BEATO SEBASTIANO VALFRÈ
Il
Beato Valfrè nacque a Verduno, diocesi di Alba, il 9 marzo del 1629, da umile
famiglia: quando il Duca Vittorio Amedeo II nel 1689 lo volle Arcivescovo di
Torino per le straordinarie qualità dimostrate in oltre trent’anni di fecondo
ministero, la modestia dei suoi parenti, fatti venire appositamente dal Valfrè
nella Capitale, gli servì per sfuggire l’altissimo onore.
Compiuti
con successo, ma tra stenti e disagi, i suoi studi ad Alba, a Bra, e a Torino,
dove fece l’amanuense per mantenersi, entrò nel 1651 nella Congregazione
dell’Oratorio. Questa era stata fondata due anni prima da P. Pier Antonio
Defera, sollecitato dal Nunzio in Piemonte Alessandro Crescenzi, devotissimo di
S. Filippo Neri ed intenzionato a promuoverne il culto e le opere. P. Defera,
con il sacerdote Ottavio Cambiani, figura modesta per doti naturali, ma di
intensa vita spirituale, aveva iniziato l’Oratorio nello stile di semplicità
evangelica che una cronaca manoscritta 18 descrive in questi termini: “Il capitale
loro fu la virtù e la confidenza in Dio; poveri di roba, ma ricchi di
devozione, assistevano all’angusta chiesetta [ricavata in una bottega presa in
affitto in casa Blancardi, presso la chiesa di S. Francesco d’Assisi] con cuore
ampio e con fervore di spirito”.
La
Comunità e gli esercizi dell’Oratorio si trovarono in piena crisi, dopo un anno
e mezzo di vita, quando P. Defera l’11 settembre 1650, all’età di trentaquattro
anni, morì: aveva dato l’avvio ad uno straordinario ministero di predicazione -
non solo in chiesa, ma anche “discorrendo qua e là per la città” -, di
confessioni, di visite agli ospedali ed alle carceri, facendo rivivere tra i
Torinesi lo spirito dell’Apostolo di Roma. Il progetto sarebbe naufragato se il
giovane suddiacono Sebastiano Valfrè, otto mesi dopo la morte del Fondatore,
non si fosse presentato a P. Cambiani per chiedere di essere ammesso in quella
Congregazione di un solo soggetto, povera di mezzi, sull’orlo della chiusura.
Era un povero, Sebastiano, e non gli fece paura la povertà dell’istituzione:
vide, anzi, in essa l’ambiente più adatto ad un dono senza riserve. Amò quella
Comunità con tutto se stesso dedicandosi ai più umili lavori ed intraprendendo
nel contempo, sulle orme del P. Defera, un’azione pastorale di incredibile dedizione.
Si
formò perfettamente allo spirito di S. Filippo e lo visse con slancio per tutto
il resto della sua vita, fino agli ottant’anni, quando si spense, il 30 gennaio
1710, nella sua piccola camera, ingombra delle carte di studioso - si addottorò
nel 1656 in Teologia all’Università di Torino - e piena di imballaggi di
vestiario e di viveri per i poveri, amati e serviti da P. Valfrè con la
dedizione di un servo fedele. Lo assistette nell’agonia Sua Altezza Reale il
Duca Sovrano di Piemonte, che svolse personalmente l’ufficio di infermiere
nelle più umili mansioni. Anche l’ultima malattia che lo avrebbe condotto alla
morte fu fervida testimonianza della fedeltà di P. Valfrè ai suoi impegni: il
24 gennaio aveva predicato alle monache di S. Croce e si era recato subito dopo
nelle carceri a confortare un condannato a morte; corse verso casa, per
arrivare in tempo, e si inginocchiò in chiesa per la Benedizione Eucaristica,
passando poi immediatamente nel freddo ambiente dell’Oratorio per gli esercizi
della comunità; febbricitante, il giorno seguente celebrò la Messa ed accolse
per la Confessione molte persone, ma fu costretto a mettersi a letto; trascorse
i pochi giorni che gli rimanevano su questa terra attendendo alla continua
visita di penitenti e di amici, e spirò verso le otto del 30 gennaio.
La
sua salma, esposta nella chiesa, attirò tutta Torino che voleva ancora salutare
quel prete che per sessant’anni aveva percorso le strade e le piazze della
città facendo il catechismo e sollevando ogni genere di povertà, con la stessa
dedizione con cui a Corte svolgeva l’ufficio di Confessore della Real Famiglia,
e nelle carceri, negli ospedali, nella cittadella e sui bastioni, durante la
guerra, infondeva coraggio e testimoniava la carità del cristiano. Uomo di preghiera
intensa e nutrito di contemplazione, attinse dalla sua ottima preparazione
intellettuale e dalla fervida esperienza spirituale lo zelo della predicazione.
