SERVI DI DIO JOZEF E WIKTORIA ULMA CON I SEI FIGLI
Li
hanno ribattezzati “i samaritani di Markowa”, dal nome del loro villaggio
polacco, ma è ingiusto o almeno riduttivo chiamarli così. Perché, mentre quello
di evangelica memoria, oltre ad aver vinto il secolare pregiudizio ed essere
sceso dalla propria cavalcatura, ha rimesso di suo, oltre al tempo, soltanto
l’olio e il vino utilizzati per la medicazione e i due denari dati
all’albergatore, i “samaritani” polacchi in gioco hanno messo la loro stessa
vita. Prima della seconda guerra mondiale, Markowa è un vivace villaggio
agricolo, profondamente cattolico e intraprendente, dove vive anche un
centinaio di ebrei. Qui si sperimentano nuove coltivazioni e nuove tecniche
agrarie, in cui eccelle Giuseppe Ulma, classe 1900, abile frutticoltore e
appassionato apicoltore, che coltiva anche interessi culturali ed è attivissimo
nel circolo della Gioventù Cattolica. Divora libri e coltiva anche l’hobby
della fotografia grazie al quale oggi disponiamo di un’ottima documentazione
fotografica della sua famiglia. Conosce e si innamora di Vittoria Niemczak
(nata nel 1912), che sposa nel 1935 e subito arrivano sei figli: Stanislawa il
18 luglio 1936, Barbara il 6 ottobre 1937, Wladyslaw il 5 dicembre 1938,
Franciszek il 3 aprile 1940, Antoni il 6 giugno 1941, Maria il 16 settembre
1942. Quando inizia la sistematica deportazione verso i campi di concentramento
degli ebrei presenti sul territorio polacco, riescono a salvarsi solo quelli
che riescono a farsi ospitare e nascondere dai vicini di casa: le ricerche di
questi ultimi anni stanno facendo emergere episodi di autentico eroismo di
almeno seimila polacchi, che a rischio della loro vita hanno nascosto e salvato
gli ebrei, malgrado i tedeschi minaccino di giustiziare chiunque dia loro
copertura od ospitalità. Anche a Markowa si continua ad esercitare questa
grande opera di carità cristiana verso gli ebrei, come i coniugi Ulma, che in
casa loro nascondono non una ma ben otto persone, approfittando di abitare
lontano dal centro abitato e quindi, almeno in teoria, meno esposti alle
perquisizioni. Il “Giuda” di turno veste i panni del poliziotto di origine
ucraina Włodzimierz Leś, che per lungo tempo ha riscosso il “pizzo” da una
delle famiglie ebree ospitate dai coniugi Ulma, al punto da riuscire in pochi
mesi a succhiarne l’intera proprietà, salvo poi rivelarne ai superiori il
nascondiglio, quando questa è stata nell’impossibilità di continuare a pagare.
Così la mattina del 24 marzo 1944 i nazisti circondano la casa degli Ulma e riescono
facilmente a catturare gli otto ebrei in essa ospitati, giustiziati tutti con
un colpo alla nuca. Poi è la volta dei padroni di casa, colpevoli di averli
nascosti: Giuseppe e Vittoria vengono crivellati di colpi sulla porta di casa,
davanti ai loro bambini e a molti testimoni costretti ad assistere
all’esecuzione e per i quali deve servire come monito. Il pianto disperato dei
sei figli, il primo dei quali ha otto anni mentre la più piccola ne conta
appena due, infastidisce i nazisti, che rivolgono le armi contro la nidiata,
sterminandola tutta. “Vi abbiamo tolto il fastidio di dover pensare a loro”,
dicono in tono beffardo agli atterriti compaesani, che in una manciata di
minuti si sono visti sterminare sotto gli occhi ben 16 persone; anzi, 17,
perché Vittoria era al settimo mese della sua settima gravidanza. Sepolti nel
luogo dell’eccidio dai compaesani, costretti a scavare le fosse, dieci mesi
dopo vengono esumati di nascosto e a rischio di rappresaglie per dare loro più
degna sepoltura, scoprendo così che la settima creatura era quasi nata nella
fossa che fino ad allora era servita da tomba per i genitori. La famiglia Ulma,
compreso il “bimbo non nato”, nel 1995 viene riconosciuta “Giusta tra le
Nazioni” e nel 2003 la diocesi di Przemyśl ne inizia il processo di
beatificazione, che si concluderà il prossimo 24 maggio con la trasmissione
degli atti alla Congregazione dei Santi: perché sono in molti a ritenere che
questa famiglia abbia in modo eccezionale testimoniato l’amore fino al
martirio.
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