BEATO PAOLO VI
Quando
fu eletto papa, il cardinale Giovanni Battista Montini, ebbe a dire
profeticamente: “Forse il Signore mi ha chiamato a questo servizio non già
perché io vi abbia qualche attitudine, ma perché io soffra qualche cosa per la
Chiesa”. La sua acuta intelligenza gli fece intuire realisticamente, sin dal
primo momento, il lato più pesante di una missione densa di incognite e di
tribolazioni, che cadeva improvvisamente sulle sue spalle e che avrebbe messo a
dura prova il suo carattere ed anche il suo fisico.
La
famiglia, la gracile salute, il carattere
Il
futuro papa, Giovan Battista Montini nacque a Concesio (Brescia) il 26
settembre 1897 e alla nascita era talmente gracile e debole, che i medici che
assistettero al parto, sentenziarono: “Durerà soltanto fino a domani”. I
genitori Giorgio Montini e Giuditta Alghisi, possedevano la villa di campagna a
Concesio, dove avvenne il parto e dove trascorrevano l’estate, secondo l’usanza
delle famiglie borghesi e benestanti di Brescia e dell’epoca.
Il
bambino si riprese, ma crescerà stentatamente e malaticcio; come carattere
prese soprattutto dalla madre, nobildonna delicata e gentile, piena d’amore per
la sua famiglia, ma non espansiva, di poche carezze che manifestassero
esteriormente questo affetto.
Il
padre Giorgio era impegnato attivamente a rompere l’isolamento, in cui vennero
a trovarsi i cattolici, dopo la proclamazione di Roma a capitale d’Italia;
giovane avvocato era fautore di idee e lotte stimolanti contro
l’anticlericalismo imperante; nel 1881 fu chiamato a dirigere il quotidiano
cattolico “Il Cittadino di Brescia”, che guidò fino al 1912.
La
passione per la stampa, le polemiche roventi ma sempre civili del padre, si
trasmetteranno presto al figlio Giovan Battista, che dimostrò sempre una predilezione
per lo scrivere, che faceva intravedere una futura carriera di scrittore o
critico letterario. Crebbe all’ombra e sotto la guida del padre, che in quegli
anni fu un gran suscitatore di iniziative cattoliche, come le “Leghe bianche”
nelle campagne bresciane, l’Unione del Lavoro; il pensionato scolastico;
fondatore di una Casa Editrice “La Scuola”; impegnato in cariche pubbliche;
dirigente, per incarico del papa Benedetto XV di una Sezione dell’Azione
Cattolica; deputato per tre legislature.
La
casa dei Montini per anni vedrà la presenza di don Luigi Sturzo e Romolo Murri
che insieme a Giorgio Montini saranno i fondatori del Partito Popolare
Italiano, di estrazione cattolica, dal quale nel 1943 nascerà la Democrazia
Cristiana; il giovane Giovan Battista assisteva alle discussioni e assimilava i
concetti che poi elaborava nel suo studio; fra i frequentanti della casa c’era
anche Alcide De Gasperi.
Bisogna
dire che il futuro papa, ebbe sempre un carattere severo e malinconico, in
contrasto al clima gioioso e di concordia della sua famiglia, allietata da tre
figli Ludovico, Giovan Battista e Francesco e da tanti parenti della
patriarcale famiglia, agiata e senza ristrettezze economiche.
Eppure
su quest’adolescenza privilegiata del giovane Battista c’era come un incubo, la
sua gracilità fisica; aveva febbre improvvisa che lo abbattevano, fu dato ad
allevare per 14 mesi ad una coppia di contadini, ma il suo ritorno a Brescia
continuò ad impensierire i medici per il suo sviluppo; certamente è da
rintracciare in quel periodo infantile, caratterizzato da debolezza, i motivi
della leggera nevrosi che impregnerà il suo temperamento nell’età adulta, con
timidezza, ipersensibilità, una certa insicurezza e molte altre angosce che non
riuscì mai a nascondere.
Gioventù,
studi, sacerdozio
Alternò
brevi periodi di studio negli Istituti dei Gesuiti, sempre interrotti per
motivi di salute e proseguiti privatamente, ciò gli impedì di avere quei
contatti così necessari con altri compagni di scuola. Ciò nonostante tentò di arruolarsi
nella Prima Guerra Mondiale, ma naturalmente fu scartato, probabilmente fu una
fiammata d’amor di Patria e idealistica, comune ai giovani dell’epoca.
