IGNAZIO DI LOYOLA
Il
primo scritto che racconta la vita, la vocazione e la missione di s. Ignazio, è
stato redatto proprio da lui, in Italia è conosciuto come “Autobiografia”, ed
egli racconta la sua chiamata e la sua missione, presentandosi in terza persona,
per lo più designato con il nome di “pellegrino”; apparentemente è la
descrizione di lunghi viaggi o di esperienze curiose e aneddotiche, ma in
realtà è la descrizione di un pellegrinaggio spirituale ed interiore.
Il
grande protagonista della Riforma cattolica nel XVI secolo, nacque ad Azpeitia
un paese basco, nell’estate del 1491, il suo nome era Iñigo Lopez de Loyola,
settimo ed ultimo figlio maschio di Beltran Ibañez de Oñaz e di Marina Sanchez
de Licona, genitori appartenenti al casato dei Loyola, uno dei più potenti
della provincia di Guipúzcoa, che possedevano una fortezza padronale con vasti
campi, prati e ferriere.
Iñigo
perse la madre subito dopo la nascita, ed era destinato alla carriera
sacerdotale secondo il modo di pensare dell’epoca, nell’infanzia ricevé per
questo anche la tonsura.
Ma
egli ben presto dimostrò di preferire la vita del cavaliere come già per due
suoi fratelli; il padre prima di morire, nel 1506 lo mandò ad Arévalo in
Castiglia, da don Juan Velázquez de Cuellar, ministro dei Beni del re
Ferdinando il Cattolico, affinché ricevesse un’educazione adeguata; accompagnò
don Juan come paggio, nelle cittadine dove si trasferiva la corte allora
itinerante, acquisendo buone maniere che tanto influiranno sulla sua futura
opera.
Nel
1515 Iñigo venne accusato di eccessi d’esuberanza e di misfatti accaduti
durante il carnevale ad Azpeitia e insieme al fratello don Piero, subì un
processo che non sfociò in sentenza, forse per l’intervento di alti personaggi;
questo per comprendere che era di temperamento focoso, corteggiava le dame, si
divertiva come i cavalieri dell’epoca.
Morto
nel 1517 don Velázquez, il giovane Iñigo si trasferì presso don Antonio
Manrique, duca di Najera e viceré di Navarra, al cui servizio si trovò a
combattere varie volte, fra cui nell’assedio del castello di Pamplona ad opera
dei francesi; era il 20 maggio 1521, quando una palla di cannone degli
assedianti lo ferì ad una gamba.
Trasportato
nella sua casa di Loyola, subì due dolorose operazioni alla gamba, che comunque
rimase più corta dell’altra, costringendolo a zoppicare per tutta la vita.
Ma
il Signore stava operando nel plasmare l’anima di quell’irrequieto giovane;
durante la lunga convalescenza, non trovando in casa libri cavallereschi e
poemi a lui graditi, prese a leggere, prima svogliatamente e poi con
attenzione, due libri ingialliti fornitagli dalla cognata.
Si
trattava della “Vita di Cristo” di Lodolfo Cartusiano e la “Leggenda Aurea”
(vita di santi) di Jacopo da Varagine (1230-1298), dalla meditazione di queste
letture, si convinse che l’unico vero Signore al quale si poteva dedicare la
fedeltà di cavaliere era Gesù stesso.
Per
iniziare questa sua conversione di vita, decise appena ristabilito, di andare
pellegrino a Gerusalemme dove era certo, sarebbe stato illuminato sul suo
futuro; partì nel febbraio 1522 da Loyola diretto a Barcellona, fermandosi
all’abbazia benedettina di Monserrat dove fece una confessione generale, si
spogliò degli abiti cavallereschi vestendo quelli di un povero e fece il primo
passo verso una vita religiosa con il voto di castità perpetua.
Un’epidemia
di peste, cosa ricorrente in quei tempi, gl’impedì di raggiungere Barcellona
che ne era colpita, per cui si fermò nella cittadina di Manresa e per più di un
anno condusse vita di preghiera e di penitenza; fu qui che vivendo poveramente
presso il fiume Cardoner “ricevé una grande illuminazione”, sulla possibilità
di fondare una Compagnia di consacrati e che lo trasformò completamente.
In
una grotta dei dintorni, in piena solitudine prese a scrivere una serie di
meditazioni e di norme, che successivamente rielaborate formarono i celebri
“Esercizi Spirituali”, i quali costituiscono ancora oggi, la vera fonte di
energia dei Gesuiti e dei loro allievi.
Arrivato
nel 1523 a Barcellona, Iñigo di Loyola, invece di imbarcarsi per Gerusalemme
s’imbarcò per Gaeta e da qui arrivò a Roma la Domenica delle Palme, fu ricevuto
e benedetto dall’olandese Adriano VI, ultimo papa non italiano fino a Giovanni
Paolo II.
