SANT’ANTONIO MARIA GIANELLI
Antonio
Maria Gianelli, vescovo di Bobbio e fondatore delle Figlie di Maria SS.
dell’Orto, nacque a Cereta, frazione di Carro in provincia di La Spezia, il 12
aprile 1789, domenica di Pasqua. I genitori, poveri contadini, lo avviarono ben
presto al lavoro dei campi ma un’amica di famiglia, Nicoletta Rebizzo,
conoscendo l’intelligenza del ragazzo che col passare degli anni aveva
manifestato segni evidenti di vocazione al sacerdozio, lo condusse a Genova
presentandolo all’arcivescovo cardinale Giuseppe Spina e favorendone l’entrata
in seminario. Il diciannovenne Antonio si mise subito in luce per la sua
condotta esemplare, caratterizzata da una profonda pietà eucaristica e da una
filiale devozione alla Madonna. Anche negli studi il profitto era eccellente,
al punto che l’arcivescovo lo ammise al suddiaconato prima che iniziasse il
corso di teologia e, colpito dalla sua facilità di parola, gli consentì di
predicare e grazie a una speciale dispensa, lo ordinò sacerdote il 23 maggio 1812
a soli 23 anni. In seguito lo nominò coadiutore di S. Matteo, la celebre
abbazia dei Doria e due anni dopo lo mandò a insegnare lettere a Carcare,
provincia di Savona, nel collegio degli Scolopi, dove il giovane prete si
schierò a favore del metodo educativo preventivo. Nel frattempo si era iscritto
alla Congregazione dei Missionari Suburbani, istituita nel 1713, per
specializzarsi nella predicazione popolare. Ma nel 1816, resasi vacante la
cattedra di retorica nel seminario, Antonio vi fu destinato e lì ebbe tra i
suoi alunni il futuro arcivescovo genovese mons. Magnasco e il venerabile
Giuseppe Frassinetti, fondatore dei Figli dell’Immacolata. Il tempo libero
degli impegni scolastici egli lo impiegava nella predicazione, nella
confessione e nella direzione spirituale di vari istituti religiosi.
Dal
1821 al 1826, come direttore della Confraternita della Santa Croce, ebbe modo
di aiutare persone di ogni condizione sociale. Il suo zelo non sfuggì
all’attenzione del nuovo arcivescovo mons. Luigi Lambruschini (futuro cardinale
e Segretario di Stato di Gregorio XVI) che gli affidò la parrocchia di San
Giovanni Battista a Chiavari, città che allora non era diocesi ma faceva parte
di quella genovese. Nel comunicargli l’incarico, il prelato gli disse: «Fate
conto d’intraprendere una missione non di pochi giorni, ma di dieci o dodici
anni». E nella lettera inviata ai chiavaresi per annunciare l’arrivo del nuovo
parroco, scrisse: «Vi mando il più bel fiore del mio giardino».
Erano
tempi difficili, quelli, per la diffusione che avevano avuto le idee
rivoluzionarie e il Gianelli si inserì attivamente nel gruppo dei cattolici che
lavoravano per una “seconda controriforma” promuovendo una più adeguata
formazione del clero, reintroducendo nei seminari la Summa Theologiae di san
Tommaso d’Aquino come testo di dogmatica e, per lo studio della morale, le
opere di S. Alfonso de’ Liguori. Nel 1827 fondò una piccola congregazione
missionaria di Liguoriani (che però non gli sopravvisse) con il compito di
predicare gli esercizi al clero e le missioni al popolo. Nello stesso anno,
aderì alla Società Economica, fondata a Chiavari dal patrizio genovese Stefano
Rivarola con scopi culturali e di beneficenza; e poiché essa manteneva un
ospizio per orfanelle, egli affidò la direzione di quest’opera alle “Signore
della Carità”, da lui istituite con criteri che fanno di lui un precursore
dell’apostolato sociale femminile. Fu questo un primo passo verso la fondazione
delle “Figlie di Maria Santissima dell’Orto “ (che il popolo chiamò poi “Gianelline”):
all’inizio del 1829 egli condusse dodici sue penitenti a far vita comune in una
piccola casa con il compito di istruire la gioventù e di curare i malati negli
ospedali e nei lazzaretti; la comunità si ingrandì e le Figlie, dopo aver
aperto una scuola per fanciulle povere, presero la direzione dell’Ospedale
civico e poi dell’Ospizio di Carità e Lavoro e, nel 1835, dell’Ospedale di La
Spezia. In quello stesso anno infuriò anche in Liguria l’epidemia del colera e
l’arciprete Gianelli, per chiedere al Signore che la città fosse risparmiata
dal flagello, organizzò una processione di penitenza con il crocifisso venerato
nella parrocchia con la partecipazione di tutta la popolazione che, cantando e
pregando, raggiunse il santuario della Madonna dell’Orto. Mentre il santo
predicava sul piazzale antistante, uno stuolo di rondini scese volteggiando
attorno al crocifisso e questo fu interpretato come una risposta positiva del
Cielo: il crocifisso rimase esposto per ottanta giorni, al termine dei quali si
fece un’altra processione per ringraziare Dio di avere preservato la città dal
morbo.
