SERVO DIO ANTONINHO DA ROCHA
Il 19
ottobre 1918, in rua Bandeirantes 24 (oggi 128) a San Paolo del Brasile, nacque
l’ultimo figlio di Pamfilo Marmo, poliziotto, e dona Maria Isabel da Rocha
Marmo; era stato preceduto da Maria da Penha, Nair, Ciro e Wanda. L’epoca in
cui venne alla luce era insanguinata dagli scontri della prima guerra mondiale,
mentre in Brasile imperversava un’epidemia di crup o febbre spagnola.
Il 13
giugno 1920, nella memoria di sant’Antonio di Padova, il bambino venne condotto
al fonte battesimale della chiesa di Santo Antonio do Pari: venne scelto per
lui proprio il nome di Antonio, ma per tutti fu Antoninho (come il nostro
“Tonino”).
A
neanche sei mesi, quando veniva portato a passeggio dalla balia per le vie di
San Paolo, Antoninho era molto felice e, se per caso passava di fronte a
qualche chiesa, agitava le braccine per chiedere, a modo suo, di entrare. Se
veniva condotto dentro, subito cambiava espressione nell’avvicinarsi all’altare
dove erano conservate le Ostie consacrate. Gli piaceva molto assistere alla benedizione
eucaristica e cercava d’imitare i gesti del sacerdote, alzandosi in piedi e
dando la benedizione con le sue piccole mani.
Ben
presto, il piccolo manifestò un’intelligenza vivissima, dimostrando di
comprendere facilmente gli eventi principali che si svolgevano attorno a lui.
Un giorno del 1924, quando aveva cinque anni, mentre si trovava all’ospedale
Santa Casa da Misericordia per alcune cure, udì sua madre e una suora
dell’ospedale, suor Maria Vincenzina, dialogare sulla Questione Romana e definire,
come si usava, il Papa come prigioniero dello Stato italiano. Intervenendo nel
discorso, si rivolse alla suora: «Ma non potrà continuare così. Vedrà che
presto il Papa non sarà più prigioniero. Non si affligga, perché il Papa sarà
liberato». La suora sorrise di fronte a quell’energico intervento su una
questione troppo complicata per un bambino della sua età e rispose: «Prega,
Antoninho, prega molto per il Papa!».
In
effetti, Antoninho nutrì anche in seguito un grande affetto per il Pontefice,
che all’epoca era Pio XI. Appena ne sentiva pronunciare il nome, si rallegrava
molto. Ai bambini che venivano a trovarlo e ai quali insegnava il catechismo
come poteva, ripeteva con enfasi: «Gesù disse a san Pietro: “Ti darò le chiavi
del regno dei cieli e tutto quello che legherai sulla terra, sarà legato nei
cieli e tutto quello che scioglierai sulla terra, sarà sciolto nei cieli”. Così
la Chiesa e il Papa c’insegnano la verità che dobbiamo professare».
Allo
stesso tempo, portava grande rispetto per la figura del sacerdote. Lui stesso,
da grande, avrebbe voluto diventarlo. A chi l’interrogava circa la sua
vocazione, rispondeva: «Voglio essere prete, ma voglio appartenere al clero
secolare, perché desidero stare più a contatto col popolo. E se un giorno
diventassi vicario, saprei compiere il mio dovere». Per il momento, si
accontentava, come tanti altri bambini, di giocare a celebrare la Messa con un
altarino portatile completo di tutto, perfino di paramenti in miniatura, che
gli venne regalato da un vescovo amico di famiglia. La “celebrazione” era
seguita da un momento in cui spiegava il catechismo a una mezza dozzina di
coetanei e a qualche ragazzino più grande.
Una
mattina, partecipò con i suoi familiari alla Prima Messa di padre Olegario da
Silva Barata, che suo papà aveva tempo addietro incoraggiato a seguire la
vocazione al sacerdozio. Al momento di baciargli, come d’uso, le mani
consacrate, gliele strinse fortissimo, poi l’abbracciò ed esplose in pianto.
«Guarda che stai bagnando i paramenti!», l’avvisò la madre, ma Antoninho non
smetteva di piangere, commuovendo anche il novello sacerdote.
Improvvisamente,
il piccolo cadde malato di tubercolosi. Per cercare di farlo riprendere, venne
inviato all’ospedale di São José dos Campos, a Campos de Jordão, ma anche i più
grandi sforzi risultarono vani. L’11 febbraio 1929, alcuni giorni dopo il suo
ingresso, vennero firmati i Patti Lateranensi, che sancirono definitivamente la
chiusura della Questione romana. Le parole che Antoninho aveva pronunciato
cinque anni addietro avevano assunto, ormai, un valore quasi profetico.
Pur in
mezzo a quelle sofferenze, lui non scordava i più bisognosi: s’interessò
personalmente di far liberare dalla prigione un povero, intercedendo in suo
favore. I poliziotti, colpiti dal suo comportamento, decisero di rimettere in
libertà l’uomo, che volle ricompensare Antoninho regalandogli una capra e due
capretti. Lui rifiutò e gli suggerì di rivenderli, così avrebbe ricavato
qualche soldo.
Non era
delicato solo nei confronti delle persone, ma anche degli animali. Aveva un
cane, Diamante, col quale si fece ritrarre da un fotografo professionista:
quella stessa foto, ora, compare sui suoi santini.
La sua
salute peggiorava di giorno in giorno, ma, allo stesso tempo, lui andava
conformandosi alla volontà di Dio. Una sera, al vedere sua madre rattristata a
causa delle sue condizioni, le chiese:
-
Perché sei triste, mamma?
- Per
nulla, figlio mio. Non sono mai triste accanto a te.
