BEATO GIUSTO FERNANDEZ GONZALEZ
Justo nacque il 2
novembre del 1916 a Huelde, nella provincia e nella diocesi di León. Questo piccolo paese di montagna sarà, anni
dopo, sommerso dalle acque del Pantano de Riaño.
Justo è il più piccolo
di 12 fratelli, famiglia umile e semplice di gran lavoratori, profondamente
religiosa, fonte di varie vocazioni: dei 12 fratelli, 8 risposero alla chiamata
di Cristo, consacrando la propria vita a Dio, di cui due sacerdoti diocesani,
due Oblati, un Francescano e tre sorelle della Sacra Famiglia di Bordeaux.
Nel settembre del 1929,
Justo vede realizzarsi il suo sogno di entrare anch’egli, come aveva fatto suo
fratello Tomás, al seminario minore.
Nel giugno del 1934 si
sposta a Las Arenas (Vizcaya) per fare il noviziato e fà anche la professione
di fede il 16 luglio 1935. In seguito è mandato a Pozuelo (Madrid) per iniziare
gli studi ecclesiastici che lo porteranno fino all’altare. Non appena finisce
il primo corso, dopo alcuni giorni di ritiro, Justo si prepara con gli altri
novizi a rinnovare la sua oblazione temporanea. Era il 16 luglio del 1936.
Soltanto sei giorni dopo, il 22 luglio, sarà arrestato con tutti i membri della
comunità oblata di Pozuelo.
Martirio
Dopo due giorni di
prigione nel proprio convento, trasformato in carcere, è portato con i suoi
compagni al centro di Madrid, Direzione Generale di Sicurezza. Justo, con i
suoi fratelli oblati, il giorno dopo sarà rimesso in libertà, ma disorientato
nella Capitale spagnola senza saper dove andare. Si rifugia con un suo cugino
in casa di una famiglia, finchè sarà arrestato un’altra volta e condotto al
carcere di San Antòn. Da qui sarà portato via con altri dodici Oblati il 28
novembre 1936 per essere martirizzato a Paracuellos del Jarama. Aveva appena
compiuto 20 anni.
Già da bambino…
Venne al mondo per
essere santo e mai perse di vista la sua meta. Condusse una intensa vita di
preghiera, coltivando un cuore nobile, buono, pacifico e portatore di pace.
Durante l’infanzia, andava a scuola, assisteva tutti i giorni alle catechesi
che il parroco teneva sotto al portico della chiesa prima di recitare il
rosario. Tutti i giorni aiutava a servir messa e riceveva il sacramento della
riconciliazione con frequenza. Due aneddoti possono aiutarci a capire la sua
profonda vita di pietà.
Racconta suo cugino e
suo coetaneo Julián, che aveva convissuto con lui da bambino: “Ricordo che morì
un familiare e quando lo portarono in chiesa, invitò me e un gruppo di bambini
ad andare con lui a pregare il Padre Nostro”.
L’altro aneddoto ce lo
racconta sua sorella: “A soli otto anni, mi disse un giorno: «Lo sai che Paco è
il fidanzato di Constancia (una sorella più grande)?» E io gli dissi: «E il mio
chi è?» E lui mi rispose: «Il tuo è
Gesù». Aveva già sentito che io volevo diventare suora…”
P. Olegario Domínguez,
che aveva convissuto con lui nel seminario minore, racconta di come lo
impressionò: “Tutti i miei compagni li ammirai sempre per la loro precisione,
generosità e fedeltà in ciò che gli si chiedeva, specialmente Justo, che fu
nominato dai superiori, responsabile dei piccoli. Ricordo che richiamava la
nostra attenzione con molta delicatezza e impediva anche che ci fossero dei
litigi.”
…e da ragazzo
Già a Pozuelo, Justo si
rese conto che l’ambiente ostile era molto teso contro tutto ciò che era
religioso , come si poteva appunto constatare dagli incendi e saccheggi di
chiese e conventi.
P. Pablo Fernández
descrive la crescente avversione nei confronti degli Oblati da parte dei nemici
della fede: “Gli Oblati di Pozuelo erano molto apprezzati e valorizzati dai
credenti, e convocati ad assistere a riunioni e celebrazioni religiose, sia
nelle feste patronali, sia in altre solennità. Erano anche chiamati per gli
esercizi spirituali. A questa buona fama tra i credenti, era contrapposta
l’avversione e l’inimicizia, dovute all’odio per la fede, di gruppi estremisti,
anarchici, ecc… Questo clima ostile era dovuto al fatto che la comunità dei
Missionari Oblati promuoveva la vita cristiana non solo a Pozuelo, ma anche nei
dintorni: Aravaca, Majadahonda y Húmera”
Riguardo la previsione
del martirio, aggiunge: “Nei giorni precedenti al 22 luglio, anche se non
uscivano dal convento, senza dubbio erano testimoni di ciò che succedeva
intorno: il fumo che vedevano provenire dagli incendi delle chiese e dei coventi
di Madrid, l’andare e venire dei miliziani per le strade, le minacce dirette
quando passavano davanti al convento, provocandoli, dicendo: “ A morte i
frati!” Tutto ciò fece sì che la comunità prevedesse che, da un momento
all’altro, sarebbero andati lì per loro. Tanto è vero che quando arrivarono, il
fratello custode avvisò P. Delfín Monje dicendogli: ”Sono già qui!”.
Il trattamento che
ricevettero in carcere, raccontato da alcuni testimoni oculari, fu spietato,
con molto disprezzo, patendo il freddo, la fame, tanta miseria e per di più,
pieni di pidocchi. Non ricordo più a quanti interrogatori furono sottoposti. Il
comportamento dei Servi di Dio in prigione fu di serenità, di enorme fiducia in
Dio, il quale era da loro invocato ripetutamente (…) Voglio sottolineare che i
formatori sopravvissuti rimasero sempre a capo di quella piccola comunità anche
nella prigionia. Mai si sottrassero alle loro responsabilità. Gli Scolastici,
dal loro canto, mantennero sempre, in ogni momento, il rispetto e l’obbedienza
ai loro Superiori.
Il loro comportamento
prima del martirio fu di enorme serenità, di controllo di sé stessi e di
preghiera al Signore. Il movente che li guidava era il desiderio di compiere la
propria oblazione, fino al punto che uno dei sopravvissuti mi disse: “Mai sono
stato così preparato a morire, come in quei momenti”.
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