SAN GIOVANNI DA CAPESTRANO
Dalla
data tradizionale del 28 marzo, il nuovo Calendario della Chiesa ha riportato
al 23 ottobre, data effettiva della sua morte, la memoria facoltativa di San
Giovanni da Capestrano, uno dei due Santi che, nelle opere d'arte del '400,
vengono rappresentati con lo stemma di Cristo Re.
Il
primo è San Bernardino da Siena, che mostra lo stemma raggiante sulla tipica
tavoletta di legno, da lui alzata su tutte le piazze come simbolo di libertà e
pegno di pace. Il secondo è San Giovanni da Capestrano, che sventola invece
quel luminoso stemma sopra una bandiera spiegata, garrente nell'aria di una
ideale battaglia.
Era
nato a Capestrano, vicino all'Aquila, nel 1386, da un barone tedesco, ma da
madre abruzzese, e il biondo incrocio tra il cavaliere tedesco e la fanciulla
abruzzese veniva chiamato "Giantudesco". "I miei capelli, i
quali sembravano fili d'oro - ricorderà da vecchio -io li portavo lunghi,
secondo la moda dei mio paese, sicché mi facevano una bella danza".
Studente a Perugia, si laureò e divenne ottimo giurista, tanto che Ladislao di
Durazzo lo fece governatore di quella città. Ma da Perugia si vedeva, sul
fianco del Subasio, la rosea nuvola di Assisi, e Giantudesco, caduto
prigioniero, meditò in carcere sulla vanità del mondo, come aveva già fatto il
giovane San Francesco.
Non
volle perciò tornare alla vita mondana e uscito di carcere si fece legare dalla
corda francescana, entrando nell'Ordine, dove San Bernardino propugnava, nel
nome di Gesù, la riforma della cosiddetta " osservanza ".
Giantudesco
entrò in intimità col Santo riformatore. Lo difese apertamente e valorosamente
quando, a causa della devozione del Nome di Gesù, il Santo senese venne
accusato d'eresia. Anch'egli così prese come emblema il monogramma
bernardiniano di Cristo Re e lo portò nelle sue dure battaglie contro gli
eretici e contro gl'infedeli. Il Papa lo nominò Inquisitore dei Fraticelli; lo
inviò suo legato in Austria, in Baviera, in Polonia, dove si allargava sempre
di più la piaga degli Ussiti. In Terra Santa promosse l'unione degli Armeni con
Roma.
Ovunque
c'era da incitare, da guidare e da combattere, Giantudesco alzava la sua
bandiera fregiata dal raggiante stemma di Gesù o addirittura una pesante croce
di legno, che ancora si conserva all'Aquila, e si gettava nella mischia, con
teutonica fermezza e con italico ardore.
Aveva
settant'anni, nel 1456, quando si trovò alla battaglia di Belgrado investita
dai Turchi. Entrò nelle schiere dei combattenti, dove era più incerta la sorte
delle armi, incitando i cristiani ad avere fede nel nome di Gesù. " Sia
avanzando che retrocedendo - gridava, ~ sia colpendo che colpiti, invocate il
Nome di Gesù. In Lui solo è salute! ".
Per
undici giorni e undici notti non abbandonò mai il campo. Ma questa doveva
essere la sua ultima fatica di combattente. Tre mesi dopo, il 23 ottobre,
Giantudesco moriva a Villaco, nella Schiavonia, consegnando ai suoi fedeli la
Croce, emblema di Cristo Re, che egli aveva servito, fino allo stremo delle sue
forze.
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