SANTA FRANCESCA ROMANA
Il
Cinquecento fu un secolo in cui nacquero e operarono figure di grande santità,
che rivoluzionarono il cammino della Chiesa nei secoli successivi; ma nel
Quattrocento ci fu un preludio di tale fioritura, con il sorgere specie in Italia,
di sante figure di uomini e donne, che vivendo in un’epoca di grandi
trasformazioni, artistiche, letterarie, filosofiche, che prese il nome di
‘Rinascimento’ e che si manifestò essenzialmente come “scoperta del mondo e
dell’uomo”, seppero mettere in pratica questo sorgente umanesimo, prestando
attenzione all’umanità sofferente nel corpo e assetata di istruzione e guida
spirituale nell’anima.
Si
ricorda alcuni di questi campioni della santità cattolica del XV sec.: San
Giovanni da Capestrano († 1456) francescano; san Giacomo della Marca, († 1476)
frate Minore; sant’Angela Merici (1474-1540), fondatrice delle Orsoline; san
Bernardino da Siena († 1444), frate Minore; santa Rita da Cascia († 1457),
agostiniana; san Vincenzo Ferrer († 1419), domenicano; santa Caterina da
Bologna († 1453), clarissa; ecc.
A
loro si aggiunge la luminosa figura di santa Francesca Romana (1384-1440),
contemporanea di s. Bernardino, che fu sposa, madre, vedova, fondatrice e
religiosa, secondo la volontà di Dio.
Origini,
sposa per obbedienza
La
nobile Francesca Bussa de’ Buxis de’ Leoni, nacque a Roma nel 1384, in una
famiglia abitante nei pressi di Piazza Navona e fu battezzata e cresimata nella
chiesa di Sant’Agnese al Circo Agonale.
Ebbe
un’educazione elevata per una fanciulla del suo tempo, grandicella accompagnava
la madre Jacovella de’ Broffedeschi, nelle visite alle varie chiese del suo
rione, ma spesso fino alla lontana chiesa di santa Maria Nova sull’antica Via
Sacra, gestita dai Benedettini di Monte Oliveto, dai quali la madre era solito
confessarsi e in questa chiesa, anche Francesca trovò il suo primo direttore
spirituale, padre Antonello di Monte Savello, che ben presto si accorse della
vocazione della fanciulla alla vita monastica, nonostante vivesse negli agi di
una ricca e nobile famiglia.
Ma
fu proprio questo benedettino a convincerla ad accettare la volontà del padre,
Paolo Bussa de’ Buxis de’ Leoni, che secondo i costumi dell’epoca, aveva
combinato per la dodicenne Francesca, un matrimonio con il nobile Lorenzo de’
Ponziani; il padre, in quel periodo conservatore del Comune di Roma, intendeva
così allearsi ad un’altra famiglia nobile.
I
Ponziani si erano arricchiti con il mestiere di macellai, comprando case e
feudi nobilitandosi, essi risiedevano in un palazzo di Trastevere al n. 61
dell’attuale via dei Vascellari, che nel Medioevo si chiamava contrada di
Sant’Andrea degli Scafi; dell’antico palazzo più volte trasformato nei secoli,
rimangono le ampie cantine e al pianterreno l’ambiente quattrocentesco con il
soffitto a cassettoni.
Una
volta sposata, Francesca andò ad abitare nel palazzo dei Ponziani, ma
l’inserimento nella nuova famiglia non fu facile, e questa difficoltà si
aggiunse alla sofferenza provata per aver dovuto rinunciare alla sua vocazione
religiosa; ne scaturì uno stato di anoressia che la sprofondò nella
prostrazione.
Si
cercò di sollevarla da questa preoccupante situazione ma invano; finché
all’alba del 16 luglio 1398 le apparve in sogno sant’Alessio che le diceva: “Tu
devi vivere… Il Signore vuole che tu viva per glorificare il suo nome”.
Al
risveglio Francesca, accompagnata dalla cognata Vannozza, si recò alla chiesa
dedicata al santo pellegrino sull’Aventino, per ringraziarlo e da allora la sua
vita cambiò, accettando la sua condizione di sposa e a 16 anni ebbe il primo
dei tre figli, che amò teneramente, ma purtroppo solo uno arrivò all’età
adulta.
Santità
vissuta in famiglia e nelle opere di carità
Con
la cognata Vannozza, prese a dedicare il suo tempo libero dagli impegni
familiari, a soccorrere poveri ed ammalati; erano anni drammatici per Roma, gli
ecclesiastici discutevano sulla superiorità o meno del Concilio Ecumenico sul
Papa; lo Scisma d’Occidente devastava l’unità della Chiesa e lo Stato
Pontificio era politicamente allo sbando ed economicamente in rovina.
