Santa Rita da Cascia
Santa
Rita da Cascia Vedova e religiosa
22
maggio - Memoria Facoltativa
Roccaporena,
presso Cascia, Perugia, c. 1381 - Cascia, Perugia, 22 maggio 1447/1457
Santa
Rita nacque a Roccaporena (Cascia) verso il 1380. Secondo la tradizione era
figlia unica e fin dall’adolescenza desiderò consacrarsi a Dio ma, per le
insistenze dei genitori, fu data in sposa ad un giovane di buona volontà ma di
carattere violento. Dopo l’assassinio del marito e la morte dei due figli, ebbe
molto a soffrire per l’odio dei parenti che, con fortezza cristiana, riuscì a
riappacificare. Vedova e sola, in pace con tutti, fu accolta nel monastero
agostiniano di santa Maria Maddalena in Cascia. Visse per quarant’anni anni
nell’umiltà e nella carità, nella preghiera e nella penitenza. Negli ultimi
quindici anni della sua vita, portò sulla fronte il segno della sua profonda
unione con Gesù crocifisso. Morì il 22 maggio 1457. Invocata come taumaturga di
grazie, il suo corpo si venera nel santuario di Cascia, meta di continui
pellegrinaggi. Beatificata da Urbano VIII nel 1627, venne canonizzata il 24
maggio 1900 da Leone XIII. E’ invocata come santa del perdono e paciera di
Cristo.
Fra
le tante stranezze o fatti strepitosi che accompagnano la vita dei santi, prima
e dopo la morte, ce n'è uno in particolare che riguarda santa Rita da Cascia,
una delle sante più venerate in Italia e nel mondo cattolico, ed è che essa è
stata beatificata ben 180 anni dopo la sua morte e addirittura proclamata santa
a 453 anni dalla morte.
Quindi
una santa che ha avuto un cammino ufficiale per la sua canonizzazione molto
lento (si pensi che sant’Antonio di Padova fu proclamato santo un anno dopo la
morte), ma nonostante ciò s. Rita è stata ed è una delle più venerate ed
invocate figure della santità cattolica, per i prodigi operati e per la sua
umanissima vicenda terrena.
Rita
ha il titolo di “santa dei casi impossibili”, cioè di quei casi clinici o di
vita, per cui non ci sono più speranze e che con la sua intercessione, tante
volte miracolosamente si sono risolti.
Nacque
intorno al 1381 a Roccaporena, un villaggio montano a 710 metri s. m. nel
Comune di Cascia, in provincia di Perugia; i suoi genitori Antonio Lottius e
Amata Ferri erano già in età matura quando si sposarono e solo dopo dodici anni
di vane attese, nacque Rita, accolta come un dono della Provvidenza.
La
vita di Rita fu intessuta di fatti prodigiosi, che la tradizione, più che le
poche notizie certe che possediamo, ci hanno tramandato; ma come in tutte le
leggende c’è alla base senz’altro un fondo di verità.
Si
racconta quindi che la madre molto devota, ebbe la visione di un angelo che le
annunciava la tardiva gravidanza, che avrebbero ricevuto una figlia e che
avrebbero dovuto chiamarla Rita; in ciò c’è una similitudine con s. Giovanni
Battista, anch’egli nato da genitori anziani e con il nome suggerito da una
visione.
Poiché
a Roccaporena mancava una chiesa con fonte battesimale, la piccola Rita venne
battezzata nella chiesa di S. Maria della Plebe a Cascia e alla sua infanzia è
legato un fatto prodigioso; dopo qualche mese, i genitori, presero a portare la
neonata con loro durante il lavoro nei campi, riponendola in un cestello di
vimini poco distante.
E un
giorno mentre la piccola riposava all’ombra di un albero, mentre i genitori
stavano un po’ più lontani, uno sciame di api le circondò la testa senza
pungerla, anzi alcune di esse entrarono nella boccuccia aperta depositandovi
del miele. Nel frattempo un contadino che si era ferito con la falce ad una
mano, lasciò il lavoro per correre a Cascia per farsi medicare; passando
davanti al cestello e visto la scena, prese a cacciare via le api e qui avvenne
la seconda fase del prodigio, man mano che scuoteva le braccia per farle andare
via, la ferita si rimarginò completamente. L’uomo gridò al miracolo e con lui
tutti gli abitanti di Roccaporena, che seppero del prodigio.
