SAN FRANCESCO SAVERIO
Questo
pioniere delle missioni dei tempi moderni, patrono dell'Oriente dal 1748,
dell'Opera della Propagazione della Fede dal 1904, di tutte le missioni con S.
Teresa di Gesù Bambino dal 1927, nacque da nobili genitori il 7-4-1506 nel
castello di Xavier, nella Navarra (Spagna). Francesco non sarebbe diventato un
giurista e un amministratore come suo padre, né un guerriero come i suoi
fratelli maggiori, ma un ecclesiastico come un qualunque cadetto del tempo. Per
questo nel 1525 si recò ad addottorarsi all'università di Parigi sognando
pingui benefici nella diocesi di Pamplona. Il suo incontro con Ignazio di
Loyola fu provvidenziale perché lo trasformò da campione di salto e di corsa in
araldo del Vangelo, da professore di filosofia in Santo. Assegnato nel collegio
di Santa Barbara alla medesima stanza del Saverio, il fondatore della Compagnia
di Gesù aveva visto a fondo nell'anima di lui, gli si era affezionato e più
volte gli aveva detto: "Che giova all'uomo guadagnare anche tutto il mondo,
se poi perde l 'anima? (Mc. 8,36). Più tardi Ignazio confiderà che Francesco fu
"il più duro pezzo di pasta che avesse mai avuto da impastare" e il
Saverio, nel fare quaranta giorni di ritiro sotto la direzione d'Ignazio prima
d'iniziare lo studio della teologia, pregherà: "Ti ringrazio, o Signore,
per la provvidenza di avermi dato un compagno come questo Ignazio, dapprima
così poco simpatico".
Il
15 agosto 1534 anche lui, insieme al Loyola, nella chiesetta di Santa Maria di
Montmartre fece voto di castità e di povertà e di pellegrinare in Palestina o,
in caso d'impossibilità, di andare a Roma per mettersi a disposizione del papa.
Anche lui, all'inizio del 1537, si trovò con gli altri primi sei compagni
all'appuntamento fissato a Venezia, ma la guerra scoppiata tra la Turchia e la
Repubblica Veneta impedi loro di mandare ad effetto il voto fatto. Ignazio e i
suoi discepoli si dedicarono allora all'assistenza dei malati nell'ospedale
degl'Incurabili fondato da S. Gaetano da Thiene e, dopo essere stati ordinati
sacerdoti, alla predicazione per le piazze in uno strano miscuglio di lingue
neo-latine. A Bologna specialmente il Saverio si acquistò fama di predicatore e
di consolatore dei malati e dei carcerati, ma in sei mesi si rovinò la salute
dandosi ad austerissime penitenze. S. Ignazio lo chiamò a Roma come suo
segretario. Nella primavera del 1539 egli prese parte alla fondazione della
Compagnia di Gesù e, l'anno dopo, fu mandato al posto di Nicolò Bobadilla,
colpito da sciatica, alle Indie Orientali in qualità di legato papale per tutte
le terre situate ad oriente del capo di Buona Speranza, in seguito alle
insistenti preghiere rivolte da Giovanni III, re del Portogallo, a Ignazio per
avere sei missionari.
Durante
il penoso viaggio a vela, protrattosi per tredici mesi, il Saverio si
sovraspese per l'assistenza spirituale ai 300 passeggeri facenti parte non
certo della "buona società", nonostante che per due mesi avesse
sofferto il mal di mare. Una notte, all'ospedale di Mozambico, avendolo il medico
trovato tremante di febbre, gli ordinò di andare a letto. Poiché un marinaio
stava morendo impenitente, gli rispose: "Non posso andarci. Un fratello ha
tanto bisogno di me". Stabilitosi nel collegio di San Paolo a Goa,
cominciò il suo apostolato (1542) tra la colonia portoghese che con la sua vita
immorale scandalizzava persino i pagani. Poi estese il suo ministero ai malati,
ai prigionieri e agli schiavi con tanta premura da meritare il titolo di
"Santo Padre" e "Grande Padre". Con un campanello
raccoglieva per le strade i fanciulli e ad essi insegnava il catechismo e
cantici spirituali.