Roma
per tre volte fu occupata e saccheggiata dal re di Napoli, Ladislao di Durazzo
e a causa delle guerriglie urbane, la città era ridotta ad un borgo di
miserabili.
Papi
ed antipapi di quel periodo di scisma, si combattevano fra loro e spesso
mancava un’autorità centrale ed autorevole, per riportare ordine e prosperità.
Francesca
perciò volle dedicarsi a sollevare li misere condizioni dei suoi concittadini
più bisognosi; nel 1401 essendo morta la moglie, il suocero Andreozzo Ponziani
le affidò le chiavi delle dispense, dei granai e delle cantine; Francesca ne
approfittò per aumentare gli aiuti ai poveri e in pochi mesi i locali furono
svuotati.
Il
suocero allibito decise di riprendersi le chiavi, ma ecco che essendo rimasta
nei granai soltanto la pula, Francesca, Vannozza e una fedele serva, per
cercare di soddisfare fino all’ultimo le richieste degli affamati, fecero la
cernita e distribuirono anche il poco grano ricavato; ma pochi giorni dopo sia
i granai che le botti del vino erano prodigiosamente pieni.
Andreozzo
che comunque era un uomo caritatevole, che già nel 1391 aveva fondato
l’Ospedale del Santissimo Salvatore, utilizzando la navata destra di una chiesa
in disuso, oggi chiamata Santa Maria in Cappella, restituì le chiavi alla caritatevole
nuora.
A
questo punto Francesca decise di dedicarsi sistematicamente all’opera di
assistenza; con il consenso del marito Lorenzo de’ Ponziani, vendette tutti i
vestiti e gioielli devolvendo il ricavato ai poveri e indossò un abito di
stoffa ruvida, ampio e comodo per poter camminare agevolmente per i miseri
vicoli di Roma.
Era
ormai conosciuta ed ammirata da tutta Trastevere, che aveva saputo del prodigio
dei granai di nuovo pieni, e un gruppo di donne ne seguirono l’esempio; con
esse Francesca andava a coltivare un campo nei pressi di San Paolo, da cui
ricavava frutta e verdura trasportate con un asinello e che poi elargiva
personalmente alla lunga fila di poveri, che ormai ogni giorno cercava di
sfamare.
Alla
morte del suocero Andreozzo de’ Ponziani, Francesca si prese cura dell’Ospedale
del Ss. Salvatore, ma senza tralasciare le visite private e domiciliari che
faceva ai poveri.
Incurante
delle critiche e ironie dei nobili romani a cui apparteneva, si fece questuante
per i poveri, specie quelli vergognosi e per loro chiedeva l’elemosina
all’entrata delle chiese; mentre si prodigava instancabilmente in queste opere
di amore concreto, tanto che il popolino la chiamava paradossalmente “la
poverella di Trastevere”, Francesca riceveva dal Signore il dono di celesti
illuminazioni, che lei riferiva al suo confessore Giovanni Mariotto, parroco di
Santa Maria in Trastevere che le trascriveva.
Queste
confidenze, pubblicate poi nel 1870, riguardavano le frequenti lotte della
santa col demonio; del suo viaggio mistico nell’inferno e nel purgatorio; delle
tante estasi che le capitavano; e poi dei prodigi e guarigioni che le venivano
attribuite.
Le
tragedie familiari
Ma
questi doni straordinari che il Signore le aveva donato, furono pagati a caro
prezzo, la sua vita spesa tutta per la famiglia ed i poveri di Roma, fu
funestata da molte disgrazie; già quando aveva 25 anni nel 1409, suo marito
Lorenzo, comandante delle truppe pontificie, durante una battaglia contro
l’invasore Ladislao di Durazzo re di Napoli, contrario all’elezione di papa
Alessandro V (1409-1410), venne gravemente ferito rimanendo semiparalizzato per
il resto della sua vita, accudito amorevolmente dalla moglie e dal figlio.
Nel
1410 la sua casa venne saccheggiata e i loro beni espropriati, mentre il marito
sebbene invalido fu costretto a fuggire, per sottrarsi alla vendetta di re
Ladislao, che però prese in ostaggio il figlio Battista.
Poi
a Roma ci fu l’epidemia di peste, morbo ricorrente in quei tempi, che funestava
alternativamente tutta l’Europa, il suo slancio di amore verso gli ammalati, le
fece commettere l’imprudenza di aprire il suo palazzo agli appestati; la
pestilenza le portò così via due figli, Agnese ed Evangelista e lei stessa si
contagiò, riuscendo però a salvarsi; passata l’epidemia poté ricongiungersi con
il marito e l’unico figlio rimasto Battista.
