PADRE KOLBE
Famiglia
e primi anni
Rajmund
Kolbe nacque l’8 gennaio1894 a Zduńska Wola, nella Polonia centrale, e fu
battezzato lo stesso giorno nella chiesa parrocchiale dell’Assunta. I suoi
genitori, Mariann Dabrowska e Juliusz Kolbe, erano ferventi cristiani: il
padre, inoltre, era un patriota che mal sopportava la divisione della Polonia
di allora in tre parti, dominate da Russia,Germania e Austria. Dei cinque figli
che ebbero, rimasero in vita solo Franciszek, Rajmund e Josef.
A
causa delle scarse risorse finanziarie, solo il primogenito poté frequentare la
scuola, mentre Rajmund cercò di imparare qualcosa tramite un prete e poi con il
farmacista del paese. Avvertì i primi segni della vocazione religiosa quando,
mentre pregava nella chiesa di San Matteo a Pabianice (dove la famiglia si era
trasferita poco dopo la sua nascita), gli apparve la Vergine Maria, che gli
porgeva due corone di fiori, una di gigli e una di rose rosse, simboli della
verginità e del martirio: lui le prese entrambe.
Il
18 agosto 1907 ricevette la Cresima nella chiesa parrocchiale di Santa Maria
Assunta a Zduńska Wola.
Allievo
dei Frati Minori Conventuali
Non
molto lontano, a Leopoli, si stabilirono i Frati Minori Conventuali, i quali
proposero ai Kolbe di accogliere nel loro Seminario minore i primi due figli,
perché vi compissero gli studi. Consci che nella zona russa, dove
risiedevano,non avrebbero potuto, a causa del regime imperante, dare un
indirizzo e una formazione intellettuale e cristiana ai propri ragazzi,
accondiscesero.
Libera
ormai della cura dei figli e col consenso del marito, nel 1907, Mariann si
ritirò presso le Suore Benedettine di Leopoli; nel 1913 passò alle Suore
Feliciane di Cracovia, come terziaria. Juliusz Kolbe, invece, dimorò per
qualche tempo nel convento di San Francesco a Cracovia, prima di combattere per
la patria; probabilmente fu ucciso dai russi.
Anche
il terzo figlio, Josef, dopo un periodo in un pensionato benedettino, entrò fra
i francescani col nome di padre Alfonso.
Da
Rajmund a padre Massimiliano Maria
Franciszek
e Rajmund passarono entrambi nel noviziato francescano: il primo in seguito, ne
uscì, dedicandosi alla carriera militare. Prese parte alla prima guerra
mondiale e scomparve in un campo di concentramento.
Rajmund,
invece, comprese che per corrispondere al volere di Dio su di lui doveva
diventare francescano conventuale. Il 4 settembre 1910, con l’ingresso in
noviziato, assunse il nome di fra Massimiliano; un anno dopo, il 5 settembre
1911, emise la professione semplice.
Dopo
il noviziato fu inviato a Roma, per proseguire la sua formazione: dal 1912
dimorò quindi presso il Collegio Serafico Internazionale. In occasione della
professione solenne, il 1° novembre 1914, aggiunse al nome che già portava
quello di Maria. Nel 1915 si laureò in filosofia all’Università Gregoriana.
La
Milizia dell’Immacolata
Nel
corso del suo soggiorno, mentre giocava a palla in aperta campagna, fra
Massimiliano cominciò a perdere sangue dalla bocca: fu l’inizio della
tubercolosi che, tra alti e bassi, l’accompagnò per tutta la vita.
Intanto,
mentre consolidava la propria formazione, si era reso conto di dover operare
per la difesa del Regno di Dio, sotto la protezione di Maria Immacolata. Sapeva
di vivere in tempi influenzati dal Modernismo e dalla massoneria e forieri di
totalitarismi sia di destra che di sinistra. Così, dopo aver ottenuto il
permesso dei superiori, la sera del 16 ottobre 1917 diede vita, con altri sei
compagni, alla “Milizia di Maria Immacolata” (in sigla, MI), che aveva come
scopo "Rinnovare ogni cosa in Cristo attraverso l’Immacolata".
