PROTOMARTIRI FRANCESCANI
La Chiesa universale venera il diacono
Santo Stefano quale primo martire della cristianità, ma anche le Chiese locali,
nonché le congregazioni religiose, hanno da sempre prestato da sempre
particolare venerazione ai loro protomartiri. In data odierna è l’Ordine dei
Frati Minori a festeggiare quei confratelli che per primi hanno versato il loro
sangue a perenne testimonianza della loro fede cristiana: Berardo, Otone,
Pietro, Accursio e Adiuto, questi i loro nomi, furono i primi missionari
inviati da San Francesco nelle terre dei Saraceni.
Sei anni dopo la sua conversione,
fondato l’Ordine dei Frati Minori, San Francesco si sentì acceso dal desiderio
di martirio e decise di recarsi in Siria per predicare la fede e la penitenza
agli infedeli. La nave su cui viaggiava finì però a causa del vento sulle rive
della Dalmazia ed egli fu costretto a ritornare ad Assisi. Il desiderio di
ottenere la corona del martirio continuò comunque a pervadere il cuore di
Francesco e pensò allora di mettersi in viaggio verso il Marocco per predicare
il Vangelo di Cristo al Miramolino, capo dei musulmani, ed ai suoi sudditi.
Giuntò in Spagna, fu però costretto nuovamente a fare ritorno alla Porziuncola
da un’improvvisa malattia.
Nonostante i due insuccessi subiti,
organizzò l’Ordine in province e provvide a mandare missionari in tutte le
principali nazioni europee. Nella Pentecoste del 1219 diede inoltre licenza al
sacerdote Otone, al suddiacono Berardo ed ai conversi Vitale, Pietro, Accursio,
Adiuto, di recarsi a predicare il Vangelo ai saraceni marocchini, mentre egli
optò per aggregarsi ai crociati diretti in Palestina, al fine di visitare i
luoghi santi e convertire gli infedeli indigeni.Ricevuta la benedizione del
fondatore, i sei missionari raggiunsero a piedi la Spagna. Giunti nel regno di
Aragona, Vitale, capo della spedizione, si ammalò, ma ciò non impedì agli altri
cinque confratelli di proseguire il loro cammino sotto la guida di Berardo. A
Coimbra, in Portogallo, la regina Orraca, moglie di Alfonso II, li ricevette in
udienza. Si riposarono alcuni giorni nel convento di Alemquer, beneficiando
dell’aiuto dell’infanta Sancha, sorella del re, che fornì loro degli abiti
civili per facilitare la loro opera di apostolato tra i mussulmani. Così
abbigliati, si imbarcarono alla volta della sontuosa città di Siviglia, a quel
tempo capitale dei re mori. Non propriamente prudenti, si precipitarono
frettolosamente alla principale moschea ed ivi si misero a predicare il Vangelo
contro l’islamismo. Furono naturalmente presi per folli e malmenati, ma essi
non si scomposero e, recatisi al palazzo del re, chiesero di potergli parlare.
Miramolino li ascoltò di malavoglia e, non appena udì qualificare Maometto
quale falso profeta, andò su tutte le furie ed ordinò di rinchiuderli in
un’oscura prigione. Suo figlio gli fece notare che farli decapitare subito
sarebbe stata una sentenza troppo rigirosa, quanto sommaria, ed era dunque
preferibile osservare perlomeno qualche formalità. Dopo alcuni giorni il
sovrano li fece chiamare davanti al suo tribunale e, avendo saputo che
desideravano trasferirsi in Africa, anziché rimandarli in Italia li accontentò
imbarcandoli su un vascello pronto a salpare per il Marocco.Compagno di viaggio
dei cinque missionari fu l’infante portoghese Don Pietro Fernando, fratello del
re, assai desideroso di ammirare la corte di Miramolino. Sin dal loro arrivo
nel paese africano, Berardo, conoscitore la lingua locale, prese subito a
predicare la fede cristiana dinnanzi al re ed a criticare Maometto ed il Corano,
libro sacro dei musulmani. Miramolino li fece allora cacciare dalla città,
ordinando inoltre che fossero rimandati nelle terre cristiane. Ma i frati, non
appena furono liberati, rientrarono prontamente in città e ripresero a
predicare sulla pubblica piazza. Il re infuriato li fece allora gettare in una
fossa per farveli perire di fame e di stenti, ma essi, dopo tre settimane di
digiuno, ne furono estratti in migliori condizioni rispetto a quando vi erano
stati rinchiusi. Lo stesso Miramolino ne restò alquanto meravigliato. Ciò
nonostante dispose per una seconda volta che fossero fatti ripartire per la
Spagna, ma nuovamente essi riuscirono a fuggire e tornarono a predicare, finché
l’infante di Portogallo non li bloccò nella sua residenza sotto sorveglianza,
temendo che il loro eccessivo zelo potesse pregiudicare anche i cristiani
componenti il suo seguito.