Amante
della velocità, la cui paura aveva vinto a forza di volontà; in una discesa
folle sulla bici, accusò un malore che verrà diagnosticato come uno scompenso
cardiaco, che se pur scomparendo nel tempo, gli vieterà comunque quei giochi
che richiedevano qualche sforzo; tutto ciò aumentò la sua timidezza e il suo
distacco, che nelle foto dell’epoca lo fanno apparire come invecchiato
precocemente, pallido, magro, solo gli occhi brillano per una continua
attenzione.
La
vocazione al sacerdozio non fu folgorante, ma graduale, frequentando sacerdoti
e respirando il clima religioso della sua famiglia. Ebbe come padre spirituale
l’oratoriano padre Giulio Bevilacqua, con il quale instaurò un’amicizia
profonda; da papa vorrà dimostrargli la sua gratitudine, creando il vecchio
parroco bresciano, cardinale, nonostante il suo meravigliato rifiuto.
Frequentando
da esterno il Seminario bresciano, sempre per i noti motivi di salute, con
l’aggiunta di un lungo esaurimento nervoso; giunse ad essere ordinato sacerdote
il 29 maggio 1920, dal vescovo di Brescia Gaggia. Certamente in questo cammino
agevolato verso il sacerdozio, che a rigor di logica per la sua salute non
avrebbe potuto raggiungere, ebbe un particolare riguardo essendo il figlio
dell’impegnatissimo in campo cattolico avvocato Montini; e il vescovo decise
per lui una destinazione per Roma; prima si laureò in cinque mesi, a Milano in
Diritto Canonico, poi nell’autunno del 1920, il giovane sacerdote arrivò a
Roma, alloggiando al Collegio Lombardo e si mise subito all’opera iscrivendosi
alla ‘Gregoriana’ per la Teologia e contemporaneamente all’Università Statale,
alla Facoltà di Lettere.
Nella
Curia Romana, carriera, Assistente FUCI romana e Nazionale, formatore di futuri
politici
Venne
segnalato da un’influente deputato bresciano, che lo conosceva da ragazzo, al
cardinale Segretario di Stato Gasparri e così Montini dopo poche settimane
entrò nell’Accademia dei nobili ecclesiastici, passaggio necessario per tutti i
diplomatici della Chiesa, dove s’impara la difficile arte di trattare con i
potenti e curando i rapporti internazionali.
Nella
Curia romana si distinse per la sua attenzione, la rapidità nell’apprendere
lingue straniere e tecniche di governo, studiosissimo, attirò l’attenzione di
mons. Pizzardo, incaricato per gli Affari Straordinari della Segreteria di
Stato e quindi dopo un anno, divenne ‘minutante’ nell’importante ufficio posto
al vertice della politica vaticana.
E
nel giugno 1921 con pochi effetti personali e tanti libri si trasferì in
Vaticano, a 24 anni, da dove uscirà trent’anni dopo, si laureò in Teologia,
conseguì il Diploma dell’Accademia per la diplomazia, ma dovette lasciare la
Statale e il suo desiderio di laurearsi in Lettere.
Fu
chiamato il “pretino che non prende mai le ferie”, lavoratore instancabile, la
sua scrivania era sempre piena di pratiche da sbrigare; ebbe come compagni,
futuri monsignori, vescovi, cardinali, come Ottaviani, Tardini, Spellmann,
Maglione, Tedeschini, ecc. Morto papa Benedetto XV nel 1922, salì al trono
pontificio l’arcivescovo di Milano Achille Ratti, che prese il nome di Pio XI;
sotto il suo pontificato cominciò l’ascesa nella Curia di Montini, che si
fermerà solo al vertice.
Il
cardinale Gasparri, suo superiore e protettore lo inviò per tre mesi a Parigi
per approfondire gli studi, poi per quattro mesi alla segreteria del Nunzio di
Polonia a Varsavia, ma il freddo del Nord lo fece ammalare sempre di più,
quindi ritornò a Roma. Per il suo desiderio di un’esperienza pastorale, così
necessaria per un prete, gli fu affidato il compito di Assistente spirituale
del Circolo Universitario Cattolico di Roma.
Trascorsero
così due anni di apostolato gioioso, oltre il suo lavoro in Curia; gli studenti
lo chiamarono “don Gibiemme” e gli davano del tu, si può dire che scoperse la
sua gioventù, con scampagnate ai castelli romani, l’organizzazione di giochi e
corsi didattici, provocando le uniche risate spontanee della sua vita; in
seguito al massimo sorriderà con un dolce, consenziente, a volte mesto sorriso,
ma mai allegro.
