BEATA GIACINTA MARTO
Uno
dei divertimenti preferiti da Francesco, Giacinta e Lucia era quello di gridare
ad alta voce, dall’alto dei monti, seduti sulla roccia. Il nome che più
echeggiava era quello della Madonna. A volte Giacinta, «quella a cui la Vergine Santissima
ha comunicato maggior abbondanza di grazie e maggior conoscenza di Dio e della
virtù», come scriverà Suor Lucia, recitava tutta l’Ave Maria, pronunciando la
parola seguente soltanto quando l’eco riproduceva per intero quella precedente.
Tale innocentissima preghiera di bambina, quasi surreale, dove il
soprannaturale si sovrapponeva al naturale, doveva essere di sublime bellezza.
Ebbene, la Madonna
scelse proprio lei, suo fratello e la cugina per rivelare a Fatima, nel 1917, i
rimedi che l’umanità e la
Chiesa avrebbero dovuto prendere per combattere errori e
guerre: la recita del Santo Rosario, la lotta contro il peccato, la
consacrazione della Russia al Cuore Immacolato di Maria per arrestare
l’ideologia comunista.
Il 12 settembre 1935 le spoglie di Giacinta
furono trasportate da Vila Nova de Ourém a Fatima. Quando la bara fu aperta si
attestò che il volto della piccola veggente era incorrotto. Venne scattata una
fotografia e il Vescovo di Leiria, Monsignor José Alves Correia da Silva
(1872-1957) ne inviò una copia a suor Lucia che, nei ringraziamenti, accennò
alle virtù della cugina. Tale fatto indusse il Monsignore ad ordinare alla
monaca di scrivere tutto ciò che sapeva della vita di Giacinta, ecco che nacque
la Prima Memoria ,
che l’autrice terminò nel Natale dello stesso 1935.
Trascorsero due anni dalla Prima Memoria e il
Vescovo di Leiria ordinò a Suor Lucia di scrivere, in tutta verità, la sua vita
e le apparizioni mariane, così come erano avvenute. Suor Lucia obbedì,
scrivendo la Seconda
Memoria dal 7 al 21 novembre 1937.
In una lettera del 31 agosto 1941, indirizzata a
padre Giuseppe Bernardo Gonçalves Sj, Lucia spiega come nacque la Terza Memoria :
«Mons. Vescovo… mi ordinò di ricordare qualsiasi altra cosa che avesse
relazione con Giacinta, per una nuova edizione che vogliono stampare.
Quest’ordine mi penetrò nell’anima come un raggio di luce …». Fu proprio con
questo scritto che Fatima raggiunse dimensioni internazionali. Sorpresi dai
racconti della Terza Memoria, Monsignor Giuseppe Alves Correia da Silva e don
Galamba conclusero che Lucia, nelle relazioni anteriori, non aveva detto tutto
e che nascondeva ancora degli elementi. Dunque, il 7 ottobre 1941, la monaca
riceve il nuovo ordine di scrivere qualsiasi altra cosa che avesse potuto emergere
dagli accadimenti di Fatima. Fu così che l’8 dicembre, giorno dell’Immacolata
Concezione, dello stesso anno, l’autrice consegnò il manoscritto affermando:
«Fin qui, ho fatto il possibile per nascondere quel che le apparizioni della
Madonna nella Cova d’Iria avevano di più intimo. Ogni volta che mi vidi
obbligata a parlare, cercai di accennarvi di sfuggita, per non scoprire
quello che tanto desideravo tener in serbo. Ma ora, che l’obbedienza mi
comandò, ho detto tutto! E io rimango come lo scheletro, spogliato di tutto e
perfino della vita stessa, messo nel Museo Nazionale, per ricordare ai
visitatori la miseria e il niente di tutto quel che passa. Così spogliata,
resterò nel Museo del Mondo ricordando a quelli che passano, non la miseria e
il niente, ma la grandezza delle Misericordie Divine».
Con schiettezza e semplicità Suor Lucia narra in
queste pagine le “magiche” beltà della loro infanzia. Tutti e tre i bambini
nacquero ad Aljustrel, in Portogallo. Lucia dos Santos, poi suor Lucia di Gesù,
il 22 marzo 1907, morirà a Coimbra il 13 febbraio 2005; Francesco Marto l’11
giugno 1908, morirà a Fatima il 4 aprile 1919 (beatificato, con la sorella il
13 maggio 2000); Giacinta Marto l’11 marzo 1910, morirà a Lisbona il 20
febbraio 1920.
Era la primavera del 1916 quando l’Angelo del
Portogallo (così si identificò) comparve loro, anticipando l’arrivo di Nostra
Signora di Fatima. Lucia e Giacinta (come accadrà anche con la Madonna ), potevano vedere
e sentire; la prima poteva anche colloquiare, mentre Francesco vedeva soltanto.
L’Angelo, che portò l’Eucaristia e li comunicò, per tre volte pregò: «Mio Dio!
Io credo, adoro, spero e Vi amo. Vi chiedo perdono per quelli che non credono,
non adorano, non sperano e non Vi amano». Poi disse: «Pregate così. I Cuori di
Gesù e di Maria stanno attenti alla voce delle vostre suppliche».
