SERVA DI DIO MARIA CRISTINA OGIER


Figlia del Professor Enrico Ogier, Primario dell’Ospedale Carreggi di Firenze, nacque il 9 marzo 1955 a Firenze. «Quando venne al mondo Maria Cristina – racconta la mamma – io e mio marito eravamo le persone più felici del mondo. Era così bella che medici e Suore della clinica la chiamarono “miss maternità”». La felicità dei suoi illustri genitori durò fino al 1959, quando Cristina cominciò a zoppicare... Dopo una lunga serie di visite e di esami clinici, arrivò la tragica risposta: “Tumore al cervello”. Nel 1960 è portata in Svezia dal Prof. Olivecrona, il quale presto disse che non si poteva operarla perché il tumore era al centro del cervello: «La piccola vivrà poco», concluse molto triste l’illustrissimo medico.

“Sì a Gesù”

Cristina soffre molto, eppure non perde la vivacità e la gioia di vivere. Cresce e va a scuola dove si distingue in mezzo ai compagni. Ama il mare, la montagna. È intelligentissima e sportiva. Studia con profitto egregio sia alle elementari che alle medie e ancor più al liceo. Riuscirà a sostenere l’esame di maturità con un anno di anticipo, meravigliando tutti.
Nel 1961, a sei anni, a causa della malattia, il Parroco Don Giancarlo Setti la ammette alla Prima Comunione e la prepara lui stesso. Cristina è molto felice, perché adesso potrà accostarsi a Gesù Eucaristico, quando vorrà. Mentre le provano l’abito bianco per la festa, dice alla sua mamma: «Questo vestito lo voglio perché devo essere bella per Gesù. Ma non voglio regali. Dillo a tutti: mi diano dei soldi, perché io voglio aiutare molti poveri per amore di Gesù».
L’accontentano, anche se qualche regalo arriva lo stesso. Qualche mese dopo, Cristina racconta alla mamma: «Questa notte ho sognato Gesù. Ero in chiesa e il Crocifisso mi ha detto: “Cristina, toglimi i chiodi e la corona di spine”. Io ho fatto ciò che Lui voleva e poi l’ho portato a casa nostra. Gesù mi ha detto: “Va’, sei guarita”».
In quei giorni, infatti, risulta molto migliorata. I suoi sperano che sia guarita davvero. Ma “il male” subdolo continua a danneggiare il suo organismo. Va a Lourdes e ritorna che sta bene. Un anno dopo, Cristina spiega: «Mamma, ho sognato ancora Gesù e mi ha detto di portare la croce con Lui, per salvare il mondo... Io gli ho detto di sì. Se tu, mamma, avessi visto il suo Volto, gli avresti detto di sì anche tu».
Riprende a zoppicare e a soffrire. Ma non si lamenta mai, si preoccupa solo di non essere di peso ai suoi genitori, di aiutare gli altri, i bambini, i vecchietti, i poveri. In ognuno di loro, davvero “alla lettera”, vede Gesù (cf. Mt 25,40). Dà tutto quello che ha in elemosina. Diventata un po’ più grande va a visitare i vecchietti nei ricoveri: li lava, imbocca i paralitici, compera per loro i vestiti, resta con loro a far compagnia a lungo.
La mamma vuole comprarle una pelliccia nuova, ma Cristina rifiuta con energia: «Dammi, piuttosto, i soldi che vuoi spendere. Mi servono per i miei poveri». La mamma, in pellegrinaggio da un Santuario mariano all’altro, in cerca di guarigione per la figlia, le chiede di pregare anche lei per la sua guarigione. Cristina le risponde: «Ci sono tante persone che soffrono più di me: devo pregare per loro la Madonna».
Ogni anno va a Lourdes con i genitori. Sul treno, i malati più difficili e bisognosi sono i suoi prediletti. Non prova ribrezzo per le piaghe più ripugnanti. Nonostante una mano debole e una gamba semi-paralizzata, va continuamente dall’uno e dall’altro. Se poi alla sera, ha i piedi gonfi: «Non fa niente, l’ho fatto per Gesù che sulla croce aveva i piedi trafitti dai chiodi».

Un battello, una casa di riposo

Nel 1970 arriva a Firenze Padre Pio Conti, Cappuccino, medico e missionario in Amazzonia. Prima di ripartire, vuole specializzarsi con il Prof. Ogier, il padre di Cristina. La quale, a contatto con quel Religioso, scopre le missioni e comincia a raccogliere soldi e medicinali.
Dall’Amazzonia, Padre Conti scrive che avrebbe bisogno di una imbarcazione attrezzata per portare gli ammalati dai villaggi lungo il Rio delle Amazzoni al piccolo ospedale, in mezzo alla foresta. Aveva solo qualche canoa e il viaggio per i malati era troppo lungo e disagiato. Cristina si sente interpellata in prima persona. Scrive lettere agli amici. Si aggrappa al telefono fino a notte tarda. Chiede soldi a tutti, ai compagni di scuola, ai suoi familiari, ai colleghi di suo padre, a enti, a giornali. Per due anni lavora infaticabilmente.
Il suo entusiasmo per quell’opera contagia tutti. Invece di irritarsi, la gente rimane affascinata dal progetto per quanto sa dire Cristina, così giovane e bella e, purtroppo, così sofferente. Nelle fabbriche, gli operai e i datori di lavoro si tassano “per la barca di Padre Conti”. Quando ha la somma necessaria, con l’appoggio di una portuale di Livorno, Cristina va a Fiumicino a comprare l’imbarcazione. Con l’aiuto dell’armatora Costa, il 21 febbraio 1972, il battello dal porto di Livorno parte per l’Amazzonia: Cristina è felicissima.
Ora ha un altro progetto: soffre, andando nei ricoveri e vedendo tanti anziani soli e tristi, a volte sperduti. «Occorre – dice – per amore di Gesù trasformare i ricoveri in piccole case che siano delle famiglie per i vecchi soli e abbandonati. Voglio cominciare con una casa-famiglia a Firenze, poi faremo in altre città». Il 19 febbraio 1973, scrivendo a un amico infermo, dà di fatto il via alla sua opera. Non riuscirà a vederla realizzata, ma si impegneranno a portarla a termine i suoi genitori, con molti amici di Cristina, in sua memoria.

