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VENERABILE FRANCESCO ANTONIO MARCUCCI

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  Una delle personalità più rappresentative della Chiesa del XVIII secolo, uomo di grande cultura, Francesco Antonio Marcucci visse in un epoca di complessi mutamenti sociali. Nacque il 27 novembre 1717 a Force, nell’entroterra ascolano, in una famiglia nobile e importante, e crebbe nell’affetto dei suoi, acquisendo fin da giovanissimo una profonda religiosità. Frequentò le migliori scuole di Ascoli Piceno: il collegio dei gesuiti, poi gli istituti dei domenicani, dei francescani e dei filippini. Aveva una grande devozione per l’Immacolata e a diciotto anni a Lei consacrò la sua vita sentendo la chiamata al sacerdozio. Unico erede del casato, avviato all’avvocatura, dovette lottare non poco per convincere i genitori ad accettare la propria scelta. All’Oratorio di S. Filippo conobbe padre Giuseppe Sardi (1682-1761) che divenne suo confessore. Da lui assimilò la spiritualità di S. Francesco di Sales. Nel settembre 1738, a soli ventuno anni, ebbe l’ispirazione a fondare una congregazione

SANT’ARCANGELO TADINI

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    Infanzia e famiglia   Arcangelo Tadini nacque il 12 ottobre 1846 a Verolanuova, in provincia e diocesi di Brescia. Era il penultimo dei quattro figli nati da Pietro e Antonia Gadola e, in totale, degli undici che il padre aveva avuto, contando anche quelli del precedente matrimonio con Giulia Gadola, sorella di Antonia, morta a ventotto anni. Fu battezzato nella chiesa prepositurale di San Lorenzo martire a Verolanuova il 18 ottobre 1846, a quattro giorni dalla nascita. La sua famiglia era benestante, Arcangelo crebbe in un ambiente liberale che però non influì, in nessun modo, sulla sua formazione. Ereditò dalla madre una salute cagionevole, tanto che rischiò di morire a due anni. Frequentò le elementari a Verolanuova fino ai dieci anni circa. Verso il 1855-56 passò al ginnasio di Lovere dove studiavano i suoi fratelli Alessandro e Giulio. Entrambi passarono al Seminario diocesano di Brescia, ma solo il secondo divenne sacerdote.   Vocazione al sacerdozio diocesano

MADRE MARIA CANDIDA CASERO

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    Famiglia e primi anni   I genitori le avevano programmato una vita assolutamente normale, in sintonia con la mentalità sicula di fine Ottocento. E la vita di Maria Barba per 35 anni è normalissima e nascosta, come quella di Cristo a Nazaret. Nasce a Catanzaro il 16 gennaio 1884, in una famiglia borghese. Viene battezzata tre giorni dopo la nascita. Suo padre, Pietro, è consigliere della Corte d’Appello. Sua madre, Giovanna Florena, si prende invece cura dei numerosi figli: ne ha avuti dodici (Maria è la penultima), ma cinque sono morti in tenera età. Tornata con la famiglia a Palermo, bambina sveglia e vivace, vorrebbe bruciare le tappe per poter ricevere Gesù e aspetta il ritorno della mamma da messa per ricevere da lei un bacio o un respiro che le “trasmetta” Gesù: un amore per l’Eucaristia che nessuno le ha insegnato o inculcato, ma che sembra nato con lei.   La “prima conversione” di Maria   A 15 anni la prima svolta, quella che lei chiamerà la «prima conversione». La ragazzina

