SERVO DI DIO GINO PISTONI


È pieno di vita, ha un fisico atletico e pratica con successo il calcio, il basket, lo sci e l'alpinismo. “Come giocatore di pallacanestro era fra i migliori giocatori della squadra di Ivrea, ma lo sport, che soprattutto amava era l’alpinismo, inteso oltre che come palestra di muscoli e lotta a tu per tu con le difficoltà della montagna, anche come mezzo di elevazione dello spirito e di avvicinamento a Dio”, ricordano ancora oggi gli amici di allora. In particolare, ci tengono a sottolineare che è stato “un giovane che ha saputo rispondere generosamente al primo impulso della Grazia, dire di sì a Cristo che gli passava accanto”. Ma, occorre dire, non è stato sempre così, come confessa lui stesso il giorno in cui, parlando di giovani superficiali e vuoti, commenta: “Anch’io avrei potuto essere così se….”. A modificare radicalmente la sua vita non un miracolo o alcunché di sensazionale: semplicemente il suo incontro a 18 anni e la sua adesione all’Azione Cattolica, che si rivela in grado di trasformare “una vita veramente vuota, senza uno scopo che la rendesse degna di essere vissuta". Gino Pistoni, nato nel 1924 da due piccoli commercianti di Ivrea, ha avuto, fin da piccolo, il meglio che si possa desiderare per un’educazione cristiana e una formazione umana completa: prima dalle Suore dell’Immacolata di Ivrea, poi dai Salesiani di Cuorgnè, infine al “Collegio San Giuseppe" di Torino, retto dai Fratelli delle Scuole Cristiane. Eppure, con ogni probabilità, oggi non ci troveremmo a parlare di lui se la sua strada non si fosse incrociata con l’Azione Cattolica. Perchè è da quel preciso momento, e non prima, che la sua esistenza si riveste di entusiasmo, la sua fede diventa contagiosa, la sua allegria si fa esplosiva e coinvolgente. Gli affidano subito la segreteria del centro diocesano, a stretto contatto con l’assistente diocesano e il gruppo dirigente, che assistono sbalorditi alla metamorfosi della sua vita, sconvolta dall’incontro con Gesù ed ora aperta alla Grazia. “O Signore, insegnami a fare la tua volontà, insegnami a stare degnamente ed umilmente in tua presenza”, chiede in prolungati momenti di preghiera, nel duomo della sua città o nelle sperdute chiesette di montagna. Tutto il suo tempo libero, ormai, è interamente dedicato ad annunciare e diffondere l’amore di Gesù nelle parrocchie, nei circoli, anche nella sua squadra di basket. Che, anzi, un bel giorno arriva a “tradire” per dare la precedenza ad una “Tre Giorni” dell’Azione Cattolica. E la delusione dei compagni per la sua assenza in campo si trasforma in segreta ammirazione per la scelta che ha saputo fare, dimostrando con una rinuncia, per lui dolorosa, che “non si tiene il piede in due staffe”. Lo chiamano “Gino, l’entusiasmo”, oppure “Gino tutto fuoco”, per cercare in qualche modo di esprimere tutta la carica di ottimismo e di gioia che porta con sé e che riesce a trasmettere agli altri, non sapendo quanta fatica abbia dovuto fare per vincere la sua ritrosia a parlare in pubblico, lui che per natura è un timido e preferisce assai più i fatti alle parole. Aderisce anche alla Società Operaia, fondata da Luigi Gedda nel 1942, esprimendo con ciò la sua volontà di consacrazione e santificazione restando nel mondo. Ad inizio 1944 riceve la cartolina precetto e si presenta subito al Distretto militare, anche se potrebbe invocare l’esonero per un ginocchio malandato o, semplicemente, scegliendo di lavorare in una fabbrica di attrezzature belliche. “Non vorrò mai che si dica che noi dell’AC non sappiamo amare la patria”, dice agli amici e, intanto trasforma la camerata, portandola al rosario ogni sera e poi addirittura tutta la caserma, da lui trascinata quell’anno a “fare Pasqua”. Quando si accorge, con estrema lucidità, dell’ideologia di violenza, di totalitarismo e di razzismo, che il fascismo porta con sé, sceglie di andare per i monti, insieme ai partigiani.  Ad una condizione: non dover mai imbracciare un fucile, che sarebbe un nonsenso per lui, che come cristiano non accetta la violenza. A inizio luglio è un partigiano disarmato sulle montagne di Trovinasse, nella zona del Mombarone e il 25 muore nella sua prima azione di contrasto all’invasore. Attardatosi a soccorrere un fascista ferito, viene colpito dai compagni di questo e un scheggia di mortaio gli recide l’arteria femorale. Lo ritrovano cinque giorni dopo, morto dissanguato, con accanto il tascapane, sulla cui tela è riuscito a scrivere, con il dito intinto nel proprio sangue: “Offro la mia vita per l’Azione Cattolica e per l’Italia. Viva Cristo Re!”.



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