Rita
crebbe nell’ubbidienza ai genitori, i quali a loro volta inculcarono nella
figlia tanto attesa, i più vivi sentimenti religiosi; visse un’infanzia e
un’adolescenza nel tranquillo borgo di Roccaporena, dove la sua famiglia aveva
una posizione comunque benestante e con un certo prestigio legale, perché a
quanto sembra ai membri della casata Lottius, veniva attribuita la carica di
‘pacieri’ nelle controversie civili e penali del borgo.
Già
dai primi anni dell’adolescenza Rita manifestò apertamente la sua vocazione ad
una vita religiosa, infatti ogni volta che le era possibile, si ritirava nel
piccolo oratorio, fatto costruire in casa con il consenso dei genitori, oppure
correva al monastero di Santa Maria Maddalena nella vicina Cascia, dove forse
era suora una sua parente.
Frequentava
anche la chiesa di s. Agostino, scegliendo come suoi protettori i santi che lì
si veneravano, oltre s. Agostino, s. Giovanni Battista e Nicola da Tolentino,
canonizzato poi nel 1446. Aveva tredici anni quando i genitori, forse obbligati
a farlo, la promisero in matrimonio a Fernando Mancini, un giovane del borgo,
conosciuto per il suo carattere forte, impetuoso, perfino secondo alcuni
studiosi, brutale e violento.
Rita
non ne fu entusiasta, perché altre erano le sue aspirazioni, ma in quell’epoca
il matrimonio non era tanto stabilito dalla scelta dei fidanzati, quando dagli
interessi delle famiglie, pertanto ella dovette cedere alle insistenze dei
genitori e andò sposa a quel giovane ufficiale che comandava la guarnigione di
Collegiacone, del quale “fu vittima e moglie”, come fu poi detto.
Da
lui sopportò con pazienza ogni maltrattamento, senza mai lamentarsi,
chiedendogli con ubbidienza perfino il permesso di andare in chiesa. Con la
nascita di due gemelli e la sua perseveranza di rispondere con la dolcezza alla
violenza, riuscì a trasformare con il tempo il carattere del marito e renderlo
più docile; fu un cambiamento che fece gioire tutta Roccaporena, che per anni
ne aveva dovuto subire le angherie.
I
figli Giangiacomo Antonio e Paolo Maria, crebbero educati da Rita Lottius
secondo i principi che le erano stati inculcati dai suoi genitori, ma essi
purtroppo assimilarono anche gli ideali e regole della comunità casciana, che
fra l’altro riteneva legittima la vendetta.
E
venne dopo qualche anno, in un periodo non precisato, che a Rita morirono i due
anziani genitori e poi il marito fu ucciso in un’imboscata una sera mentre
tornava a casa da Cascia; fu opera senz’altro di qualcuno che non gli aveva
perdonato le precedenti violenze subite.
Ai
figli ormai quindicenni, cercò di nascondere la morte violenta del padre, ma da
quel drammatico giorno, visse con il timore della perdita anche dei figli,
perché aveva saputo che gli uccisori del marito erano decisi ad eliminare gli
appartenenti al cognome Mancini; nello stesso tempo i suoi cognati erano decisi
a vendicare l’uccisione di Fernando Mancini e quindi anche i figli sarebbero
stati coinvolti nella faida di vendette che ne sarebbe seguita.
Narra
la leggenda che Rita per sottrarli a questa sorte, abbia pregato Cristo di non
permettere che le anime dei suoi figli si perdessero, ma piuttosto di toglierli
dal mondo, “Io te li dono. Fa' di loro secondo la tua volontà”. Comunque un
anno dopo i due fratelli si ammalarono e morirono, fra il dolore cocente della
madre.