BENEDETTA BIANCHI PORRO

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  «Io penso che cosa meravigliosa è la vita anche nei suoi aspetti più terribili; e la mia anima è piena di gratitudine e di amore verso Dio per questo»: un inno alla vita pienamente intonato ad una ventenne, sorprendente solo per il fatto che chi lo pronuncia è una ragazza cieca, sorda e totalmente paralizzata da una malattia subdola e devastante che ha risparmiato solo la sua intelligenza, un filo di voce e una mano per mezzo della quale comunica con il mondo. Tutto si può dire di Benedetta Bianchi Porro, tranne che sia fortunata. Umanamente parlando, s’intende, e solo a giudicare dalla sua cartella clinica, che registra una salute fragile fin dalla nascita; a tre mesi arriva la poliomielite, che le lascia una gamba più corta dell’altra per cui sarà chiamata “la zoppetta”; poi deve indossare uno scomodissimo busto, per le deformazioni della schiena. Malgrado la guerra (è nata nel 1936), la salute non proprio brillante e svariati traslochi, riesce a diplomarsi e ad iscriversi all’univ

BEATA SUOR ZDENKA

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  Nel suo 102° viaggio apostolico per il mondo, papa Giovanni Paolo II il 14 settembre 2003, ha beatificato con una solenne celebrazione tenuta a Bratislava in Slovacchia, la suora Zdenka Cecilia Schelingova e il vescovo Vasil’ Hopko ambedue martiri slovacchi, testimoni del nostro tempo. Il papa ha invitato i presenti e tutto il popolo slovacco, a rivolgere lo sguardo alla Croce, perché in quel giorno si celebrava appunto nella liturgia cattolica l’Esaltazione della Santa Croce, indicando ancora una volta alla Chiesa e al mondo la misteriosa fecondità di quel legno, sul quale: “s’incontrano la miseria dell’uomo e la misericordia di Dio. È certamente la meditazione di questo grande e mirabile mistero, che ha sostenuto i due Beati nella scelta di vita consacrata e particolarmente, nelle sofferenze affrontate durante la terribile prigionia. Entrambi rifulgono davanti a noi come esempi luminosi di fedeltà; in tempi di dura e spietata persecuzione religiosa il vescovo Vasil’ non ha mai rinn

SAN GIUSEPPE DA LEONESSA

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  Al battesimo gli danno un nome insolito, Eufranio, che non sembra avere molti precedenti (più noto è Eufronio, nome di due santi del V e VI secolo). Famiglia importante, ma sfortunata: i genitori, Giovanni Desideri e Francesca Paolini, muoiono in breve tempo quando lui è ancora piccolo. Studia sotto la guida dello zio paterno Battista a Viterbo, poi si ammala e ritorna a Leonessa. Qui viene in contatto con i frati cappuccini e decide di prendere anche lui il saio. Eufranio entra sedicenne nel loro convento di Assisi, fa il noviziato, a 17 anni già pronuncia i voti e prende il nome di fra Giuseppe. Prosegue negli studi teologici fino al sacerdozio (1580) e fa le sue prime esperienze di predicatore nelle campagne dell’Italia centrale. Il suo sogno, però, è la missione. E si realizza per lui a 31 anni, quando il suo Ordine lo manda con altri a Costantinopoli, l’antica capitale dell’Impero romano d’Oriente, che da un secolo è capitale dell’Impero turco (l’ha conquistata nel 1453 il sulta

FRATEL GIOSUE’ DEI CAS

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  A papa Francesco, cui piacciono i pastori con addosso l’odore delle proprie pecore, andrebbe sicuramente a genio un missionario così, perché non soltanto l’odore, ma anche la malattia delle pecore ha preso su di sé. Nasce nel 1880 nella contrada Burat della frazione Piatta del piccolo comune di Valdisotto, in quel di Sondrio, dove il giovane Giosuè in estate è contadino e in inverno spalatore di neve sullo Stelvio. Fino ai 25 anni, quando dalla predica di un comboniano scopre che non necessariamente tutti i missionari sono preti e che quindi si può andare in missione anche come semplici “Fratelli”, a seminar Vangelo con il lavoro delle proprie mani. Gli sembra una soluzione che faccia al caso suo, dato che al matrimonio non si sente portato e agli studi nemmeno, mentre è indiscutibile il desiderio che si sente dentro di mettere la vita a servizio di Dio. Non la pensano così i formatori dei Comboniani di Verona, che finiscono per giudicarlo non idoneo al noviziato per i suoi evidenti