SERVO DI DIO PIETRO BARBARIC
Petar Barbarić nacque
nel piccolo borgo di Šiljevišta, vicino al villaggio di Klobuk, in
Bosnia-Erzegovina, ma era di origini croate. I suoi genitori, Ante e Kate,
insegnarono a lui e ai suoi otto fratelli non solo le basi di una solida
educazione, ma anche il Catechismo e una profonda devozione verso la Madonna e
il Sacro Cuore di Gesù.
Quando conduceva al
pascolo il gregge del padre, teneva un bastone in una mano, mentre con l’altra
sgranava il Rosario. Durante il percorso, lungo un’ora e mezza, fra casa sua e
la scuola, ripassava le lezioni: grazie a ciò e all’aiuto che gli davano i suoi
genitori, completò gli studi in due anni anziché nei quattro abituali.
Successivamente, lavorò come garzone in un negozio di Vitina, dove visse per
più di un anno.
Il suo vecchio maestro,
nel frattempo, aveva ricevuto una lettera dove gli veniva richiesto di
raccomandare gli studenti più validi per farli accedere agli studi superiori e,
ipoteticamente, al sacerdozio. Provvidenzialmente, il maestro incontrò Petar e
gli fece la proposta: l’accettò raggiante di gioia, dato che era proprio quello
che voleva. Così il ragazzo, all’età di quindici anni, venne accompagnato dal
padre al Seminario Diocesano Minore di Travnik, tenuto dai padri Gesuiti; vi
arrivò il 27 agosto 1889, dopo un viaggio lungo tre giorni.
Petar era un ottimo
studente: nel 1892 aggiunse dapprima lo studio dell’italiano, poi del francese
e del tedesco, pensando che le lingue straniere l’avrebbero aiutato nelle
confessioni. Divenuto prefetto della sua classe, incoraggiava i compagni a
ricevere la Comunione nei Primi Venerdì del mese. Per alcuni anni il giovane
pensò di diventare sacerdote diocesano, ma, dopo un ritiro nel 1896, iniziò a
maturare l’idea di farsi Gesuita.
Il mattino del 7 aprile
1896, martedì dopo Pasqua, era giorno di vacanza in Seminario. Durante il
tradizionale pic-nic, i seminaristi furono sorpresi da un temporale e tornarono
indietro. Petar, vestito leggero come i compagni, era bagnato fradicio: presto
fu colpito da tosse, febbre e raffreddore, così da essere costretto in
infermeria. Giunte le vacanze estive, il medico gli suggerì di ritornare a
casa, sperando che l’aria natia gli giovasse. Il ragazzo trascorse un’estate
serena, ma non sapeva che stava covando in lui la tubercolosi.
Quando un altro medico
gliela diagnosticò, Petar non si arrese e continuò a sperare in una guarigione,
per completare gli studi e venire ordinato sacerdote. Agli inizi del 1897,
quando la malattia peggiorò, dovette abbandonare alcuni corsi e, poco dopo,
smise di frequentare le lezioni e rimase in infermeria. Ben presto dovette
usare un bastone per muoversi per la stanza. L’11 marzo 1897 disse al suo
confessore: «Ho fatto una novena a san Francesco Saverio, per domandargli la
guarigione e domani ne inizierò una a san Giuseppe, per domandargli una buona
morte». Quando la sua salute declinò rapidamente, ricevette l’Unzione degli
Infermi il 10 aprile.
Il confessore di Petar
sapeva che lui voleva essere Gesuita e che certamente sarebbe entrato in
noviziato se non avesse voluto aspettare il compimento degli studi (stava
frequentando l’ultimo anno del ginnasio). Quando gli venne chiesto se avesse
voluto, ovviamente con il dovuto permesso, prendere i voti e morire come membro
della Compagnia di Gesù, il giovane rispose che ci aveva pensato, ma non aveva
osato chiedere una grazia così grande. Il confessore allora informò del
desiderio di Petar il Rettore, il quale inviò una lettera al Padre Provinciale
dei Gesuiti per chiedergli l’assenso.
L’11 aprile, Domenica
delle Palme, Petar venne condotto nella cappella del Seminario per la Messa:
colpì tutti per la resistenza con cui rimase in piedi durante tutta la lettura
della Passione del Signore. Dato che continuava a peggiorare, capì che la sua
permanenza sulla Terra sarebbe durata ancora per poco e commentò: «Che bello
sarebbe celebrare la Pasqua in Paradiso!». La sera di due giorni dopo, arrivò
un telegramma dal Provinciale: il permesso era accordato.
Petar ritenne che il 15
aprile, Giovedì Santo, sarebbe stato il giorno perfetto per compiere quella
solenne offerta di se stesso, dopo la sua Comunione Pasquale. Il confessore,
dubitando che sarebbe sopravvissuto fino a quel giorno, gli raccomandò di
prendere i voti immediatamente. Così, alle nove di sera del 13 aprile, alla
presenza di alcuni testimoni, Petar professò i voti di povertà, castità e
obbedienza e promise di rimanere nella Compagnia per tutto il resto della sua
vita.
Trascorse il giorno
seguente a letto, prostrato e riarso dalla febbre. Di sera, i suoi confratelli
Gesuiti si radunarono nella sua stanza e recitarono le preghiere per i
moribondi. Il giorno dopo, il Giovedì Santo tanto atteso, Petar fu incapace di
mangiare e poteva parlare a stento. Nel primo pomeriggio chiese che gli venisse
portato il suo crocifisso, lo tenne fra le mani, lo baciò e pronunciò il nome
di Gesù. Pochi minuti dopo, circa verso le due, diede un profondo sospiro e
rese l’anima a Dio. Venne sepolto il 17 aprile, Sabato Santo, con indosso
l’abito gesuita, nel cimitero fuori dalla città di Travik.
Il processo informativo
si tenne nell’arcidiocesi di Sarajevo negli anni 1938-’43, mentre il decreto
sugli scritti venne emanato l’11 maggio 1945.
Sabato 12 aprile 1997
san Giovanni Paolo II, durante il viaggio apostolico a Sarajevo, lo ricordò
esplicitamente nel corso della celebrazione dei Vespri: «Una parola anche per
voi, cari seminaristi, speranza della Chiesa in questa terra. Seguendo
l'esempio del Servo di Dio Petar Barbarić, lasciatevi affascinare da Cristo!
Scoprite la bellezza di donare a Lui la vostra vita, per portare ai fratelli il
suo Vangelo di salvezza. La vocazione è un'avventura che vale la pena di vivere
fino in fondo! Nella risposta generosa e perseverante alla chiamata del Signore
sta il segreto di una vita pienamente realizzata».
Di lì a poco, il 23
luglio 1998, venne aperta un’inchiesta suppletiva, conclusasi il 16 febbraio 2007
e approvata il 1 febbraio 2008, insieme al processo informativo. Il 17 luglio
2012 una delegazione ha presentato la Positio super virtutibus a Roma, ultimo
atto prima dell’approvazione delle virtù eroiche, avvenuta il 18 marzo 2015.
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