-
Mamma, bisogna fare la volontà di Nostro Signore! Nostro Signore ha bisogno di
me!
Dopo
una breve pausa:
- Vedi
quell’uccellino su quell’albero? Se io facessi in modo che lui venga a posarsi
sul mio dito e a cantare, riconosceresti che è per volontà di Nostro Signore?
- Sì,
figlio mio!
-
Allora, guarda! Uccellino, caro passerotto, nel nome di Dio Nostro Signore,
posati qui sul mio dito e canta!
In
effetti, il passerotto volò sulla mano di Antoninho e intonò un canto
meraviglioso e dolce.
-
Adesso, mamma, senti la volontà di Nostro Signore?
- Sì,
figlio mio, la sento e la riconosco!
- Va’,
va’, amichetto mio, sul tuo albero, e continua a cantare lì!
Così
avvenne. L’uccellino andò e riprese a cantare dall’albero dove stava prima.
Madre e
figlio tornarono a casa. Alcune ore dopo, il ragazzino la interpellò:
- Stai
ancora pensando al passerotto, mamma?
- Sì,
davvero, figlio mio...
Alcuni
giorni dopo, le domandò:
- Madre
mia, chi è il frate che stava parlando qui con me?
-
Frate, figlio mio? Non ho visto nessun frate accanto a te. Certamente, avrai
sognato...
- Bene,
mamma, non parliamone più...
Poco
dopo, bussò alla porta il postino, con una busta, che conteneva l’immagine di
un frate. Antoninho lo riconobbe:
-
Questo ritratto, madre mia, è di fra’ Fabiano di Cristo, che, poco fa, stava
chiacchierando con me.
Si
trattava, in realtà, di un francescano morto nel 1747 in concetto di santità;
l’immagine era stata inviata da una sorella del ragazzino, per chiedere di
metterlo sotto la sua protezione.
Ormai
la morte di Antoninho era imminente. Il 19 dicembre 1930, con grandi sforzi, si
mise a preparare il presepio, come se fosse in salute. La madre lo riportò
subito nel suo letto, dal quale non si sarebbe più alzato.
La
mattina del 20, venne visitato dalla superiora dell’ospedale della Santa Casa,
accompagnata da altre suore: ne fu molto felice. Dopo arrivò fra’ Angelo da
Rezende, che gli amministrò gli ultimi Sacramenti adoperando, allo scopo,
l’altarino che il ragazzo aveva preparato in anticipo.
Dopo la
Comunione, il sacerdote credette che lui avesse già reso l’anima a Dio perché
aveva gli occhi chiusi e lo toccò leggermente sulla spalla, per verificarlo.
Antoninho aprì gli occhi e disse: «Sto ringraziando Dio!».
In
seguito, chiese alla madre di preparare un’automobile per riportare il
religioso al suo convento e che non lo lasciasse andar via senza che avesse
preso una tazza di caffè. Poi chiese un bicchiere e prese a mormorare:
- Che
bella strada... ricoperta di fiori... come sono belli! Quanti angeli! Guarda,
madre mia: alcuni suonano... altri sorridono! Mi invitano ad accompagnarli...
Che bel corteo!... Io vado, mamma... Vedo... Sì... Vedo una luce! Si avvicina
un volto... Guarda, mamma: è mio nonno, tuo padre!
Chiese
che si accendessero due candele accanto all’immagine di sant’Antonio, vicino al
letto.
- Prima
che queste candele si consumino, io sarò in cielo! Sono stanco... ho bisogno di
riposare...
Era
l’inizio dell’agonia.
Ad un
tratto, in uno sforzo, aprì gli occhi. Percorse con lo sguardo la stanza,
sorridendo a tutti. Le labbra tremarono, come se dovesse dire qualcosa, poi più
nulla. L’orologio segnava le 23.30 del 21 dicembre 1930, giorno anniversario di
quella Prima Messa e di quel pianto inaspettato. Antonio aveva dodici anni.
Il
giorno dopo, venne sepolto nel Cimitero della Consolazione (Cemiterio da
Consolação) di San Paolo, precisamente al campo 80, tomba numero 6. Per uno
sbaglio da parte delle pompe funebri, il suo corpo venne chiuso in una cassa da
adulto, caricato su un carro da adulto e sepolto in una fossa da adulto.
Quell’errore, però, può essere interpretato pensando che lui, nonostante la
giovane età, fosse già maturo.
Prima
di morire, il ragazzo manifestò ai suoi familiari che desiderava che fosse
costruito un sanatorio per bambini. Il suo progetto venne messo in atto da sua
madre e da un gruppo di benefattori e ne affidarono l’amministrazione a madre
Maria Teresa di Gesù Eucaristico, fondatrice della Congregazione delle Piccole
Missionarie di Maria Immacolata (Venerabile dal 2014), la quale si occupava già
da tempo dell’assistenza agli ammalati di São José dos Campos. Inaugurato il 13
dicembre 1952, il Sanatorio Infantile Antoninho da Rocha Marmo divenne in
seguito ospedale pediatrico, con un notevole reparto maternità.
La
tomba del ragazzo divenne presto meta di pellegrinaggi: accanto al suo
monumento funebre sono state poste più di 300 targhette come ex voto. Per via
di questo fenomeno di devozione popolare, che gli è valso in anticipo gli
attributi di “Santo Antoninho” e “santo do povo” (“santo del popolo”), e per
accertare se effettivamente lui avesse incarnato le virtù cristiane in grado
eroico, l’Arcidiocesi di San Paolo ha avviato il suo processo di
beatificazione, tuttora nelle sue fasi preliminari, dopo aver ottenuto il nulla
osta da parte della Santa Sede il 27 novembre 2007.
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