BEATO ISIDORO BAKANJA
Bokendela (Rep.
Democratica del Congo), 1885/90 - Ikili (idem), 8/15 agosto 1909
Fin da ragazzo, per
vivere fu costretto a lavorare come muratore o nei campi. Si convertì al
cristianesimo nel 1906. Mentre lavorava alle dipendenze dei colonizzatori in
una piantagione di Ikili, dal padrone gli venne proibito di cristianizzare i
suoi compagni di lavoro. Il 22 aprile 1909 il sovrintendente della fattoria,
dopo avergli strappato lo Scapolare del Carmine, che Isidoro portava come
espressione della propria fede cristiana, lo fece fustigare duramente a sangue.
In seguito alle ferite riportate in questa "punizione" per la sua
fede, sopportate pazientemente e perdonando il suo aggressore, morì il 15
agosto dello stesso anno.
Numerosi martiri dei
primi secoli morivano pregando per chi li uccideva. E così ha fatto nel
Ventesimo secolo lui, diciottenne eroe di pelle nera. Era nato nell’attuale
Repubblica Democratica del Congo (già Zaire), che all’epoca sua era sotto la
sovranità di re Leopoldo II del Belgio a titolo personale: una sorta di
proprietà sua, che sarebbe poi diventata colonia col nome di Congo Belga.
L’anno di nascita di
Isidoro non è sicuro, ma lo è quello del suo battesimo: questo ragazzo della
tribù Boangi, istruito nella fede da due missionari, è diventato cristiano nel
1906, intorno ai suoi 18 anni. Si fa strada sul lavoro, diventa assistente
edile, poi lo assume come domestico l’agente di una società proprietaria di
grandi piantagioni di caucciù: un belga, come la sua società; come quasi tutte
le altre imprese in Congo. E come i due missionari che hanno convertito
Isidoro, Trappisti dell’abbazia di Westmalle, vicino ad Anversa. Ma a questo
dirigente le conversioni non vanno giù. I neri devono lavorare, chi prega perde
tempo. Ce ne sono altri come costui nelle grandi società, avversi al
cristianesimo fors’anche per ragioni ideologiche, ma certo perché vedono nel
legame di fede dei congolesi tra loro e con i missionari un pericolo per il
pieno potere delle società sulla manodopera nera.
Isidoro non resiste,
vorrebbe tornare a casa, ma gli è proibito. Gli comandano anzi di buttare via
lo scapolare della Madonna del Carmine che porta al collo, insegna della sua
fede. Lui rifiuta, e allora cominciano due successive flagellazioni che gli procurano
ferite inguaribili. Così straziato lo portano in un altro villaggio, per non
farlo vedere a un ispettore. Ma questi lo trova, "con il dorso scavato da
piaghe purulente e fetide, coperte di sporcizia, assalite dalle mosche".
Decide di portarlo con sé per curarlo. Ma Isidoro sente venire la morte e dice
a un amico: "Se vedi mia madre, se vai dal giudice, se incontri un
sacerdote, avvertili che sto morendo". Arrivano dei missionari e lui
racconta la vicenda; esortato a perdonare il suo torturatore, risponde di sì:
"Quando sarò in cielo, pregherò molto per lui".
Flagellazione mortale,
ma agonia lunghissima: sei mesi. Un’atroce decomposizione di carne viva.
Isidoro Bakanja si è fatto rimettere al collo lo scapolare e stringe in una
mano la corona del Rosario: che tutti lo vedano morire professando la fede. Che
tutti lo sappiano, neri e bianchi. Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato nel
1994.
La sua memoria è fissata
nel Martyrologium Romanum al 15 agosto, mentre l'Ordine dei Carmelitani e la
Chiesa africana lo celebrano in data 12 agosto con il grado di memoria
facoltativa.
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