A
questo punto inserisco una riflessione personale, sono del Sud Italia e in
alcune regioni, esistono realtà di malavita organizzata, ma in alcuni paesi
anche faide familiari, proprio come al tempo di s. Rita, che periodicamente
lasciano sul terreno morti di ambo le parti. Solo che oggi abbiamo sempre più
spesso donne che nell’attività malavitosa, si sostituiscono agli uomini uccisi,
imprigionati o fuggitivi; oppure ad istigare altri familiari o componenti delle
bande a vendicarsi, quindi abbiamo donne di mafia, di camorra, di ‘ndrangheta,
di faide familiari, ecc.
Al
contrario di santa Rita che pur di spezzare l’incipiente faida creatasi, chiese
a Dio di riprendersi i figli, purché non si macchiassero a loro volta della
vendetta e dell’omicidio.
Santa
Rita è un modello di donna adatto per i tempi duri. I suoi furono giorni di un
secolo tragico per le lotte fratricide, le pestilenze, le carestie, con gli
eserciti di ventura che invadevano di continuo l’Italia e anche se nella bella
Valnerina questi eserciti non passarono, nondimeno la fame era presente.
Poi
la violenza delle faide locali aggredì l’esistenza di Rita Lottius,
distruggendo quello che si era costruito; ma lei non si abbatté, non passò il
resto dei suoi giorni a piangere, ma ebbe il coraggio di lottare, per fermare
la vendetta e scegliere la pace. Venne circondata subito di una buona fama, la
gente di Roccaporena la cercava come popolare giudice di pace, in quel covo di
vipere che erano i Comuni medioevali. Esempio fulgido di un ruolo determinante
ed attivo della donna, nel campo sociale, della pace, della giustizia.
Ormai
libera da vincoli familiari, si rivolse alle Suore Agostiniane del monastero di
S. Maria Maddalena di Cascia per essere accolta fra loro; ma fu respinta per
tre volte, nonostante le sue suppliche. I motivi non sono chiari, ma sembra che
le Suore temessero di essere coinvolte nella faida tra famiglie del luogo e
solo dopo una riappacificazione, avvenuta pubblicamente fra i fratelli del
marito ed i suoi uccisori, essa venne accettata nel monastero.
Secondo
la tradizione, l'ingresso avvenne per un fatto miracoloso: si narra che una
notte, Rita, come al solito, si era recata a pregare sullo "Scoglio"
(specie di sperone di montagna che s'innalza per un centinaio di metri al di
sopra del villaggio di Roccaporena) e che qui ebbe la visione dei suoi tre
santi protettori sopra citati, i quali la trasportarono a Cascia,
introducendola nel monastero; era l'anno 1407. Quando le suore la videro in
orazione nel loro coro, nonostante tutte le porte chiuse, convinte dal prodigio
e dal suo sorriso, l’accolsero fra loro.
Quando
avvenne ciò Rita era intorno ai trent’anni e benché fosse illetterata, fu
ammessa fra le monache coriste, cioè quelle suore che sapendo leggere potevano
recitare l’Ufficio divino, ma evidentemente per Rita fu fatta un’eccezione,
sostituendo l’ufficio divino con altre orazioni.
La
nuova suora s’inserì nella comunità conducendo una vita di esemplare santità,
praticando carità e pietà e tante penitenze, che in breve suscitò l’ammirazione
delle consorelle. Devotissima alla Passione di Cristo, desiderò di condividerne
i dolori e questo costituì il tema principale delle sue meditazioni e
preghiere.
Gesù
l’esaudì e un giorno nel 1432, mentre era in contemplazione davanti al
Crocifisso, sentì una spina della corona del Cristo conficcarsi nella fronte,
producendole una profonda piaga, che poi divenne purulenta e putrescente,
costringendola ad una continua segregazione.
La
ferita scomparve soltanto in occasione di un suo pellegrinaggio a Roma, fatto
per perorare la causa di canonizzazione di s. Nicola da Tolentino, sospesa dal
secolo precedente; ciò le permise di circolare fra la gente.