Ordinazione
sacerdotale e primi tempi del ministero
Il
28 aprile 1918 fra Massimiliano venne ordinato sacerdote nella chiesa di
Sant’Andrea della Valle e celebrò la Prima Messa il giorno successivo, a
Sant’Andrea delle Fratte: avvenne proprio all’altare presso il quale, nel 1842,
Alphonse Ratisbonne aveva avuto l’apparizione della Vergine Maria che segnò
l’inizio della sua conversione. Nel 1919, laureandosi in teologia, concluse il
suo periodo romano.
Ritornato
in Polonia, a Cracovia, pur essendo laureato a pieni voti, era praticamente
inutilizzabile nell’insegnamento o nella predicazione: a causa della malferma
salute, infatti, non poteva parlare a lungo. Per questo motivo, ottenuti i
permessi dei superiori e del vescovo, si dedicò interamente alla Milizia
dell’Immacolata, raccogliendo numerose adesioni fra religiosi del suo Ordine,
professori e studenti dell’Università, professionisti e contadini.
«Il
Cavaliere dell’Immacolata»
Alternando
al ministero lunghi periodi nel sanatorio di Zakopane, a causa della
tubercolosi che avanzava, padre Massimiliano Maria diede inizio, nel 1922, alla
pubblicazione della rivista ufficiale «Rycerz Niepokalanej» («Il Cavaliere
dell’Immacolata»), per alimentare lo spirito e la diffusione della Milizia.
Impiantò
l’officina per la stampa del giornale con vecchi macchinari a Grodno, a 600 km
da Cracovia, dove era stato trasferito. Con suo stesso stupore, si rese conto
di attirare molti giovani, desiderosi di condividere quella vita francescana;
nel contempo, la tiratura della stampa aumentava sempre più. Intanto, il 2
ottobre 1922, Il cardinale vicario della diocesi di Roma approvò canonicamente
la MI come “Pia Unione”.
Niepokalanów
Cinque
anni dopo, nel 1927, diede inizio alla costruzione di un nuovo convento nei
pressi di Varsavia, grazie alla donazione di un terreno da parte del conte
Lubecki: gli diede il nome di Niepokalanów (“Città dell’Immacolata”).
Quello
che avvenne negli anni successivi ha del miracoloso: dalle prime capanne si
passò ad edifici in mattoni; dalla vecchia stampatrice si passò alle moderne
tecniche di stampa e composizione; dai pochi operai ai 762 religiosi di dieci
anni dopo. «Il Cavaliere dell’Immacolata», cui si aggiunsero altri sette
periodici, raggiunse la tiratura di milioni di copie.
In
Giappone
Con
l’ardente desiderio di espandere il suo Movimento mariano oltre i confini
polacchi e sempre con il permesso dei superiori, si recò in Giappone dove, dopo
le prime incertezze, poté fondare il convento di Mugenzai no Sono (“Giardino
dell’Immacolata”) a Nagasaki. Il 24 maggio 1930 aveva già una tipografia e si
spedivano le prime diecimila copie di «Mugenzai no seibo no kishi»,«Il
Cavaliere dell’Immacolata» in lingua giapponese. In questa città si rifugeranno
gli orfani di Nagasaki, dopo l’esplosione della prima bomba atomica.
Dal
29 maggio al 24 luglio 1932 si recò a Ernakulam, sulla costa occidentale
dell’India, per verificare la possibilità di costruire un terzo convento, poi
tornò a Nagasaki.
Il
rientro in Polonia
Per
poter essere curato, fu richiamato in Polonia a Niepokalanów, che era diventata
nel frattempo una vera cittadina operosa intorno alla stampa dei vari
periodici, tutti di elevata tiratura. Con i 762 religiosi c’erano anche 127
seminaristi. Padre Massimiliano Maria venne nominato padre guardiano di
Niepokalanów nel 1936 e confermato in quell’incarico dopo tre anni.
L’8
dicembre 1939 diede vita a una nuova modalità di diffusione del suo messaggio,
inaugurando la stazione radio SP3RN (Stazione Polacca 3 Radio Niepokalanów),
della quale aprì personalmente le trasmissioni.