È di
quel periodo l’apparizione in sogno del piccolo figlio Evangelista, insieme con
un Angelo misterioso, che s. Francesca da allora in poi avrebbe visto accanto a
sé per tutta la vita.
Fondatrice
di confraternita
Francesca
Bussa, continuando ad aiutare i suoi poveri ed ammalati, senza fra l’altro
trascurare la preghiera, tanto da dormire ormai solo due ore per notte, prese a
dirigere spiritualmente il gruppo di amiche, che la coadiuvavano nella carità
quotidiana e si riunivano ogni settimana nella chiesa di Santa Maria Nova.
E
durante uno di questi incontri, Francesca le invitò ad unirsi in una
confraternita consacrata alla Madonna, restando ognuna nella propria casa,
impegnandosi a vivere le virtù monastiche e di donarsi ai poveri.
Il
15 agosto 1425 festa dell’Assunta, davanti all’altare della Vergine, le undici
donne si costituirono in associazione con il nome di “Oblate Olivetane di
Maria”, in omaggio alla chiesa dei padri Benedettini Olivetani che
frequentavano, pronunziando una formula di consacrazione che le aggregava
all’Ordine Benedettino.
Nel
marzo del 1433 Francesca poté riunire le Oblate sotto un unico tetto a Tor de’
Specchi, composto da una camera ed un grande camerone, vicino alla chiesa
parrocchiale di Sant’Andrea dei Funari; e il 21 luglio dello stesso 1433, papa
Eugenio IV eresse la comunità in Congregazione, con il titolo di “Oblate della
Santissima Vergine”, in seguito poi dette “Oblate di Santa Francesca Romana”,
la cui unica Casa secondo la Regola, era ed è quella romana.
Religiosa
lei stessa, la santa morte
Si
recava ogni giorno nel monastero da lei fondato, ma continuò ad abitare nel
Palazzo Ponziani, per accudire il marito malato; dopo la morte del marito, con
il quale visse in armonia per 40 anni, il 21 marzo 1436 lasciò la sua casa,
affidandone l’amministrazione al figlio Battista e a sua moglie Mabilia de’
Papazzurri, e si unì alle compagne a Tor de’ Specchi dove fu eletta superiora.
Trascorse
gli ultimi quattro nel convento, dedicandosi soprattutto a tre compiti: formare
le sue figlie secondo le illuminazioni che Dio le donava; sostenerle con
l’esempio nelle opere di misericordia alle quali erano chiamate; pregare per la
fine dello scisma nella Chiesa.
Prese
il secondo nome di Romana e così fu sempre chiamata dal popolo e dalla storia,
perché Francesca fu tra i grandi che seppero riunire in sé, la gloria e la
vitalità di Roma; il popolo romano la considerò sempre una di loro nonostante
la nobiltà, e familiarmente la chiamava “Franceschella” o “Ceccolella”.
Francesca
Romana insegnò alle sue suore la preparazione di uno speciale unguento, che
aveva usato e usava per sanare malati e feriti; unguento che viene ancora oggi
preparato nello stesso recipiente adoperato da lei più di cinque secoli fa.
Ma
la ‘santa di Roma’ non morì nel suo monastero, ma nel palazzo Ponziani, perché
da pochi giorni si era spostata lì per assistere il figlio Battista gravemente
ammalato; dopo poco tempo il figlio guarì ma lei ormai sfinita, morì il 9 marzo
1440 nel palazzo di Trastevere.
Le
sue spoglie mortali vennero esposte per tre giorni nella chiesa di Santa Maria
Nova, una cronaca dell’epoca riferisce la partecipazione e la devozione di
tutta la città; fu sepolta sotto l’altare maggiore della chiesa che avrebbe poi
preso il suo nome.
Da
subito ci fu un afflusso di fedeli, tale che la ricorrenza del giorno della sua
morte, con decreto del Senato del 1494, fu considerato giorno festivo.
Fu
proclamata santa il 29 maggio 1608 da papa Paolo V; e papa Urbano VIII volle
nella chiesa di Santa Francesca Romana, un tempietto con quattro colonne di
diaspro, con una statua in bronzo dorato che la raffigura in compagnia
dell’Angelo Custode, che l’aveva assistita tutta la vita.
Santa
Francesca Romana è considerata compatrona di Roma, viene invocata come
protettrice dalle pestilenze e per la liberazione delle anime dal Purgatorio e
dal 1951 degli automobilisti.
La
sua festa liturgica è il 9 marzo.
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