Si
era talmente immedesimata nella Croce, che visse nella sofferenza gli ultimi
quindici anni, logorata dalle fatiche, dalle sofferenze, ma anche dai digiuni e
dall’uso dei flagelli, che erano tanti e di varie specie; negli ultimi quattro
anni si cibava così poco, che forse la Comunione eucaristica era il suo unico
sostentamento e fu costretta a restare coricata sul suo giaciglio.
E in
questa fase finale della sua vita avvenne un altro prodigio: essendo immobile a
letto, ricevé la visita di una parente la quale, nel congedarsi, le chiese se
desiderava qualcosa della sua casa di Roccaporena; Rita rispose che le sarebbe
piaciuto avere una rosa dall'orto; la parente obiettò che si era in pieno
inverno e quindi ciò non era possibile. Ma Rita insistè. Tornata a Roccaporena,
la parente si recò nell'orticello e, in mezzo ad un rosaio, vide una bella rosa
sbocciata. Stupita, la colse e la portò da Rita a Cascia la quale,
ringraziando, la consegnò alle meravigliate consorelle.
Così
la santa vedova, madre, suora, divenne la santa della ‘Spina’ e la santa della
‘Rosa’; nel giorno della sua festa questi fiori vengono benedetti e distribuiti
ai fedeli.
Il
22 maggio 1447 (o 1457, come viene spesso ritenuto) Rita si spense, mentre le
campane da sole suonavano a festa, annunciando la sua ‘nascita’ al cielo. Si
narra che il giorno dei funerali, quando ormai si era sparsa la voce dei
miracoli attorno al suo corpo, comparvero delle api nere, che si annidarono
nelle mura del convento e ancora oggi sono lì: sono api che non hanno un
alveare, non fanno miele e da cinque secoli si riproducono fra quelle mura.
Per
singolare privilegio il suo corpo non fu mai sepolto, in qualche modo trattato
secondo le tecniche di allora, fu deposto in una cassa di cipresso, poi andata
persa in un successivo incendio, mentre il corpo miracolosamente ne uscì
indenne e riposto in un artistico sarcofago ligneo, opera di Cesco Barbari, un
falegname di Cascia, devoto risanato per intercessione della santa.
Sul
sarcofago sono vari dipinti di Antonio da Norcia (1457), sul coperchio è
dipinta la santa in abito agostiniano, stesa nel sonno della morte su un drappo
stellato; il sarcofago è oggi conservato nella nuova basilica costruita nel
1937-1947; anche il corpo riposa incorrotto in un’urna trasparente, esposto
alla venerazione degli innumerevoli fedeli, nella cappella della santa nella
Basilica-Santuario di santa Rita a Cascia.
Accanto
al cuscino è dipinta una lunga iscrizione metrica che accenna alla vita della
“Gemma dell’Umbria”, al suo amore per la Croce e agli altri episodi della sua
vita di monaca santa; l’epitaffio è in antico umbro ed è di grande interesse
quindi per conoscere il profilo spirituale di santa Rita.
Bisogna
dire che il corpo rimasto prodigiosamente incorrotto e a differenza di quello
di altri santi, non si è incartapecorito, appare come una persona morta da poco
e non presenta sulla fronte la famosa piaga della spina, che si rimarginò
inspiegabilmente dopo la morte.
Tutto
ciò è documentato dalle relazioni mediche effettuate durante il processo per la
beatificazione, avvenuta nel 1627 con papa Urbano VIII; il culto proseguì
ininterrotto per la santa chiamata “la Rosa di Roccaporena”; il 24 maggio 1900
papa Leone XIII la canonizzò solennemente.
Al
suo nome vennero intitolate tante iniziative assistenziali, monasteri, chiese
in tutto il mondo; è sorta anche una pia unione denominata “Opera di santa
Rita” preposta al culto della santa, alla sua conoscenza, ai continui
pellegrinaggi e fra le tante sue realizzazioni effettuate, la cappella della
sua casa, la cappella del “Sacro Scoglio” dove pregava, il santuario di
Roccaporena, l’Orfanotrofio, la Casa del Pellegrino.
Il
cuore del culto comunque resta il Santuario ed il monastero di Cascia, che con
Assisi, Norcia, Cortona, costituiscono le culle della grande santità umbra.
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