La
prima prigionia
Ormai
la Seconda Guerra Mondiale era alle porte: padre Kolbe, presago della propria
fine e di quella della sua opera, preparò a questo i suoi confratelli. Dopo
l’invasione del 1° settembre 1939, infatti, i nazisti ordinarono lo
scioglimento di Niepokalanów. A tutti i religiosi che partivano, spargendosi
per il mondo, egli raccomandava: «Non dimenticate l’amore». Rimasero circa 40
frati, che trasformarono la città in un luogo di accoglienza per feriti,
ammalati e profughi.
Il
19 settembre 1939 i tedeschi deportarono il piccolo gruppo rimasto nel campo di
concentramento di Amtitz in Germania. Furono inaspettatamente liberati l’8
dicembre, dopo aver cercato di cogliere la prigionia come occasione di
testimonianza.
Ritornati
a Niepokalanów,ripresero la loro attività di assistenza per circa 3500
rifugiati, di cui 1500 ebrei. Durò solo qualche mese: i rifugiati furono
dispersi o catturati. Lo stesso padre Kolbe, dopo aver rifiutato di prendere la
cittadinanza tedesca per salvarsi, venne rinchiuso il 17 febbraio 1941 nella
prigione Pawiak a Varsavia, insieme a quattro confratelli: padre Giustino
Nazim, padre Urbano Cieolak, padre Pio Bartosik e padre Antonin Bajewski (questi
ultimi due beatificati il 13 giugno 1999).
Nel
campo di Auschwitz
Dopo
aver subito maltrattamenti dalle guardie del carcere, indossò abiti civili,
perché il saio francescano li adirava moltissimo. Il 28 maggio fu trasferito al
campo di sterminio di Oświęcim(Auschwitz), dove ricevette il numero di
matricola 16670.
Condivise
la sorte e le sofferenze di molti altri prigionieri e, come essi, fu addetto ai
lavori più umilianti, come il trasporto dei cadaveri al crematorio.La sua
dignità di sacerdote e uomo retto, che sopportava, consolava e perdonava, fece
commentare un testimone così: «Kolbe era un principe in mezzo a noi».
Il
martirio
Alla
fine di luglio fu trasferito al Blocco 14, dove i prigionieri erano addetti
alla mietitura nei campi. Uno di loro riuscì a fuggire: secondo l’inesorabile
legge del campo, dieci prigionieri vennero destinati al cosiddetto bunker della
fame nel Blocco 13, condannati a morire senza prendere cibo. Padre Kolbe si
offrì in cambio di uno dei prescelti, Franciszek Gajowniczek,padre di famiglia
e militare nell’esercito polacco, dichiarando di essere un sacerdote cattolico.
La
disperazione che s’impadronì di quei poveri disgraziati, rinchiusi nel bunker,
venne attenuata e trasformata in preghiera comune, guidata da padre Kolbe. Gradualmente
si rassegnarono alla loro sorte: morirono man mano, mentre le loro voci oranti
si riducevano ad un sussurro.
Dopo
quattordici giorni, il 14 agosto 1941, non tutti erano morti: rimanevano solo
quattro ancora in vita, fra cui padre Massimiliano Maria. A quel punto le SS
decisero, dato che la cosa andava troppo per le lunghe, di accelerare la loro
fine con una iniezione endovenosa di fenolo. Il francescano tese il braccio
pronunciando le sue ultime parole: «Ave Maria».
L’indomani
il suo corpo venne bruciato nel forno crematorio e le sue ceneri si mescolarono
a quelle di tanti altri condannati.
La
beatificazione
La
storia della sua vita e l’eroismo con cui morì resero padre Massimiliano Maria
Kolbe molto famoso in tutto il mondo. L’autorità della Chiesa ha quindi
vagliato attentamente le prove in merito a partire dal 12 marzo 1959, quando,
durante il Concistoro pubblico, venne esposta in presenza del Papa san Giovanni
XXIII la sua causa di beatificazione: fu introdotta il 16 marzo 1960, ma non per
indagare il martirio, bensì l’eroicità delle virtù. Il 23 settembre 1961 fu
quindi aperto il processo apostolico nella diocesi di Padova, cui si aggiunse
quello nella diocesi di Cracovia; vennero convalidati il 6 giugno 1964.
