GIOVANNI PAOLO I
Nell’agosto
del ’78, alla morte di Paolo VI, il Cardinale Albino Luciani, Patriarca di
Venezia, giunse a Roma in preparazione del conclave. Celebrò la Messa nella
chiesa di San Marco (presso piazza Venezia), di cui portava il titolo cardinalizio.
Nell'omelia parlò ai fedeli della Vergine, Madre della Chiesa, sorella nostra,
invitando ripetutamente a pregare la Madre di Dio per l'elezione del Papa, per
il futuro Papa. Ma il Patriarca non pensava minimamente a se stesso. Anzi, era
talmente certo di tornarsene a casa che, il giorno stesso dell'entrata in
conclave, andrà a sollecitare il meccanico perché aggiusti in fretta la sua
vecchia auto, rottasi alle porte di Roma: “Mi raccomando, fate il più presto
possibile. Dovrò ritornare a Venezia tra pochi giorni e non saprei come fare a
recuperare la vettura se dovessi lasciarla qui…”.
La
Provvidenza invece aveva disposto diversamente e il 26 agosto, dopo appena un
giorno di conclave, dalla loggia di San Pietro si affacciava sorridente il
Cardinale Felici a pronunciare la formula di rito: “Eminentissimum ac
reverendissimum Dominum, Albinum...”, scandiva con tono solenne, “Sanctae
Romanae Ecclesiae Cardinalem Luciani!”.
La
folla radunata nella piazza esplodeva in un tripudio di gioia mentre le campane
di San Pietro inondavano di suoni maestosi il cielo di Roma.
Anche
a Canale d’Agordo, paese natale del nuovo Papa, era festa: “Hanno fatto Papa
l’Albino”. Per i suoi compaesani, infatti, il successore di Pietro, già vescovo
e poi patriarca, rimaneva sempre “l’Albino”, il loro “don Albino”. Un figlio
fedele dell’aspra terra bellunese.
Nato
il 17 ottobre 1912 a Forno di Canale (poi diventato Canale d’Agordo) da
Giovanni e Bortola Tancon, la fanciullezza di Albino si era svolta tra la
bellezza delle valli e delle montagne del suo paese natale, nelle sofferenze
della Prima Guerra Mondiale e la povertà di una famiglia contadina.
A 10
anni era nata la sua vocazione sacerdotale, per la predicazione di un frate
cappuccino. Nel 1923 aveva fatto il suo ingresso in seminario, a Feltre prima,
poi, nel 1928, a Belluno. Il 7 luglio 1935 ricevette l'ordinazione sacerdotale.
Cappellano ad Agordo, dove insegnò religione presso l'Istituto Tecnico
Minerario, nel 1937 fu nominato Vicerettore del Seminario di Belluno. Nel 1954
è Vicario Generale della diocesi di Belluno, quindi, nel 1958, venne consacrato
vescovo di Vittorio Veneto da Papa Giovanni XXIII. Undici anni dopo Paolo VI lo
creava Patriarca di Venezia.
Il
26 agosto ’78 Luciani è eletto 263° successore di Pietro, prendendo per la
prima volta nella storia dei papi un doppio nome. “Mi chiamerò Giovanni Paolo”,
esordì subito dopo l’elezione. “Intendiamoci: io non ho né la sapientia cordis
di Papa Giovanni, né la preparazione e la cultura di Papa Paolo, però sono al loro
posto, devo cercare di servire la Chiesa. Spero che mi aiuterete con le vostre
preghiere”.
I
giornali cominciarono a chiamarlo “il papa del sorriso”. Si attendevano con
trepidazione le sue udienze generali. Luciani potè farne solo quattro: una
sull’umiltà (che gli stava molto a cuore, avendo scelto per sé il motto
“Humilitas”), le altre tre sulle virtù teologali: fede, speranza e carità. Come
un semplice catechista qualsiasi. E catechista nel profondo del cuore egli era
sempre stato: da parroco, prima, poi da vescovo, da patriarca, infine da papa.
Sbriciolare con semplicità le grandi verità della fede, spezzando agli umili il
pane del Vangelo. Questo era sempre stato il suo obiettivo, il suo programma.
Una precisa scelta pastorale.
Da
giovane seminarista, infatti, Albino Luciani durante l’estate aveva provato a
scrivere qualche articolo per il bollettino parrocchiale di Canale d’Agordo e
il parroco, paziente, correggeva con calma spiegando: “Vedi, Albino, quando
scrivi pensa che il tuo articolo deve essere capito anche da quella vecchietta
che sta lassù, in cima al paese, e che non ha studiato e sa appena leggere”.
Si
può dire che Luciani ebbe sempre quella vecchietta davanti agli occhi, anche
quando giunse sul soglio di Pietro. Per questo la gente lo amava. E non l’ha
mai dimenticato, pur se il suo pontificato è stato breve. Ma, come ebbe a dire
il suo successore Karol Wojtyla, che prendendone il nome ne assunse
implicitamente l’eredità, “trentatrè giorni bastano come tempo dell’amore”.
Oggi,
a ventiquattro anni dalla morte, avvenuta nella notte del 28 settembre ’78, per
infarto cardiaco, “don Albino” parla ancora. Nella chiesa che lo accolse al
fonte battesimale e dove celebrò la sua prima Messa, a Canale d’Agordo, il
pellegrinaggio dei devoti è continuo. Questo papa, dunque, non è stato quella
“meteora” di cui qualche volta si dice. Il vescovo di Belluno, Vincenzo Savio,
il 26 agosto 2002, nella ricorrenza della sua elezione al soglio pontificio,
tra gli applausi scroscianti dei fedeli, ha comunicato l’inizio
dell’istruttoria per la sua causa di canonizzazione.
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