Dopo
cinque mesi il governatore delle Indie lo mandò al sud del paese dove i
portoghesi avevano costruito le loro fortezze, avviato i loro commerci e
battezzato gl'indigeni e i prigionieri di guerra senza sufficiente
preparazione. Molti di essi erano ricaduti nell'idolatria, come i pescatori di
perle della costa del Paravi i quali, otto anni prima, avevano chiesto il
battesimo per essere difesi dai maomettani. Francesco, che non possedeva il
dono delle lingue, con l'aiuto d'interpreti tradusse subito nei loro idiomi le
principali preghiere e verità della fede. Poi, per due anni, passò di villaggio
in villaggio, a piedi o su disagevoli imbarcazioni di cabotaggio, esposto a
mille pericoli, fondando chiese e scuole, facendosi a tutti maestro, medico,
giudice nelle liti, difensore contro le esazioni dei portoghesi, salutato
ovunque quale Santo e taumaturgo. "Talmente grande è la moltitudine dei
convertiti - scriveva egli - che sovente le braccia mi dolgono tanto hanno
battezzato e non ho più voce e forza di ripetere il Credo e i comandamenti
nella loro lingua". In un mese arrivò a battezzare 10.000 pescatori della
casta dei Macua, nel Travancore. Mentre era intento ad amministrare il sacramento,
ricevette la triste notizia che 600 cristiani di Manaar avevano preferito
lasciarsi uccidere anziché tornare al paganesimo. Ne provò un momento di
sconforto: "Sono così stanco di vivere - scrisse - che la migliore cosa
per me sarebbe morire per la nostra Santa fede". Lo rattristava il vedere
commettere tanti peccati e non poterci fare nulla.
Benché
continuamente a disposizione del prossimo, il Santo fu sempre trattato male da
ufficiali e mercanti portoghesi, decisi a non permettere che la sua caccia alle
anime intralciasse loro la ricerca di piaceri e di ricchezze. Noncurante degli
uomini, negli anni successivi (1545-1547) egli aprì nuovi campi all'apostolato.
Predicò per quattro mesi nell'importante centro commerciale di Malacca; visitò
l'arcipelago delle Molucche; nell'isola di Amboina, presso la Nuova Guinea,
riuscì ad avvicinare la popolazione impaurita di un villaggio stando seduto e
cantando tutti gl'inni che sapeva; si spinse fino all'isola di Ternate, estrema
fortezza dei portoghesi, e più oltre ancora, fino alle isole del Moro, al nord
delle Molucche, abitate da cacciatori di teste. Colà agli ospiti indesiderati
si servivano pietanze avvelenate. Quando il Saverio decise di visitarle, gli
suggerirono di portare con sé degli antidoti, ma egli preferì riporre in Dio
tutta la sua fiducia. "Queste isole - scriverà il 20-1-1548 - sono fatte e
disposte a meraviglia perché vi ci si perda la vista in pochi anni per
l'abbondanza delle lacrime di consolazione... Io circolavo abitualmente nelle isole
circondate da nemici e popolate da amici poco sicuri, attraverso terre
sprovviste di qualsiasi rimedio per le malattie e prive di qualsiasi soccorso
per conservare la vita". Ciononostante egli pregava: "Non
allontanarmi, o Signore, da queste tribolazioni se non hai da mandarmi dove io
possa soffrire ancora di più per amore tuo".
Dopo
tre mesi di fatiche, tornò a Ternate. Il sultano regnante fece buona
accoglienza al missionario, ma alla fede cristiana preferì le sue cento mogli e
le numerose concubine. Raggiunta Malacca nel dicembre 1547, la Provvidenza fece
incontrare al Saverio un fuggiasco giapponese, Anjiro, desideroso di farsi
cristiano per liberarsi dal rimorso cagionatogli da un delitto commesso in
patria. Il Santo rimase talmente sedotto dalle notizie da lui avute sul
Giappone e i suoi abitanti che concepì un estremo desiderio di andarli ad
evangelizzare. Dopo aver provveduto per il governo del Collegio di San Paolo a
Goa e l'invio di missionari nelle località visitate, parti per il Giappone in
compagnia di Anjiro, suo collaboratore. Sbarcò a Kagoshima, nell'isola di
Kiu-Sciu, il 15 agosto 1548. Il principe Shimazu Takahisa lo accolse
gentilmente, e mentre egli studiava la lingua del paese, Anjíro convertiva al
cattolicesimo oltre un centinaio di parenti e amici. "I Giapponesi -
scrisse il Saverio in Europa - sono il migliore dei popoli". Quando il
principe, sobillato dai bonzi, vietò ogni ulteriore battesimo, il coraggioso
missionario decise di presentarsi addirittura all'imperatore e alle università
della capitale, Miyako (Kyoto), ma a causa della guerra civile endemica le
università non vollero aprirgli le porte e l'imperatore in fuga non volle
riceverlo (1551), perché sprovvisto di doni e poveramente vestito. Si presentò
allora in splendidi abiti e con preziosi doni al principe di Yamaguchí che gli
concesse piena libertà di predicazione. In breve tempo egli riuscì a creare una
fiorente cristianità che formò le delizie della sua anima" e ad estenderla
nel vicino regno di Bungo.