Secondo
la legislazione del tempo in materia delle cause dei Santi e il Canone 2101
dell’allora Codice di Diritto Canonico, non si poteva procedere con la
discussione sull’eroicità delle virtù del candidato agli altari prima che
fossero passati cinquant’anni dalla sua morte. Tuttavia, dietro richiesta
comune dei vescovi polacchi e tedeschi, il Beato Paolo VI accordò la dispensa
il 13 novembre 1965. Il decreto con cui padre Kolbe otteneva il titolo di
Venerabile venne dunque autorizzato il 30 gennaio 1969.
Sempre
per la legislazione dell’epoca, occorrevano due miracoli per la beatificazione:
indagati nelle rispettive sedi, vennero ufficialmente riconosciuti il 14 giugno
1971. Il 17 ottobre successivo, proprio nel giorno in cui si ricordava
l’anniversario di fondazione della MI e nel corso del Sinodo dei vescovi sul
sacerdozio ministeriale, papa Paolo VI dichiarava Beato padre Massimiliano
Maria.
La
canonizzazione come martire della carità
Sette
anni dopo, ad Assisi, il primo Pontefice polacco, san Giovanni Paolo II,
definiva informalmente il Beato Massimiliano Maria Kolbe “patrono del nostro
difficile secolo”. Ripeté quell’affermazione nell’omelia della Messa presso il
campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau del 7 giugno 1979.
La
grande stima che nutriva per lui gli fece quindi accogliere favorevolmente
un’altra richiesta dell’episcopato tedesco e polacco: che venisse venerato come
martire. Così, il 10 ottobre 1982, in piazza San Pietro, poté ufficialmente
dichiararlo Santo “per testimonium caritatis heroicis”, ossia “in base all’eroica
testimonianza della carità”. Inoltre, si tratta del primo santo che visse il
martirio durante il regime nazista.
L’eredità
spirituale
L’insegnamento
di san Massimiliano Maria Kolbe è stato recepito e continuato nella Chiesa
anzitutto dalla Milizia dell’Immacolata, che nell’80° anniversario di
fondazione, il 16 ottobre 1997, è stata riconosciuta associazione pubblica
internazionale di fedeli. Oggi, a cent’anni dai suoi inizi, è presente nei
cinque continenti, in 46 paesi, con 27 Centri Nazionali e numerose Sedi. Il
totale dei membri iscritti si aggira sui quattro milioni. Anche il Cavaliere
dell'immacolata è diffuso in più lingue e in tutto il mondo. Anche le due Città
dell’Immacolata in Polonia e in Giappone sono ancora operative.
Inoltre
un suo confratello, padre Luigi Faccenda, ricevette l’impegno di occuparsi
della MI a Bologna,dopo la seconda guerra mondiale. Dopo aver riconosciuto che
alcune ragazze iscritte intendevano vivere la consacrazione a Dio seguendo la
spiritualità mariana e missionaria propria del Santo, fondò l’11 ottobre 1954
l’Istituto Secolare Missionarie dell’Immacolata Padre Kolbe, che ha ottenuto
l’approvazione pontificia il 25 marzo 1992.
Infine,
negli anni successivi al Concilio Vaticano II, padre Stefano Maria Manelli ha
dato l’avvio ai Francescani dell’Immacolata, approvati a livello pontificio nel
1990. Questa famiglia religiosa, che comprende frati, suore e laici, riconosce
in padre Kolbe un modello per la propria azione evangelizzatrice al servizio
della Vergine Maria.
Il
culto
Con
decreto del 25 marzo 1983, la Sacra Congregazione per i Sacramenti e il Culto
Divino ha stabilito che la memoria liturgica di san Massimiliano Maria Kolbe,
già fissata al 14 agosto, giorno della sua nascita al Cielo, diventasse
obbligatoria per la Chiesa universale.
I
suoi resti mortali, come detto, sono stati ridotti in cenere e dispersi, ma la
sua cella nel campo di Auschwitz è diventata meta di pellegrinaggio.
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