Imbarcatosi
a Venezia arrivò in Terrasanta visitando tutti i luoghi santificati dalla
presenza di Gesù; avrebbe voluto rimanere lì ma il Superiore dei Francescani,
responsabile apostolico dei Luoghi Santi, glielo proibì e quindi ritornò nel
1524 in Spagna.
Intuì
che per svolgere adeguatamente l’apostolato, occorreva approfondire le sue
scarse conoscenze teologiche, cominciando dalla base e a 33 anni prese a
studiare grammatica latina a Barcellona e poi gli studi universitari ad Alcalà
e a Salamanca.
Per
delle incomprensioni ed equivoci, non poté completare gli studi in Spagna, per
cui nel 1528 si trasferì a Parigi rimanendovi fino al 1535, ottenendo il
dottorato in filosofia.
Ma
già nel 1534 con i primi compagni, i giovani maestri Pietro Favre, Francesco
Xavier, Lainez, Salmerón, Rodrigues, Bobadilla, fecero voto nella Cappella di
Montmartre di vivere in povertà e castità, era il 15 agosto, inoltre promisero
di recarsi a Gerusalemme e se ciò non fosse stato possibile, si sarebbero messi
a disposizione del papa, che avrebbe deciso il loro genere di vita apostolica e
il luogo dove esercitarla; nel contempo Iñigo latinizzò il suo nome in Ignazio,
ricordando il santo vescovo martire s. Ignazio d’Antiochia.
A
causa della guerra fra Venezia e i Turchi, il viaggio in Terrasanta sfumò, per
cui si presentarono dal papa Paolo III (1534-1549), il quale disse: “Perché
desiderate tanto andare a Gerusalemme? Per portare frutto nella Chiesa di Dio
l’Italia è una buona Gerusalemme”; e tre anni dopo si cominciò ad inviare in
tutta Europa e poi in Asia e altri Continenti, quelli che inizialmente furono
chiamati “Preti Pellegrini” o “Preti Riformati” in seguito chiamati Gesuiti.
Ignazio
di Loyola nel 1537 si trasferì in Italia prima a Bologna e poi a Venezia, dove
fu ordinato sacerdote; insieme a due compagni si avvicinò a Roma e a 14 km a
nord della città, in località ‘La Storta’ ebbe una visione che lo confermò
nell’idea di fondare una “Compagnia” che portasse il nome di Gesù.
Il
27 settembre 1540 papa Polo III approvò la Compagnia di Gesù con la bolla
“Regimini militantis Ecclesiae”.
L’8
aprile 1541 Ignazio fu eletto all’unanimità Preposito Generale e il 22 aprile
fece con i suoi sei compagni, la professione nella Basilica di S. Paolo; nel
1544 padre Ignazio, divenuto l’apostolo di Roma, prese a redigere le
“Costituzioni” del suo Ordine, completate nel 1550, mentre i suoi figli si
sparpagliavano per il mondo.
Rimasto
a Roma per volere del papa, coordinava l’attività dell’Ordine, nonostante
soffrisse dolori lancinanti allo stomaco, dovuti ad una calcolosi biliare e a
una cirrosi epatica mal curate, limitava a quattro ore il sonno per adempiere a
tutti i suoi impegni e per dedicarsi alla preghiera e alla celebrazione della
Messa.
Il
male fu progressivo limitandolo man mano nelle attività, finché il 31 luglio
1556, il soldato di Cristo, morì in una modestissima camera della Casa situata
vicina alla Cappella di Santa Maria della Strada a Roma.
Fu
proclamato beato il 27 luglio 1609 da papa Paolo V e proclamato santo il 12
marzo 1622 da papa Gregorio XV.
Si
completa la scheda sul Santo Fondatore, colonna della Chiesa e iniziatore di
quella riforma coronata dal Concilio di Trento, con una panoramica di notizie
sul suo Ordine, la “Compagnia di Gesù”.
Le
“Costituzioni” redatte da s. Ignazio fissano lo spirito della Compagnia, essa è
un Ordine di “chierici regolari” analogo a quelli sorti nello stesso periodo,
ma accentuante anche nella denominazione scelta dal suo Fondatore, l’aspetto
dell’azione militante al servizio della Chiesa.
La
Compagnia adattò lo spirito del monachesimo, al necessario dinamismo di un
apostolato da svolgersi in un mondo in rapida trasformazione spirituale e
sociale, com’era quello del XVI secolo; alla stabilità della vita monastica
sostituì una grande mobilità dei suoi membri, legati però a particolari
obblighi di obbedienza ai superiori e al papa; alle preghiere del coro sostituì
l’orazione mentale.
Considerò
inoltre essenziale la preparazione e l’aggiornamento culturale dei suoi membri.
È governata da un “Preposito generale”.
