VENERABILE FRANCESCO MARIA CASTELLI




“Fiore del Vesuvio”, così lo chiama un suo biografo e un fiore fu veramente la vita di Francesco Castelli, fiore ammirabile di purezza, contemplazione, umiltà, reciso troppo presto da questo mondo a soli 19 anni.
Il suo primo biografo fu il barnabita padre Francesco Saverio Bianchi (1822-1892), la cui opera fu stampata in varie edizioni, tradotta anche in tedesco, per tutto l’Ottocento.
‘Ciccillo’ (come nel napoletano viene a volte chiamato, chi porta il nome di Francesco) nacque in una ridente cittadina alle falde del Vesuvio, S. Anastasia, sede fra l’altro del celebre santuario della Madonna dell’Arco e dei popolari e tradizionali riti connessi al culto. Il 19 marzo 1752 Francesco venne alla luce, figlio del barone Giuseppe e della contessa Benedetta Allard, venendo battezzato due giorni dopo dallo zio, sacerdote dei Pii Operai Carlo Castelli; primo di nove figli, in una famiglia di discendenza storica, proveniente dalla Vecchia Castiglia.
Crebbe e si formò in un ambiente sano, applicandosi con diligenza allo studio; la pietà e il fervore religioso, ispirarono in lui, ben presto una grande devozione, soprattutto verso la Vergine, che invocava con l’appellativo di Madonna della Purità.
Irradiava dal suo viso, atteggiamento, agire, una pace e una gioia spirituale al punto che la gente di S. Anastasia, specie chi abitava nei dintorni della Casa baronale, esclamava con l’enfasi propria dei meridionali “Esce il sole”, quando Francesco usciva di casa.
In famiglia era additato come esempio ai fratelli, mentre nel paese dove era generalmente chiamato “'o santariello” (il santarello), si cominciava a parlare delle estasi e dei prodigi che compiva; ne citiamo uno, camminando vicino ad un campo coltivato a vite, il fratello più piccolo che era con lui, vedendo tanta abbondante uva, ne staccò un grappolo, portandolo a Francesco (Ciccillo) per mangiarla insieme, ma il fratello maggiore che della sua giovane vita ne aveva fatto una regola di rispetto della legge di Dio e della morale, gl’ingiunse di rimetterlo al suo posto; il piccolo interdetto, ma con innocenza avvicinò di nuovo il grappolo al suo picciolo e questi prodigiosamente si riattaccò.
A 15 anni, sentendosi ‘innamorato’ della vita religiosa, avendo frequentato per studio i Francescani Conventuali di S. Anastasia, scelse di entrare fra i padri Barnabiti fondati nel 1530 da s. Antonio Maria Zaccaria, i quali venivano a villeggiare con i loro aspiranti, alla “Zazzara”, località poco distante dal palazzo dei baroni Castelli.
Quindi nel novembre 1766, fu accompagnato a Napoli al fiorente collegio dei barnabiti di S. Carlo alle Mortelle, i cui giovani studenti vestivano l’abito clericale e si preparavano oltre che negli studi umanistici, anche per molti a divenire sacerdoti secolari o religiosi. Ebbe come maestro s. Francesco Saverio Maria Bianchi (1743-1815), il grande ‘Apostolo di Napoli’ barnabita e formatore di santi, venerabili e servi di Dio napoletani.
Anche in collegio si verificavano episodi di estasi ed elevazione da terra, quando Francesco Castelli pregava assorto in fervida orazione, con gli occhi rivolti alla sua celeste Patrona, la Madonna della Purità, il cui quadretto aveva portato con sé da casa.
Terminati gli studi umanistici, nel marzo 1770 a 17 anni, entrò come novizio nella Congregazione dei Chierici Regolari di S. Paolo (Barnabiti), l’anno trascorse con il più grande fervore; i suoi compagni sospiravano: “Dio ci faccia rassomigliare a lui”, il suo maestro spirituale lo definisce “Caro piccolo angelo”.
L’Eucaristia era il pane della sua verginità e la preghiera il suo respiro; respingeva le tentazioni contro l’obbedienza con la stessa energia con cui rifuggiva quelle contro la purezza. Il 1° maggio 1771 emise i voti, ma dopo qualche mese una subdola malattia, la tisi, si affacciò nella sua giovane esistenza con una molestissima tosse, che diede timore a tutti; furono chiamati i migliori medici, si misero in atto tutte le cure più idonee ed affettuose, ma tutto fu inutile, la malattia progredì inesorabilmente.
Il più tranquillo, fra tanti affanni che lo circondavano, era proprio Francesco Maria, il quale aveva già predetto e lo ripeteva ora, che non sarebbe arrivato al sacerdozio perché non ne era degno. Ai primi di settembre del 1771 gli si propose di ritornare per qualche giorno nella natia S. Anastasia in famiglia, per respirare l’aria balsamica della rinomata zona vesuviana, egli non oppose resistenza, anche se il distacco dai confratelli e il lasciare la sua cella, lo metteva a dura prova, portò con sé ancora una volta l’immagine della Madonna della Purità, come conforto nei giorni del suo involontario esilio.
Trascorse quindici giorni nel suo antico palazzo, dove i familiari erano doppiamente angosciati per lui e per la salute della madre, incinta dell’ultimo figlio; Francesco con il dono della predizione, assicurò tutti che la madre avrebbe partorito bene e il figlio nato sarebbe stato la continuazione della discendenza, perché tutti gli altri fratelli sarebbero morti prima di lui.
La sera del 18 settembre 1771 era agonizzante, attorno a lui c’erano i desolati familiari, il padre barnabita Narducci e il parroco di S. Anastasia e proprio a lui, il moribondo Francesco chiese l’ora, “Sono le ventitré” rispose il parroco e lui: “Bene ecco un’ora buona, ancora un’altra e io sarò nell’eternità”, infatti alle 24 precise, con lo sguardo rivolto alla Madonna della Purità, il venerabile spirò, aveva 19 anni e raggiungeva così la schiera degli angeli in Paradiso.
Nello stesso istante a Napoli, a S. Carlo alle Mortelle, s. Francesco Saverio Maria Bianchi, interruppe la lettura dell’Ufficio e disse ai chierici che erano con lui, di pregare insieme perché Francesco Maria Castelli era morto. Le campane della chiesa e del collegio si misero a suonare per l’’Angelus’ della notte da sole, fra lo stupore di tutti.
La causa per la sua beatificazione fu introdotta il 20 dicembre 1883, numerose grazie sono state ricevute per sua intercessione; con decreto Apostolico, il 21 marzo 1891, il suo corpo fu traslato da S. Carlo alle Mortelle dov’era da tempo (1789) alla chiesa di S. Maria di Caravaggio dei padri Barnabiti, in piazza Dante a Napoli, ove riposano attualmente nella cappella dove è anche l’urna del suo maestro, s. Francesco Saverio Maria Bianchi.




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