SERVO DI DIO GIUSEPPE FANIN
Il giovane si chiamava
Giuseppe Fanin, aveva soltanto 24 anni. Dopo una serata tranquilla trascorsa
con la fidanzata Lidia Risi se ne tornava alla fattoria paterna: cadde su un
mucchio di ghiaia stringendo nelle mani il rosario.
A picchiarlo così
selvaggiamente con una spranga di ferro furono fanatici comunisti che,
nell’immediato secondo dopoguerra, terrorizzarono tutta l’Emilia Romagna
mettendola a ferro e fuoco. Persecuzioni, vendette, omicidi a quel tempo erano
all’ordine del giorno: contro ex fascisti, repubblichini, ma anche contro
militanti cattolici, sacerdoti e laici. Vicende assai drammatiche della storia
del nostro Paese su cui ancora oggi non è stata fatta del tutto piena luce, e
che attendono una vera giustizia.
L’efferato delitto di
Giuseppe Fanin non fu perciò un caso isolato, ma è assai significativa la sua
storia, tanto che la Curia di Bologna cinque anni fa ha pensato di avviare il
processo di canonizzazione di questo dirigente aclista che fu un vero martire della
giustizia e della fede e che rappresenta a buon diritto, per tutti i cattolici
socialmente impegnati, un luminoso modello ed anche un sicuro patrono in cielo.
Nato l’8 gennaio 1924 a
S. Giovanni in Persiceto, provincia di Bologna, da genitori veneti immigrati
negli anni Dieci nella bassa bolognese, Giuseppe Fanin era entrato nel 1934 nel
Seminario di Bologna, frequentandolo solo per un breve periodo, non sentendosi
chiamato al sacerdozio. Diplomatosi nel 1943 all’Istituto Tecnico agrario di
Imola, si iscrisse poi alla facoltà di Agraria dell’Università del capoluogo
emiliano, dove si laureò nel febbraio 1948.
Educato ai valori della
fede in una famiglia profondamente cattolica, si era appassionato subito ai
problemi della sua gente, diventando attivista delle ACLI, militante della FUCI
e sindacalista: i suoi amori erano la famiglia, il lavoro, la gente dei campi.
Era convinto che senza Cristo non vi può essere apostolato sociale. Dalla sua
famiglia aveva assorbito una religiosità limpida che era alla base delle
istanze sociali che promuoveva.
Fanin sognava un grande
sindacato, un sindacato autonomo di forte ispirazione cristiana, e si adoperava
con ogni energia per vederlo realizzato. Per questo i suoi giorni erano
contati.
In data 13 novembre 1948
l’“Avvenire d’Italia” pubblicava l’elenco delle aggressioni compiute contro gli
aderenti ai liberi sindacati dal 21 settembre al 15 ottobre di quell’anno: una
ventina in un tempo così breve! Nonostante ciò, vivendo in un luogo e in un
periodo in cui la violenza era all’ordine del giorno, a chi gli consigliava di
portare con sé un’arma per la sua difesa personale, Fanin – pur consapevole del
pericolo che correva – mostrava la corona del suo rosario. Era quella la sua
“arma”, e non ne voleva altre.
Questo esuberante e
limpido giovanotto innamorato della Madonna, affrontava ogni difficoltà a viso
aperto, con slancio e ottimismo, sorretto da una robusta vita di pietà, le
braccia sempre piene di fiori per adornare l’altare della S. Vergine, o da
portare in dono alla sua fidanzata.
Un santo laico, Giuseppe
Fanin, un esempio alto e prezioso di testimonianza evangelica. La sua fede
cristiana, sinceramente vissuta e praticata, aveva avuto come sbocco naturale
la dedizione alla causa dell’uomo, secondo gli insegnamenti del Vangelo.
Ancora oggi, sul luogo
della sua brutale aggressione, c’è un cippo che ne ricorda il sacrificio, con
su scolpite queste parole: “La strada bagnata dal sangue porta sicura alla
méta”.
Commenti
Posta un commento