Aveva iniziato, giovane diacono, ad annunciare il Vangelo nella cappella
dell’Oratorio in Casa Blancardi, ed aveva continuato come Prefetto
dell’Oratorio e come Preposito della Congregazione; chiamato incessantemente in
conventi e monasteri, in chiese parrocchiali ed in vari istituti di carità mai
rifiutò il suo servizio.
Ma
il suo desiderio di annunciare la Parola del Signore lo portò anche fuori da
questi ambienti convenzionali: alla scuola di P. Filippo aveva appreso il
metodo del colloquio personale e della parola pronunciata “alla semplice” -
come ricordano i primi biografi - nell’incontro con ogni genere di persone, per
le vie e sulle piazze: per quarant’anni in Piazza Carlina, fece catechismo ai
mercanti di vino ed ai loro clienti iniziando, in un gruppetto, a parlare di
qualche argomento interessante, e rispondendo alle domande di quelli che si
lasciavano coinvolgere nel discorso. Fu lui a celebrare in Torino, nel 1694,
per la prima volta in Italia e forse nel mondo, la festa del S. Cuore di Gesù,
che sarebbe stata ufficialmente istituita soltanto cento anni più tardi.
Anche
i ragazzi furono campo in cui l’Apostolo del catechismo esercitò la sua
missione; tra i suoi scritti di valore, lasciò un testo di catechesi che
sarebbe servito alla Chiesa per molto tempo. Una tale dedizione al servizio
dell’annuncio potrebbe lasciar pensare che poco tempo restava al Beato per
occuparsi di altre attività. Egli, invece, si presenta non meno eccellente come
Apostolo della carità. Conobbe i problemi e le necessità soprattutto dei più
poveri nel contatto diretto con essi, fu attivamente partecipe di tutte le iniziative
di bene che in Torino fiorivano, ma fu soprattutto la cura che personalmente
dedicò alle numerose situazioni di immediato bisogno ad attirargli il cuore
della Città: quante volte fu visto - e sono i soldati di ronda a darne
testimonianza - passare durante le notti per le strade a caricarsi sulle spalle
poveri cenciosi per condurli in qualche ricovero, o salire furtivamente le
scale di misere case per depositare davanti alla porta pacchi di viveri e di
indumenti. Non vi fu categoria di bisognosi in Torino che non abbia ricevuto il
suo aiuto concreto.
La
stima di cui godeva a Corte, dove il Duca lo aveva nominato Confessore
affidandogli in particolare la formazione spirituale dei figli, diedero a P.
Valfrè la possibilità di svolgere un’azione anche sociale e politica.
Consigliere tra i più ascoltati del Duca, a cui P. Sebastiano ricordava anche
per iscritto che la giustizia deve precedere la carità, il Beato esercitò una
profonda influenza sulla società sabauda, in un’epoca travagliata da guerre, da
conflitti giurisdizionali, da rapporti difficili con le minoranze valdesi e con
gli Ebrei. Nelle complesse vicende di conflitto istituzionale fra la Corte
Sabauda e la Sede Apostolica, P. Valfrè si rese conto della impellente
necessità che i Rappresentanti diplomatici di Roma fossero ecclesiastici
formati culturalmente ma anche nello spirito. Fu lui a suggerire la fondazione
della Scuola di formazione che prepara il personale diplomatico della Chiesa:
la Pontificia Accademia Ecclesiastica non ha dimenticato l’opera di colui che
la ispirò, ed anche in occasione del suo III centenario, solennizzato il 26
aprile 2001 con una grande celebrazione nella Basilica Vaticana, lo ha
ricordato.
Il
15 luglio 1834 Gregorio XVI iscriveva P. Valfrè nell’albo dei Beati. Accanto
all’altare in cui riposano le spoglie mortali del B. Sebastiano, è stata posta
per lunghi anni la cattedra dell’insegnamento catechistico, dalla quale
l’invito costante di P. Valfrè sembrava ancor risuonare: “Catechismo,
catechismo…!”.
PREGHIERA
Con
la Tua preghiera fiduciosa alla Vergine Consolata,
o
Beato Padre Sebastiano,
e
con la Tua presenza intelligente ed attiva in Torino assediata,
hai
mostrato che nell’amore per Cristo
fiorisce
il più autentico amore per la propria città,
frutto
di una fede che non è evanescente spiritualismo
ma
adesione della vita a quel Dio che, facendosi Uomo,
siè
fatto carico delle concrete situazioni degli uomini.
Ottienici
in dono la Fede che fiorisce nell’incontro con Cristo
e
che ha colmato il Tuo cuore ed illuminato il Tuo sguardo;
la
Carità che ha mosso le Tue mani a servire,
le
Tue labbra a parlare, i Tuoi piedi a percorrere le vie della città;
la
Speranza che Ti ha sostenuto
quando
le umane certezze svanivano e spesse nubi coprivano il cielo.
Prega
per noi, Beato Sebastiano,
innamorato
di Cristo, di Maria, della città!
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