SERVO DI DIO ALBERTO MICHELOTTI
L’adolescenza
e i primi anni della giovinezza di Alberto Michelotti, nato a Genova il 14
agosto 1958, si srotolano tutti all’ombra del campanile: animatore ACR,
catechista, impegnato in parrocchia in mille modi. La svolta significativa
della sua vita arriva però grazie al nuovo parroco, in una sintonia spirituale
e in uno stimolo reciproco che fa bene ad entrambi. È lui ad avvicinarlo ai
Focolarini, soprattutto con la
Mariapoli del 1977 durante la quale “Dio amore” entra nella
vita di Alberto così prepotentemente da scolvolgerla. Questo e non altro deve
amare, vivere e testimoniare nella normalità degli atti quotidiani di ragazzo
entusiasta, innamorato della vita, brillante negli studi di ingegneria. Ha la
stoffa del leader e la utilizza per tessere rapporti duraturi con gli amici,
soprattutto i GEN, ma anche con i tanti diseredati che va a scovare nei carrugi
della sua Genova. Vive d’Eucaristia e la comunione quotidiana diventa il suo
irrinunciable appuntamento quotidiano, anche a costo di autentici equilibrismi
tra lo studio, gli impegni di carità e le varie riunioni di cui è l’anima e il
fulcro. Nel suo cammino di ricerca dell’amore autentico scopre la purezza come
strumento per raggiungere la verà libertà e condivide questo ideale con gli
amici, in particolare con Carlo Grisolia, fatto della sua stessa pasta, anche
se da lui molto diverso, per interessi, potenzalità e carismi. Tanto ad Alberto
piace la montagna, quanto a Carlo piace leggere, suonare e scrivere poesie;
tanto il primo è razionale e “matematico”, quanto il secondo è poetico e
sensibile. Ad unirli soltanto la passione per Dio-amore e il desiderio di
vivere con intensità e portare agli altri l’ideale evangelico del mondo unito.
Carlo, nato a Bologna nel 1960, è praticamente cresciuto tra i Focolarini. Da
loro, soprattutto da Chiara Lubich che gli ha dato il nuovo nome di “Vir”, cioè
“uomo forte”, ha imparato la strategia del “farsi santi insieme” che diventa un
obiettivo concreto quando incontra Alberto nel gruppo GEN della Val
Bisagno. Tra i due si stabilisce un invidiabile sodalizio spirituale, nel
comune sforzo di “tenere Gesù in mezzo”, al punto che ciascuno conosce
dell’altro difficoltà, lotte, fallimenti, conquiste, diventando reciproco
sostegno nel comune cammino verso la santità. In mancanza degli attuali
sms, bigliettini vergati di corsa, magari su carta di fortuna, lasciati
in buca o sotto il tergicristallo dell’automobile, se non vere e proprie
lettere quando Carlo va a fare il servizio militare nella Marina: “Carlo,
aiutami sempre a vivere la mia libertà”, “Tieniti attaccato alla Madonna, pensa
a lei”, oppure “Se ce la facciamo, possiamo darci appuntamento tutti i giorni
nell’Eucarista”. La vita di Alberto si chiude sulle nostre montagne, il 18
agosto 1980, durante la traversata del massiccio dell'Argentera, in una
rovinosa caduta sul canalone ghiacciato della Lourousa. Carlo non partecipa ai
suoi funerali e non solo perché sta facendo il militare: proprio il 19 agosto
una visita medica gli ha diagnosticato un cancro, dei più maligni e galoppanti.
Inizia per lui, da un ospedale all’altro, una staffetta di 40 giorni per
arrivare all’incontro finale con Gesù. ”Offro la mia vita per tutti voi, ma
soprattutto per l’umanità che soffre, per i ragazzi del mio quartiere, della
mia parrocchia, per il mondo unito”, confida agli amici, raccomandando loro “di
essere pronti a dare la vita l’uno per l’altro”. Alle infermiere, sbalordite
dalla forza d’animo di quel ventenne che ha piena coscienza di spegnersi,
spiega: “So dove vado, sono pronto al tuffo in Dio”, e in Lui si immerge il 29
settembre, dove Alberto da 40 giorni lo sta attendendo. “E' sempre un bel gioco
quello di vivere l'Attimo Presente”, aveva scritto un giorno: a giudicare da
come speditamente sta procedendo la loro causa di beatificazione sembra proprio
che sia lui che Alberto l’abbiano vissuto pienamente. Per davvero.
Commenti
Posta un commento