I
gradi della formazione dei sacerdoti gesuiti, comprendono due anni di
noviziato, gli aspiranti sono detti ‘scolastici’, gli studi approfonditi sono
inframezzati dall’ordinazione sacerdotale (solitamente dopo il terzo anno di
filosofia), il giovane gesuita verso i 30 anni diventa professo ed emette i tre
voti solenni di povertà, castità e obbedienza, più in quarto voto di obbedienza
speciale al papa; accanto ai ‘professi’ vi sono i “coadiutori spirituali” che
emettono soltanto i tre voti semplici.
Non
c’è un ramo femminile né un Terz’Ordine. La spiritualità della Compagnia si
basa sugli ‘Esercizi Spirituali’ di s. Ignazio e si contraddistingue per
l’abbandono alla volontà di Dio espresso nell’assoluta obbedienza ai superiori;
in una profonda vita interiore alimentata da costanti pratiche spirituali,
nella mortificazione dell’egoismo e dell’orgoglio; nello zelo apostolico; nella
totale fedeltà alla Santa Sede.
I
Gesuiti non possono possedere personalmente rendite fisse, consentite solo ai
Collegi e alle Case di formazione; i professi fanno anche il voto speciale di
non aspirare a cariche e dignità ecclesiastiche.
Come
attività, in origine la Compagnia si presentava come un gruppo missionario a
disposizione del pontefice e pronto a svolgere qualsiasi compito questi volesse
affidargli per la “maggior gloria di Dio”.
Quindi
svolsero attività prevalentemente itinerante, facendo fronte alle più urgenti
necessità di predicazione, di catechesi, di cura di anime, di missioni
speciali, di riforma del clero, operante nella Controriforma e
nell’evangelizzazione dei nuovi Paesi (Oriente, Africa, America).
Nel
1547, s. Ignazio affidò alla sua Compagnia, un ministero inizialmente non
previsto, quello dell’insegnamento, che diventò una delle attività principali
dell’Ordine e uno dei principali strumenti della sua diffusione e della sua
forza, lo testimoniano i prestigiosi Collegi sparsi per il mondo.
Alla
morte di s. Ignazio, avvenuta come già detto nel 1556, la Compagnia contava già
mille membri e nel 1615, con la guida dei vari Generali succedutisi era a
13.000 membri, diffondendosi in tutta Europa, subendo anche i primi martiri
(Campion, Ogilvie, in Inghilterra).
Ma
soprattutto ebbe un’attività missionaria di rilievo iniziata nel 1541 con s.
Francesco Xavier, inviato in India e nel Giappone, dove i successivi gesuiti
subirono come gli altri missionari, sanguinose persecuzioni.
Più
duratura fu la loro opera in Cina con padre Matteo Ricci (1552-1610) e in
America Meridionale, specie in Brasile, con le famose ‘riduzioni’. Più
sfortunata fu l’opera dei Gesuiti in America Settentrionale, in cui furono
martiri i santi Giovanni de Brebeuf, Isacco Jogues, Carlo Garnier e altri
cinque missionari.
Col
passare del tempo, nei secoli XVII e XVIII i Gesuiti con la loro accresciuta
potenza furono al centro di dispute dottrinarie e di violenti conflitti
politico-ecclesiatici, troppo lunghi e numerosi da descrivere in questa sede;
che alimentarono l’odio di tanti movimenti antireligiosi e l’astio dei
Domenicani, dei sovrani dell’epoca e dei parlamentari e governi di vari Stati.
Si
arrivò così allo scioglimento prima negli Stati di Portogallo, Spagna, Napoli,
Parma e Piacenza e infine sotto la pressione dei sovrani europei, anche allo
scioglimento totale della Compagnia di Gesù nel 1773, da parte di papa Clemente
XIV.
I
Gesuiti però sopravvissero in Russia sotto la protezione dell’imperatrice
Caterina II; nel 1814 papa Pio VII diede il via alla restaurazione della
Compagnia.
Da
allora i suoi membri sono stati sempre presenti nelle dispute morali,
dottrinarie, filosofiche, teologiche e ideologiche, che hanno interessato la
vita morale e istituzionale della società non solo cattolica.
Nel
1850 sorse la prestigiosa e diffusa rivista “La Civiltà Cattolica”, voce
autorevole del pensiero della Compagnia; altre espulsioni si ebbero nel 1880 e
1901 interessanti molti Stati europei e sud americani.
Nell’annuario
del 1966 i Gesuiti erano 36.000, divisi in 79 province nel mondo e 77 territori
di missione. In una statistica aggiornata al 2002, la Compagnia di Gesù
annovera tra i suoi figli 49 Santi di cui 34 martiri e 147 Beati di cui 139
martiri; a loro si aggiungono centinaia di Servi di Dio e Venerabili, avviati
sulla strada di un riconoscimento ufficiale della loro santità o del loro
martirio.
L’alto
numero di martiri, testimonia la vocazione missionaria dei Gesuiti, votati
all’affermazione della ‘maggior gloria di Dio’, nonostante i pericoli e le
persecuzioni a cui sono andati incontro, sin dalla loro fondazione
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