BEATO PADRE ARSENIO DA TRIGOLO



Proporlo a patrono di tutti i precari: perché no?  Poche vite, infatti, sono state all’insegna della precarietà, come la sua. Addirittura le sue stesse “figlie” hanno faticato non poco a riconciliarsi con la figura del loro fondatore e ad accettarlo come tale, eppure, con la beatificazione del 7 ottobre 2017, la Chiesa ha garantito che anche la precarietà può essere un percorso verso la santità.
Giuseppe Antonio Migliavacca nasce nel 1849 a Trigolo (Cremona) e sull’autenticità della sua vocazione religiosa proprio non si può discutere, perché i segni premonitori ci sono tutti, fin da bambino: così nessuno si stupisce che a 13 anni entri in seminario e che nel 1874 venga ordinato prete.
Piuttosto ci si stupisce che, ad un anno dall’ordinazione, chieda ed ottenga di lasciare la diocesi per entrare dai Gesuiti. Sente l’esigenza di una maggiore e più intensa spiritualità e così si lascia modellare dall’ascetismo ignaziano, nel quale si ritrova perfettamente a suo agio: per questo soffre tantissimo nel momento in cui gli chiedono di lasciare la Compagnia. Ciò avviene nel 1892, come ultimo atto di una serie di incomprensioni e difficoltà.
Da Vienna a Venezia, in continuo spostamento da una casa all’altra, predica tridui, esercizi spirituali e quaresimali; confessa e fa catechismo, tiene ritiri alle varie suore, ma, nonostante questo intenso apostolato, ha qualche problema di salute, possiede soltanto un livello medio di istruzione ed inoltre è carente di doti appariscenti. Non gli è certo poi d’aiuto la sua amicizia con il vescovo Scalabrini e con il vescovo della sua ordinazione, Bonomelli, che ha qualche problemino con il Vaticano per via della famosa “questione romana”.
A farlo cadere definitivamente in disgrazia presso i Gesuiti è però la collaborazione con una certa Giuseppina Fumagalli, sedicente suora, personaggio ribelle e controverso, che a Torino ha fondato una congregazione di “Suore della Consolata” di cui si è autoproclamata superiora: dovrebbero assistere orfani (che non ci sono) e sono mandate alla questua per non si sa bene quale scopo. Ignaro di tutto ciò, egli ha indirizzato a questa congregazione un paio di ragazze veneziane ed ha anche predicato gli esercizi spirituali ad aprile 1892.
Tanto basta perché i vertici dei Gesuiti lo accusino di imprudenza ed ingenuità e chiedano con insistenza le sue dimissioni dalla Compagnia, da lui firmate con grande sofferenza. Accetta allora dal vescovo di Torino l’incarico di riorganizzare le suore della Fumagalli, facendosela ovviamente nemica e sopportando in silenzio, da parte di questa donna senza scrupoli, accuse infamanti.
Le suore di Maria SS. Consolatrice trovano però in lui il vero fondatore e direttore: da lui ricevono le Regole e la definizione del loro carisma, che sarà «attendere alle opere della misericordia sì spirituali che corporali verso i nostri prossimi, massime orfani nella tenera età».
In breve le suore crescono di numero (oggi sono più di 600), trasferiscono la casa-madre a Milano e in dieci anni raggiungono una certa stabilità, ma la precarietà per il fondatore è sempre dietro l’angolo. Considerato da alcune troppo severo e da altre troppo paterno, nel 1902 le invidie, le gelosie e le calunnie contro di lui giungono al culmine, in aggiunta all’accusa (mai provata) di usare metodi dittatoriali, tanto che il cardinal Ferrari (oggi beato) è costretto a chiedergli di lasciare l’istituto.
«La croce è la via regia del Paradiso», ha sempre predicato: ora tocca a lui ubbidire in silenzio e così, a 53 anni, chiede di farsi Cappuccino. È solito insegnare che «chi ha un cuore grande, farà cose grandi», ma è davvero difficile scorgere la grandiosità nell’apparente fallimento di padre Arsenio da Trigolo, perennemente transfuga ed ora anche fondatore rinnegato: eppure, il suo proposito «si perda tutto, ma si acquisti Dio» fa capire come sia interiormente preparato a queste disavventure, mentre si augura che nel silenzio e nel nascondimento tra i frati «tutti si dimenticheranno di me, ed io potrò cacciarmi nel Cuore di Gesù, tutto, senza riserva».
Non è esattamente ciò che è avvenuto per lui, perché se è vero che muore in silenzio, trovato cadavere nella sua cella per aneurisma il 10 dicembre 1909, e nel silenzio resta lungamente avvolto, ora la sua memoria è stata rivalutata dalle sue stesse suore, perché ancora oggi ci insegna che «l’andar diritti in Paradiso per noi non è difficile, teniamo sempre la nostra volontà diretta a Dio, non vogliamo fare se non ciò che è di suo piacere e gloria, e il Paradiso è nostro».



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