Un giorno Miramolino, per sedare
alcuni ribelli, fu costretto a marciare con il suo esercito, richiedendo anche
l’aiuto del principe portoghese. Quest’ultimo vi erano però anche i cinque
francescani ed un giorno, in cui venne a mancare l’acqua all’esercito, Berardo
prese una vanga e scavò una fossa, facendone scaturire un’abbondante sorgente
di acqua fresca con innegabile grande meraviglia da parte dei mori. Continuando
però a predicare malgrado la proibizione del re, furono nuovamente fatti
arrestare, sottoposti a flagellazione e gettati in prigione. Furono poi allora
consegnati alla plebe, perché facesse vendicasse le ingiurie da loro proferite
contro Maometto: furono così flagellati ai crocicchi delle strade e trascinati
sopra pezzi di vetro e cocci di vasi rotti. Sulle loro piaghe vennero versati
sale e aceto misti ad olio bollente, ma essi sopportarono tutti questi dolori
con tale fortezza d’animo tanto da sembrare impassibili. Miramolino non poté
che rimanere ammirato per tanta pazienza e rassegnazione e cercò dunque di
convincerli ad abbracciare l’Islam promettendo loro ricchezze, onori e piaceri.
I cinque frati però respinsero anche le cinque giovani loro offerte in mogli e
perseverarono imperterriti nell’esaltare la religione cristiana.
A tal punto il Miramolino non
resistette più a cotante avversioni e, preso dalla collera, impugnò la sua
scimitarra e decapitò i cinque intrepidi confessori della fede: era il 16
gennaio 1220, presso Marrakech. In tale istante le loro anime, mentre
spiccavano il volo per il cielo, apparvero all’infanta Sancha, la loro
benefattrice, che in quel momento era raccolta in preghiera nella sua stanza.
I corpi e le teste dei martiri furono
subito fuori del recinto del palazzo reale. Il popolo se ne impadronì, tra urla
e oltraggi di ogni genere li trascinò per le vie della città ed infine li
espose sopra un letamaio, in preda ai cani ed agli uccelli. Un provvidenziale
temporale mise però in fuga gli animali e permise così ai cristiani di
recuperare i resti dei frati e trasportarli nella residenza dell’infante.
Questi fece costruire due casse d’argento di differente grandezza. Nella più
piccola vi depose le teste, mentre nella più grande i corpi martiri. Tornando
in Portogallo, portò infine con sé le preziose reliquie, che destinò alla
chiesa di Santa Croce di Coimbra, ove sono ancora oggi sono oggetto di
venerazione. Tale esperienza fece maturare in Sant’Antonio da Lisbona (da noi
conosciuto come Antonio di Padova) l’idea di passare dall’Ordine dei Canonici
Regolari ai Frati Minori. Appresa la notizia del martirio dei cinque suoi
figli, San Francesco esclamò: “Ora posso dire che ho veramente cinque Frati
Minori”. Furono canonizzati dal pontefice francescano Sisto IV nel 1481 ed il
Martyrologium Romanum li commemora al 16 gennaio, anniversario del loro
glorioso martirio.
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