprese a vivere infondendo coraggio ai suoi e illuminando il
dolore con la preghiera incessante, sentendosi quasi chiamato a compiere il
bene al posto di Rolando.
Il martirio del figlio
seminarista lo spinse a fondo, a impegnarsi in prima persona, negli anni del
dopoguerra affinché l’Italia non cadesse sotto un’altra dittatura, e a
costruire una società cristiana. Nel tempo del conflitto, gli erano morti al
fronte, lontanissimo da casa, i due fratelli Rino e Adolfo, e in casa, la
sorella Lina. Negli anni che verranno, altri lutti e dolori proveranno la sua
forte tempra e la sua fede invincibile.
Stupiva chi lo
avvicinava, persino i sacerdoti che lo stimavano e ne amavano la compagnia, e
la sorella suora. “Con tutto quanto ha patito, come piò essere così forte e
sereno?”. La sua risposta era la Croce di Cristo. Così papà Roberto portava la
sua fede davanti a chiunque, sempre “uno con Gesù”: nella famiglia, nel lavoro,
nei rapporti sociali, nel modo di intendere le cose e le scelte quotidiane. Una
vera mentalità di fede, la sua, tradotta nelle opere, in semplicità e letizia.
Gli anni passavano e la
sua esistenza si faceva sempre più traboccante di preghiera: la Messa e la
Comunione quotidiana, in un colloquio prolungato con Gesù, per la Chiesa, per i
sacerdoti, per la conversione del mondo, fino al punto di riconoscere, con il
suo amico don Ugolini: “Io starei sempre davanti al Signore del Tabernacolo”.
La via Crucis diventò la
sua preghiera prediletta: la ripeteva anche sette volte al giorno, tenendo la
foto di Rolando tra le mani, ricordando al divino Sofferente i suoi familiari,
gli amici, i sacerdoti e… coloro che gli avevano fatto del male.
Il 22 ottobre 1992, a 89
anni, papà Roberto rivedeva il suo Rolando e i suoi cari che lo avevano
preceduto in Paradiso. Chi lo ha conosciuto di persona o semplicemente lo ha
sentito qualche volta per telefono è rimasto incantato dalla sua fede granitica
e dolce: anche lui, la sua vita, come Rolando, l’aveva consumata per Gesù,
nostro Re e Signore.
“Un angelo della terra”
Raccolte numerose
testimonianze su Rolando, abbiamo pubblicato la sua biografia: “Un ragazzo per
Gesù” (Ediz. Del Noce, Camposampiero – PD – 1997).
Il volumetto si è
diffuso per ogni dove e continua a diffondersi.
Il 29 giugno 1997,
solennità dei SS. Pietro e Paolo, Apostoli e i più grandi Martiri della Fede
cattolica, dal cimitero, la salma di Rolando è stata traslata nella chiesa di
S. Valentino, dove era stato battezzato ed era sbocciata la sua vocazione al
sacerdozio. Da quel giorno, la sua tomba è diventata meta di pellegrinaggio da
ogni parte d’Italia e da più lontano, e luogo di preghiera.
Nell’aprile del 2001, i
giornali hanno parlato a lungo di un bambino inglese di tre anni, James
Blacknel, guarito dalla leucemia per l’intercessione di Rolando. Da allora sono
assai frequenti le testimonianze di grazie, guarigioni e celesti favori
ottenuti da chi lo prega. Si tratta di umile gente, ma anche di uomini di
cultura che si rivolgono a lui, certi di essere esauditi (Gente, 31 maggio
2001, pp. 113-115; Famiglia Cristiana, 17 giugno 2001, pp. 72-73; Il giornale,
13 aprile 2002, p. 31, oltre le pubblicazioni locali dell’Emilia e della
Toscana).
Nel settembre 2002 e nel
settembre 2003, si sono svolti a S. Valentino due convegni per ricordarlo e
approfondire la conoscenza della sua nobile figura che emerge sempre più
luminosa e affascinante nello splendore del martirio. Anche l’Osservatore
Romano ha scritto più volte di lui (12 aprile 2000; 16 gennaio 2004). Il 7
maggio 2000, nella solenne celebrazione dei martiri del XX secolo, voluta a
Roma da papa Giovanni Paolo II, anche Rolando Rivi è stato ricordato.
È diffusa ormai di lui
una larga “fama sanctitatis”, in Italia e all’estero, fino al lontano Brasile.
Il 1 Dicembre 2003, il Card. José Saraiwa Martins, Prefetto della Congregazione
della Cause dei Santi, letta la piccola biografia di Rolando, or ora citata, in
una lettera allo scrivente lo ha definito “splendida figura di seminarista e
vero angelo della terra”, augurando che si possa al più presto iniziare la sua
causa di beatificazione. Il suo esempio verrebbe a indicare l’unica via davvero
affascinante per educare i ragazzi alla fede e all’amore a Cristo e far
sbocciare autentiche vocazioni al sacerdozio in un vero cammino di santità.
È proprio di questo che
abbiamo oggi immensamente bisogno.
Rolandi Rivi, a 14 anni,
ha proclamato a fronte alta davanti al mondo che continua a perseguitare gli
amici di Gesù: “Vitam et sanguinem pro Christo nostro Rege”. Solo ragazzi e
giovani come lui saranno capaci anche oggi di una nuova rivoluzione cristiana
davanti a cui nessuno potrà chiudere gli occhi e tanto meno chiudere il cuore.
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