Come
riconoscimento dell’indefesso zelo apostolico arrivò al Gianelli la nomina a
vescovo di Bobbio. La piccola diocesi, legata alla memoria del suo patrono san
Colombano, era rimasta vacante per anni dopo la soppressione avvenuta durante
l’occupazione francese. Prima di prenderne possesso, il nuovo pastore distribuì
ai poveri i proventi che gli spettavano come arciprete di Chiavari, e continuò
nel suo metodo di vita basato sulla semplicità e sulla povertà: il suo alloggio
era composto di due soli locali, una camera per la notte e un piccolo studio
dove riceveva le persone. Per rendere efficace il suo ministero, oltre alla
incessante preghiera per la conversione dei peccatori, faceva penitenza,
indossava il cilicio e spesso si flagellava. Cominciò subito con la visita
pastorale, che non si faceva da diciannove anni e lui per tre volte percorse
tutta la diocesi, togliendo abusi, favorendo la predicazione, regolando
l’insegnamento del catechismo e sollecitando l’amministrazione dei sacramenti;
inoltre tenne due sinodi, riorganizzò il seminario negli studi e nella
disciplina. Non esitò a rimuovere ecclesiastici indegni. Di grande aiuto furono
al vescovo le Figlie di Maria SS. dell’Orto, da lui chiamate a Bobbio per
dirigere l’ospedale cittadino, ridotto in condizioni precarie, e più tardi
anche le scuole femminili, che mancavano di locali e di insegnanti.
Grande
amarezza gli procurò Cristoforo Bonavino, da lui stesso chiamato a Bobbio e
ordinato sacerdote. Costui purtroppo, dopo essere entrato fra gli Oblati di
Sant’Alfonso creati dal Gianelli per la riforma del clero, apostatò e con lo
pseudonimo di Ausonio Franchi arrivò a dichiararsi «maestro di ateismo»
entrando nella massoneria. Prima di morire incontrerà il beato Tommaso Reggio,
arcivescovo di Genova che era stato suo compagno di seminario, e tornerà alla
fede, riprendendo a celebrare la Messa. Ed ecco che cosa dirà di mons.
Gianelli: «La sua vita può dirsi che fosse un atto continuo e perpetuo di fede,
di speranza e di carità verso il prossimo. Tutte le sue azioni, come tutte le
sue parole,tutti i suoi pensieri, come tutti i suoi affetti, avevano un solo e
stesso principio, un solo e stesso fine: la gloria di Dio e la salute delle
anime». Stroncato dalle fatiche del suo incessante ministero, il santo si recò
a Piacenza per un periodo di riposo, ospite del vescovo locale, ma si ammalò
gravemente e il 7 giugno morì in seguito a un attacco di apoplessia. Pio XI lo
beatificò nel 1925 e Pio XII lo canonizzò il 21 ottobre 1951. L’Istituto delle
Figlie di Maria SS. dell’Orto si sviluppò rapidamente in Italia, approdando poi
in tutta l’America Latina, in Palestina e in vari Paesi d’Europa.
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