“Tutto per Te, Gesù”

Appena termina il Liceo classico a 18 anni, si iscrive a Medicina e si impegna a fondo nello studio, anche se soffre sempre di più e sa che deve presto morire. In un piccolo quaderno, annota i suoi colloqui con Gesù, la sua attesa dell’incontro definitivo con Lui.
«Grazie, Gesù, di avermi mostrato la Tua via e di condurmi per questa a Te. Ti amo, e la mia vita voglio che sia dedicata a Te e ai miei fratelli più poveri» (2 marzo 1972).
«Il mio amore per gli altri non deve avere confini, ma devo amare l’uomo di qualsiasi paese, nazione lontana o vicina. Amare nel Tuo amore, Gesù. Amare per ringraziarti del Tuo infinito amore verso di me» (5 marzo 1972).
«Gesù, ascoltami. Io ora vivo sognando il Paradiso e non vedo l’ora di giungervi per rivederti, o Gesù, mio unico immenso Amore» (18 ottobre 1972).
«Signore, non mi sento degna di soffrire, perché il soffrire è dei santi e io non mi sento santa e nemmeno buona, ma continuerò su questa strada, sulla strada delle piccole e grandi sofferenze che Tu mi mostri. Fa’ di me ciò che Tu vuoi, sappi che io ti amo, Gesù, e da Te accetto tutto, tutto quello che vuoi» (2 febbraio 1973).
Il 1° agosto 1973, scrive le sue ultime parole sul diario: «Gesù, Tu sai quanto ti amo e ho bisogno di Te. Aiutami in ogni attimo della mia vita. Ho paura del futuro, della vita stessa, ma non ho paura della morte che mi ricongiungerà a Te per sempre».
Nell’ottobre 1973, comincia a stare molto male. Con i suoi genitori, va ancora una volta a Stoccolma da Olivecrona, ma è un viaggio inutile. In novembre tenta una cura a Roma. Cristina non si regge più da sola: soffre, ma non si lamenta mai. Ha sete di preghiera, di Eucaristia, di intimità con Gesù.
Nonostante il dolore che la consuma, appare sempre giovane, bella, simpatica, sempre con il volto radioso e una grande voglia di vivere addosso: sembra ancora la ragazza più felice e più fortunata di Firenze. Sorride a tutti quelli che incontra. L’ultimo giorno dell’anno accetta di trascorrerlo in casa di amici, giocando e pregando e pure brindando al nuovo anno 1974, che sta per arrivare.
Si ricorda di possedere ancora un gruzzolo di soldi suoi. Che farne? Ella vuole andare povera da Gesù, con le mani vuote di ricchezze terrene ma colme di “grappoli di amore”. Manda cento mila lire in Amazzonia per le medicine e... il carburante del suo battello, dieci mila a un Istituto di spastici, duemila alla Città dei ragazzi presso Roma, mille al Santuario della Madonna in un paese della Toscana.
L’8 gennaio 1974 sembrò ancora un giorno normale. La mamma ha accompagnato Cristina in casa di parenti. Alle 18 di sera va a Messa a ricevere Gesù Eucaristico nella Comunione. Ogni volta si accosta a Lui come fosse l’ultima volta, il Viatico per la Vita eterna. Rientra in casa e si siede a tavola.
Con un’aria smarrita getta le braccia al collo della sua mamma, che se la stringe al cuore. Rimane all’istante fulminata da paralisi bulbare. Ha 18 anni e dieci mesi, di cui 14 trascorsi sulla croce con Gesù: una giovane vita come purissima offerta di amore con il Crocifisso, che oggi molti non vogliono più. Adorazione, obbedienza, espiazione, impetrazione per tutti. Servizio ai più poveri, prediletti da Dio. Come scrisse di Gesù, il Profeta Malachia (1,11), «oblatio munda», e noi diciamo «oblatio fecunda»: un’offerta pura, un’offerta feconda. La socialità più alta, l’apostolato più penetrante. Io conosco anime così, quasi sempre dimenticate, ignorate o disprezzate, ritenute “buone a nulla”, sprecate.

«Il mondo – scrisse Charles Péguy – non è salvato dai potenti, ma dalle anime sulla croce».

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