SERVO DI DIO GIUSEPPE OTTONE
Nella
Parrocchia Santuario dello Spirito Santo di Torre Annunziata, popolosa città ai
piedi del Vesuvio, posta in una insenatura del Golfo di Napoli, è custodita in
una cappella laterale, la tomba di Giuseppe Ottone, adolescente di 13 anni, da
tutti chiamato Peppino, come si usa chiamare in Campania e altrove, chi porta
il nome di Giuseppe.
Nacque
il 18 marzo 1928 a Castelpagano (Benevento) da genitori ignoti; la giovane
levatrice del paese (ostetrica), provvide a registrarlo all’Ufficio competente
il 23 dello stesso mese, con il nome di Giuseppe Italico, dopo che il giorno
precedente, era stato battezzato nella Chiesa del SS. Salvatore di
Castelpagano.
Il
Comune provvide a farlo accogliere nel Brefotrofio Provinciale di Benevento,
con i pochi oggetti trovatogli addosso, una fascia di tela, un pannolino ed una
cuffia.
In
seguito si saprà che Giuseppe era il frutto di una relazione casuale
extraconiugale, di una donna di Castelpagano, il cui marito era emigrato in
Argentina, da cui non tornerà più, anche perché aveva saputo della duplice
infedeltà della moglie, perché oltre il bambino, ella ebbe in seguito anche una
figlia.
Inoltre
la coppia aveva già un bambino legittimo e la donna, di cui omettiamo il nome,
dopo essere rimasta incinta, voleva abortire, ma una amica di famiglia la
convinse a portare avanti la gravidanza; la stessa amica diverrà madrina di
battesimo del neonato.
Comunque
Giuseppe non restò per molto al Brefotrofio di Benevento, perché il 22 novembre
dello stesso anno 1928, venne affidato in allevamento esterno ai coniugi Ottone
Domenico e Maria Capria di Benevento, i quali non avendo figli e per un voto
fatto dalla signora Capria, avevano richiesto un bambino da allevare con amore
e da poter crescere come un figlio loro.
Nel
timore, che potesse uscir fuori a reclamarlo in seguito la madre naturale, i
coniugi decisero di trasferirsi a Napoli; a conclusione di questa prima fase
della sua vita, viene riferito che la madre naturale, che morirà nel 1955,
saputo della famiglia Ottone, si legherà amichevolmente in seguito, con i
genitori adottivi di suo figlio e commossa e contenta diceva di essere “indegna
madre” di tale figlio.
La
famiglia è la prima chiesa domestica e tale fu la famiglia Ottone, che grazie
alla religiosità della mamma adottiva Maria Capria, non ostacolata dal marito,
diventa per Giuseppe un sicuro modello al quale egli affettuosamente s’ispira
per trovare un orientamento della propria vita.
Qualche
tempo dopo la famiglia Ottone si trasferì definitivamente a Torre Annunziata,
terra di mare, posta lungo la costa che si delinea sotto le pendici del
Vesuvio, fra Ercolano, Torre del Greco, Pompei e Castellammare di Stabia; tutte
zone che parlano degli insediamenti romani e delle distruzioni del vulcano
succedutisi nei secoli; la stessa Torre Annunziata possiede gli scavi di
Oplonti, suo antico nome, con la grande e celebre Villa di Poppea.
Giuseppe
(Peppino) cresce sincero, deciso, ricco di qualità e di virtù; va volentieri a
scuola senza mostrarsi mai scontento, disciplinato, armonioso con tutti; prima
di entrare a scuola va in chiesa, non importandosi dei dileggi dei compagni,
per una breve visita a Gesù nel Tabernacolo.
Dal
1934 frequenta fino al 1939, la Scuola Elementare, poi viene ammesso
all’Istituto Tecnico Commerciale “Ernesto Cesàro”; a scuola è il primo della
classe, sempre promosso.
La
madre adottiva faceva la smacchiatrice, il padre invece il cameriere; lei di
indole buona, pia, paziente, lui invece collerico, irascibile, spesso beveva
vino più del necessario; per questo si instaurò fra madre e figlio una intesa
di anime sensibili, costruttori ambedue di una storia d’amore filiale molto
intensa.
Fu in
famiglia un angelo della pace, aiutava la mamma nel sopportare le violenze del
padre adottivo Domenico, sempre più spesso ubriaco. Di nascosto prese ad
aiutare alcuni poveri con frequenti elemosine, utilizzando i suoi piccoli
risparmi e anche dando le sue merende.