Nel
settembre del 1925, nel pieno del clamore della ‘Marcia su Roma’ fascista, papa
Pio XI gli diede l’incarico di Assistente Nazionale della FUCI (Giovani
universitari cattolici), carica che tenne dal 1926 al 1933, periodo difficile
per la propensione del fascismo ad avere il controllo della gioventù, specie
quella universitaria, tramite il GUF (gioventù universitari fascisti); in
questo periodo egli lavora per raccogliere le migliori intelligenze cattoliche
che escono dalle Università, per indicare le future mete politiche e sociali,
fra loro vi furono Aldo Moro, Amintore Fanfani, Giulio Andreotti, Paolo Emilio
Taviani, Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, Guido Carli.
Monsignore,
collaboratore del Segretario di Stato, ‘Sostituto Affari Ordinari’
Intanto
nella Curia continuava a salire di grado; nel 1934 era monsignore, quando morì
il card. Gasparri, subentrandogli il romano cardinale Eugenio Pacelli e il
nuovo Segretario di Stato nel riorganizzare i suoi collaboratori, chiamò
Montini, che aveva già notato per le sue specifiche doti.
Li
dividevano 20 anni di età, ma erano tanto affini, in pratica due aristocratici,
la loro carriera nella Chiesa si era svolta tutta al di fuori della cura
d’anime; entrambi dotati di suggestione mistica e dello stato di angoscia che
prende le anime raffinate, quando devono decidere. Lasciata con rammarico la
FUCI, Montini si dedicò con la dovuta passione ad essere collaboratore stretto
del card. Pacelli e nel 1937 ad appena 40 anni, venne nominato “sostituto degli
Affari Ordinari”, terzo gradino della gerarchia vaticana.
Nel
contempo all’altro ufficio di “sostituto degli Affari Straordinari” venne
chiamato il suo ex compagno ‘minutante’ Domenico Tardini; i due collaboratori
di Pacelli si stimeranno sempre, ma non si ameranno mai; tanto erano diversi
nel carattere; tradizionalista ed esuberante Tardini; aperto alle novità, ma
prudente Montini.
La
Curia per i 18 anni che vide il binomio Tardini – Montini, si divise in due
fazioni che per molti divennero dei ‘conservatori’ e dei ‘progressisti’.
Montini diventò l’ombra del cardinale Segretario di Stato, custode dei suoi
segreti diplomatici ne curò la corrispondenza.
Braccio
destro di papa Pio XII
Nel
1939 papa Pio XI morì quasi improvvisamente e Pacelli venne eletto papa con il
nome di Pio XII, i due ‘sostituti’ rimasero al loro posto e il cardinale Luigi
Maglione venne nominato Segretario di Stato, ma quando questi nel 1944 morì,
papa Pacelli decise di non sostituirlo, lasciando la carica vacante; così i due
‘Sostituti’ divennero i numeri due della gerarchia vaticana.
Il
pontificato di Pio XII, vide il grande sconvolgimento della Seconda Guerra
Mondiale, che lo rese drammatico ed angosciante nel suo ministero pontificale;
la Storia chiarirà in seguito la sua segreta opera di mediazione fra le parti,
la salvezza di Roma, gli aiuti nascosti per ebrei e rifugiati politici, la
Pontificia Opera di Assistenza, la rinascita politica, culturale, ed economica
dell’Italia sconfitta e devastata.
E al
suo fianco, discreto ma attivo, sempre nell’ombra, il suo Sostituto Montini che
a suo nome agiva in tutti i campi, dall’organizzazione dei soccorsi nel neutrale
Vaticano, all’opera diplomatica fra i contendenti, per colmo cattolici da ambo
le parti.
Allo
sfacelo della Seconda Guerra Mondiale, fece seguito la divisione del mondo in
due blocchi: Occidente ed Oriente, democrazia e comunismo, Stati Uniti e Unione
Sovietica, con in mezzo la vecchia e disastrata Europa; che si tramutò ben
presto in una lotta fra il cristianesimo e l’ateismo; in Italia si visse con lo
slogan “O Roma, o Mosca”.
Il
Sostituto Montini, moderato per natura, fu in contrasto con il Presidente
dell’Azione Cattolica Luigi Gedda, che ligio alle disposizioni di Pio XII di
cui era diventato il pupillo, cercò di organizzare i giovani d’A.C. in forma
estremistica e di lotta aperta al comunismo; ormai in Vaticano egli era
“Montini il progressista”.