Francesco aveva un carattere mite, umile,
paziente. Nel gioco accettava la sconfitta benevolmente e tendeva ad isolarsi,
non si dava cura e pensiero se veniva emarginato. Era sempre sorridente,
gentile, condiscendente. Quando qualcuno si ostinava a negargli i suoi diritti
di vincitore, si piegava senza resistere: «Credi di aver vinto tu?! E va bene!
A me non me n’importa!» e se qualcuno degli altri bambini insisteva nel
togliergli qualcosa che gli apparteneva, diceva: “Fa’ pure… a me che me
n’importa?!”». E davvero nulla gli importava, se non le realtà celesti. Amava
il silenzio e non mancava occasione per mortificarsi con atti di eroismo.
Dopo il pascolo, la sera, Francesco e Giacinta
andavano nell’aia della famiglia di Lucia per giocare e, insieme, aspettavano
che la Madonna
e gli Angeli accendessero le loro «lucerne», così definivano la luna e le
stelle, e allora Francesco si animava nel contarle, ma nulla lo entusiasmava di
più che l’osservare il sorgere e il tramontare del sole, che identificava come
la lucerna del Signore, mentre Giacinta amava maggiormente quella della
Madonna.
La sensibilità di animo di Francesco e di
Giacinta, che traspariva dalla naturalezza dei loro gesti, con le apparizioni,
raggiunse un livello di straordinario misticismo: la grazia corrisposta diede
vita ad altezze di virtù. Quella di Francesco fu anima di profonda preghiera.
Quando prese ad andare a scuola a volte diceva a Lucia: «Senti, tu va’ a
scuola. Io resto qui, in chiesa, vicino a Gesù nascosto. Per me non vale la
pena di imparare a leggere; fra poco vado in Cielo. Quando torni, vieni a
chiamarmi». Allora si metteva vicino al Tabernacolo e, interrogato su cosa
facesse tutte quelle ore, egli affermava: «Io guardo Lui e Lui guarda me».
Mentre Giacinta faceva penitenze per salvare
anime peccatrici dall’Inferno, Francesco pensava a consolare il Signore e la Madonna. Ricordando
la promessa di Maria Vergine, della quale aveva sempre un’immensa nostalgia, di
portarlo presto in Cielo con Giacinta, gioiva dicendo: «lassù almeno potrò
meglio consolare il Cuore di Gesù e di Nostra Signora».
Sapeva accettare e sopportare la sofferenza con
esemplare rassegnazione e accolse la «Spagnola», che lo portò via, come un dono
immenso per consolare Cristo, per riscattare i peccati delle anime e per
raggiungere il Paradiso.
La breve vita di Giacinta trascorse in maniera
parallela a quella del fratello, legata da un’identica serenità spirituale
grazie al clima di profonda Fede che si respirava in casa. Il suo temperamento
era però forte e volitivo e aveva una predisposizione per il ballo e la poesia.
Era il numero uno dell’entusiasmo e della spensieratezza. Saranno gli
accadimenti del 1917 a
mutare i suoi interessi e più non ballerà, assumendo un aspetto serio, modesto,
amabile. Il profilo che Lucia tratteggia della cuginetta è straordinario: è il
ritratto dei puri di cuore, i cui occhi parlano di Dio.
Giacinta era insaziabile nella pratica del
sacrificio e delle mortificazioni. Le penitenze più aspre per Lucia erano
invece dettate dalle ostilità familiari e in particolare di sua madre, che la
considerava una bugiarda e un’impostora. Lucia, essendo la più grande, fu la
veggente più vessata e più interrogata (fino allo sfinimento) sia dalle
autorità religiose che civili. A coronare questo clima intriso di tensioni e
diffide c’era pure la situazione economica precaria dei dos Santos, provocata
anche dal fatto che nel luogo delle apparizioni mariane, di proprietà della
famiglia, non era più possibile coltivare nulla: la gente andava con asini e
cavalli, calpestando tutto.
Agli inizi del mese di luglio del 1919 Giacinta
entrò in ospedale, anche lei colpita dalla «Spagnola». Sua madre le chiese che
cosa desiderasse e la piccola chiese la presenza dell’amata Lucia. La visita fu
tutto un parlare delle sofferenze offerte per i peccatori al fine di
allontanarli dall’Inferno - che con grande sgomento era stato loro mostrato
dalla Madonna - e per il Sommo Pontefice: «Tu rimani qua per dire che Dio vuole
istituire nel mondo la devozione al Cuore Immacolato di Maria. Quando ce ne
sarà l’occasione, non ti nascondere. Di’ a tutti che Dio ci concede le grazie
per mezzo del Cuore Immacolato di Maria; che le domandino a Lei, che il Cuore
di Gesù vuole che vicino a Lui, sia venerato il Cuore Immacolato di Maria.
Chiediamo la pace al Cuore Immacolato di Maria; Dio la mise nelle mani di Lei.
S’io potessi mettere nel cuore di tutti, il fuoco che mi brucia qui nel petto e
mi fa amare tanto il Cuore di Gesù e il Cuore di Maria!”».
Quando Lucia perse i cugini fu abissale il suo
dolore, infatti, come lei stessa ebbe a dichiarare, non ebbe in terra altra più
amata compagnia che quella di Francesco e di Giacinta.
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