Con
grandissimo fervore, a sette anni, ricevé la Prima Comunione il 26 maggio 1935,
nell’Arciconfraternita del Ss. Rosario, da allora si accostò all’Eucaristia con
frequenza e con la passione per una vita santa. Osservò assiduamente le pie
pratiche dei nove venerdì e dei 15 sabati; ogni primo venerdì del mese era
presente in chiesa già alle 5,30, incurante del freddo, sempre sorridente, tra
alcuni operai dello Spolettificio militare, una grande occasione di lavoro per
il territorio di Torre Annunziata.
Si
recava spesso in bicicletta alla vicina Pompei, per pregare davanti alla
Vergine del Rosario, di cui era molto devoto, nel Santuario fondato dal beato
Bartolo Longo. Come a tutti i ragazzi piaceva leggere gli albi di avventure, ne
leggeva a centinaia dopo lo studio, scambiandoli con altri ragazzi, con cui
giocava nei momenti liberi, perché Peppino pur essendo serio, studioso,
religioso, ubbidiente, era soprattutto un ragazzo con tutti i desideri e gli
svaghi tipici della sua età.
Il suo
sogno più grande, era quello di fare da grande l’Ufficiale di Marina, come del
resto lo era e lo è per tanti ragazzi torresi, che da secoli intraprendono la
carriera o i mestieri marinari.
Dopo
circa undici anni di affidamento esterno alla famiglia Ottone, il 26 giugno
1940 il giudice tutelare della Pretura di Torre Annunziata, concede
l’affiliazione di Giuseppe, che così cambia il cognome di Italico, datogli
quando fu registrato al Comune natio, in quello di Ottone.
I suoi
definitivi genitori vivranno a lungo, la madre morirà nel 1983, il padre nel
1975, abitando alle spalle della Chiesa dello Spirito Santo. In piena Guerra
Mondiale, con l’alternarsi delle vicende politiche, che creavano incertezza,
miseria, con il padre soprannominato “Mimì il fascista” e quindi coinvolto nei
turbamenti politici di quel periodo, sulla famiglia Ottone si addensò l’ombra
della tribolazione, la mamma Maria Capria dovette ricoverarsi a Napoli per
subire una duplice operazione chirurgica molto delicata, specie per quei tempi.
Giuseppe
legato alla madre da un amore filiale intenso sin da piccolo, rimane molto
scosso ed angosciato e il 3 febbraio 1941, giorno dell’operazione in clinica,
egli si reca insieme ad un gruppo di amici al doposcuola, camminando per il
centrale Corso Vittorio Emanuele III; trova a terra una immagine della Madonna
di Pompei, la raccoglie, la bacia con trasporto, dicendo “Madonna mia, se deve
morire mamma, fai morire me”.
Qualche
minuto dopo, divenne subito pallido e cadde svenuto a terra, gli amici ed un
vigile urbano lo soccorrono, trasportandolo al vicino Ospedale Civico, dove al
Pronto Soccorso viene accolto alle 15,30 “in stato di incoscienza con polso e
respiri frequentissimi…”.
La
madre, ritornata in tutta fretta dall’ospedale napoletano, senza subire la
duplice operazione, lo assiste per tutta la notte, recitando il rosario, con i
capelli diventati tutti bianchi per il dolore, ma accettando con le sue parole,
la volontà di Dio per sé e per quel suo figlio tanto amato.
Peppino
Ottone, senza riprendere conoscenza, morì alle quattro del mattino del 4
febbraio 1941 a quasi 13 anni; il suo sacrificio offerto per la mamma tanto
amata, fu accettato dal Signore, la madre guarita istantaneamente, continuò a
vivere in buona salute fino ad 88 anni.
La
stima che godette in vita presso i coetanei ed i superiori (genitori, parroco,
maestri) è andata sempre più aumentando con gli anni, tanto da mutarsi in fama
di santità. La sua salma inizialmente inumata nel cimitero della città, fu
traslata il 25 ottobre 1964 con grande partecipazione di fedeli e di autorità
di Torre Annunziata e Castelpagano, nella Parrocchia Santuario dello Spirito
Santo, detta comunemente del Carmine.
Il 6
aprile 1962 furono iniziati a Napoli, i processi per la sua beatificazione, che
proseguono presso la Congregazione per le Cause dei Santi.
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