Con
16 ore di lavoro al giorno organizzò l’Anno Santo del 1950; fondò le ACLI e la
Pontificia Opera di Assistenza. Fu il braccio destro del papa, ricevé ogni tipo
di personalità; era primo ministro e insieme ministro degli esteri, eppure Pio
XII non lo elevò dal semplice grado gerarchico di monsignore; rimase pur
essendo il numero due del Vaticano, un uomo modesto, sobrio, viveva in un
semplice appartamento.
Nel
Concistoro del 1953, il primo dopo molti anni, i nomi di Montini e Tardini non
comparvero, pur essendo i più qualificati alla promozione cardinalizia e
rimasero monsignori. La lotta fra ‘conservatori’ e ‘progressisti’ aveva avuto i
suoi effetti; ma Montini impose il suo appoggio a De Gasperi nelle elezioni
amministrative del 1952, il quale era allora inviso al Vaticano; i conservatori
della Curia e lo stesso Pio XII, non perdonarono la sua scelta e il 3 novembre
1953 Montini fu allontanato, perché di questo si trattò, promovendolo nel
contempo arcivescovo di Milano.
Arcivescovo
di Milano
La
consacrazione a vescovo fu celebrata dal decano dei Cardinali Tisserant, il
papa ammalato, fece sentire la sua voce con un collegamento radiofonico nella
Basilica di S. Pietro, che benediceva il “diletto figlio”, che era stato suo
diretto collaboratore per tanti anni.
Il
nuovo arcivescovo partì da Roma il 6 gennaio 1954 dopo 30 anni, per
intraprendere nella grande diocesi ambrosiana, la sua nuova esperienza
pastorale, qualità che mancava alla sua formazione di alto uomo di Chiesa,
quindi anche se fu considerato da molti un esilio, alla fine fu un disegno
della Provvidenza Divina.
Nella
diocesi di S. Ambrogio, Montini trovò una situazione socio-politica in piena
evoluzione, si era nel periodo della ricostruzione civile e industriale
post-bellica e ogni giorno arrivavano treni carichi di immigrati dal Sud.
L’angoscia di vedere una società che convulsamente, era tutta impegnata alla
costruzione di un mondo profano e materiale, lo sconvolse al punto di essere
tentato di abbandonare tutto.
Ma
nel discorso d’insediamento, presenti tutte le componenti della società
milanese, egli si dichiarò il pastore alla ricerca delle pecore smarrite,
deludendo chi si aspettava di sentire il politico raffinato qual’era. In poco
tempo riformò tutta la diocesi con piglio e metodi manageriali, ristrutturò il
palazzo arcivescovile in abbandono; il suo attivismo attirò l’attenzione di
tutto il mondo cattolico, che vide Milano come contraltare della Santa Sede.
In
breve lasciò le vecchie abitudini della Curia romana, per assumere il ritmo di
lavoro ed efficienza dei milanesi; girò da una fabbrica all’altra incontro al
mondo del lavoro; convinse l’alta finanza della città a sostenere la
costruzione di nuove chiese. Restò a Milano per otto anni e fino alla morte di
Pio XII avvenuta il 9 ottobre 1958 a Castelgandolfo, rimase arcivescovo senza
ricevere la dignità cardinalizia, com’era privilegio della diocesi di Milano.
Cardinale
con Giovanni XXIII, diventa papa Paolo VI, il suo tormentato pontificato
Nel
Conclave che seguì si avvertì l’ombra del grande assente, venne eletto papa
Giovanni XXIII, l’anziano Angelo Roncalli, patriarca di Venezia, il quale come
suo primo scritto inviò una lettera all’arcivescovo di Milano per comunicargli
la sua intenzione di nominarlo cardinale. In altre occasioni Giovanni XXIII
disse: “Quel nostro caro figlio che sta a Milano, noi siamo qui a tenergli il
posto” e lo mandò in giro per il mondo a rappresentarlo, gli fece conoscere ed
approfondire non solo il mondo cristiano ma anche quello di altre religioni;
proprio come un tirocinio per ogni futuro papa.
E
così dopo il breve pontificato di papa Giovanni, il papa che aveva indetto il
Concilio Ecumenico Vaticano II, alla sua morte avvenuta fra il compianto
generale il 3 giugno 1963, nel successivo conclave il 21 giugno 1963, veniva
eletto 265° successore di S. Pietro, Giovan Battista Montini, il gracile
pretino di Brescia, con il nome di Paolo VI, aveva 66 anni.