Quando
nell'inverno del 1551, richiamato da urgenti affari, il Saverio ritornò in
India, in Giappone c'erano oltre 1.000 cristiani. Le fatiche avevano imbiancato
i suoi capelli. Quante volte, sempre immerso nella preghiera, aveva dovuto
camminare a piedi nudi e sanguinanti o passare a guado fiumi gelati! Quante
volte, affamato e intirizzito, era stato cacciato dalle locande a sassate!
Sovente cadde esausto sul ciglio delle strade. Per poter proseguire il suo
viaggio talora dovette occuparsi come stalliere presso viaggiatori più fortunati.
Per
i Giapponesi, i Cinesi erano i maestri indiscussi di ogni scibile. Essendosi
sempre sentito opporre dai bonzi che se la religione cristiana fosse stata
vera, i cinesi l'avrebbero già conosciuta, decise di andarli a convertire.
Poiché la prigione o la morte erano la sorte che toccava a tutti gli stranieri
che cercavano di entrare in quel paese, il Saverio organizzò un'ambasciata alla
corte dell'imperatore della Cina, di cui egli avrebbe fatto parte. A Malacca
però l'ammiraglio portoghese in carica, irritato perché non era stato scelto
lui come ambasciatore, mandò a monte il progettato viaggio denunciando
pubblicamente il Santo come falsificatore di bolle papali e imperiali. Senza
lasciarsi abbattere dal grave colpo, l'illuminato apostolo il 17-4-1552 approdò
all'isola di Sanciano con un servo cinese convertito, Antonio di Santa Fe. Colà
trovò antichi amici che gli offersero ospitalità e un contrabbandiere che per
200 ducati si dichiarò disposto a sbarcarli segretamente alle porte di Canton.
Ad un amico il Santo scrisse: "Pregate molto per noi, perché corriamo
grande pericolo di essere imprigionati. Tuttavia, già ci consoliamo
anticipatamente al pensiero che è meglio essere prigionieri per puro amor di
Dio, che essere liberi per avere voluto fuggire il tormento e la pena della
croce".
Il
giorno stabilito il contrabbandiere mancò alla parola data. Nel rigido inverno,
il Saverio si ammalò di polmonite, e privo com'era di ogni cura morì in una
capanna il 3-12-1552 dopo avere più volte ripetuto: "Gesù, figlio di
Davide, abbi pietà di me! 0 Vergine, Madre di Dio, ricordati di me!". Il
suo corpo fu seppellito dal servo nella parte settentrionale dell'isola, in una
cassa ripiena di calce. Due anni dopo fu trasportato, integro e intatto, prima
a Malacca e poi a Goa, dove si venera nella chiesa del Buon Gesù.
Paolo
V beatificò il Saverio il 21-10-1619 e Gregorio XV lo canonizzò il 12-3-1622.
Si calcola che il Santo missionario abbia conferito il battesimo a circa 30.000
pagani. Il suo continuo peregrinare per lontanissime regioni diede ad alcuni
l'impressione che fosse di temperamento volubile. Come legato del papa,
pioniere, superiore e provinciale dei Gesuiti, era spiegabile che egli,
ardentissimo della gloria di Dio e della salvezza delle anime, sospirasse di
prendere visione del suo sterminato territorio per inviarvi gli operai
occorrenti. S. Ignazio avrebbe preferito che, invece di pagare di persona,
fosse rimasto ad amministrare le missioni dell'India, e avesse inviato a
dissodare il terreno altri confratelli. La lettera che gli scrisse per
richiamarlo, almeno provvisoriamente, in Europa, giunse quando egli era già
morto.
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