Un
compito pesantissimo per chiunque dopo il rivoluzionario pontificato di papa
Giovanni, che aveva scosso dalle fondamenta la Chiesa, e che aveva cercato ciò
che ci unisce, non ciò che ci divide. Toccò a lui di continuare il Concilio e
portarlo a termine, ma il compito più immane fu quello di promulgare e attuare
i decreti rivoluzionari per la Chiesa, che ne scaturirono, anche se per alcuni
il suo pensiero capovolse alcuni dettati conciliari, come quello sul celibato
dei preti.
Scrisse
encicliche basilari per la dottrina della Chiesa, come l’”Ecclesiam suam”, la
“Misterium fidei”, la “Populorum progressio”, l’”Humanae vitae”, quest’ultima
sul controllo delle nascite e sulla ‘paternità responsabile’, che tante
polemiche suscitò e che costrinse per la prima volta un papa a difendersi
pubblicamente.
Dopo
secoli fu il primo papa ad uscire dall’Italia e ad usare l’aereo; come prima
tappa dei suoi futuri viaggi apostolici si recò in Palestina il 4 gennaio 1964,
suscitando un delirio di entusiasmo nelle strette vie di Gerusalemme,
rischiando di rimanere soffocato dalla folla. Incontrò il patriarca ortodosso
Atenagora, dopo 14 secoli un papa e un patriarca si incontravano dopo lo
scisma; nel 1967 andò ad Istanbul andando così incontro umilmente alla Chiesa
d’Oriente.
Abolì
stemmi, baldacchini, la tiara pontificia, i flabelli bizantini delle fastose
cerimonie pontificie, la sedia gestatoria, le guardie nobili, i cortei di
armigeri, il trono fu sostituito da una poltrona, la Guardia Palatina; con suo
decreto stabilì che i cardinali dopo gli 80 anni non potevano entrare in
conclave; fece costruire la grandiosa aula delle udienze, che oggi porta il suo
nome.
Rimodernò
uffici e strutture del Vaticano, il modo di vestire, l’uso della lingua inglese
al posto della latina; vennero introdotti computers e telescriventi collegati
con tutto il mondo. Riformò le cariche e i dicasteri della Curia, ridimensionò
il Sant’Uffizio; invece dei soliti romani, chiamò da tutto il mondo uomini
nuovi internazionalizzando il Vaticano; furono inserite le prime segretarie.
Dovette
affrontare e contestare le novità del ‘Nuovo Catechismo olandese’, la disubbidienza
dilagante di fedeli e sacerdoti, cosa che l’angustiava oltremodo; il dissenso
di vescovi e conferenze episcopali, la contestazione anche violenta come a
Cagliari.
Andò
in India, all’ONU, a Fatima in Portogallo, in Colombia, a Ginevra, in Uganda,
nelle Filippine, dove scampò ad un attentato, nelle Isole Samoa, l’Australia,
l’Indonesia, Hong Kong e naturalmente in tante città italiane e parrocchie
romane.
Combatté
contro il divorzio che veniva introdotto in Italia, più lacerante fu la lotta
contro l’aborto, ambedue perse con suo grande dolore. Gli ultimi anni oltre la
decadenza fisica, con l’artrosi che l’affliggeva, una operazione chirurgica
alla prostata, furono amareggiati dalla ribellione del vescovo tradizionalista
francese Marcel Léfèbvre, che suscitò quasi uno scisma e poi il dolore della
morte del suo antico amico Aldo Moro, ucciso in pieno periodo di terrorismo,
dalle Brigate Rosse nel maggio 1978, nonostante il suo toccante appello a
rilasciarlo vivo.
Pochi
mesi prima della sua morte, avvenuta a Castelgandolfo il 6 agosto 1978, aveva
scritto una intensa preghiera per il funerale dell’on. Moro, che aveva
personalmente officiato in Laterano e che presagiva la fine del suo
pontificato, durato 15 intensi e tormentati anni e della sua vita durata 81 anni,
nonostante che sarebbe dovuto morire il giorno dopo la nascita: “Fa o Dio,
Padre di misericordia, che non sia interrotta la comunione che, pur nelle
tenebre della morte, ancora intercede tra i defunti da questa esistenza
temporale e noi tuttora viventi in questa giornata di un sole che
inesorabilmente tramonta…”.
E'
stato beatificato a Roma con celebrazione in Piazza San Pietro presieduta da
Papa Francesco il 19 ottobre 2014.
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