BEATO GUGLIELMO VILMOS APOR
Figlio
di nobili ungheresi, nacque a Segesvár, diocesi di Alba Julia (odierna
Romania), il 29 febbraio 1892, penultimo di nove figli, dei quali quattro
morirono in tenera età.
La
famiglia si era appena trasferita a Vienna, quando anche il padre barone Gábor,
morì a soli 47 anni, nel 1898. La madre contessa Fidelia, si interessò da sola
dell’educazione dei figli e secondo le consuetudini familiari, terminate le
scuole elementari, Vilmos (Guglielmo) fu affidato ai Gesuiti nel collegio di
Kalksburg in Austria; dal 1900 frequentò il ginnasio, mentre dal 1906 fu alunno
del liceo nel collegio di Kalocsa in Ungheria. In quegli anni maturò in lui la
vocazione sacerdotale; ottenuta la maturità, nel 1909 entrò nel seminario di
Györ, il cui rettore era un suo parente.
Il
vescovo Széchényi lo inviò all’Università dei Gesuiti di Innsbruck, dove
conseguì la laurea in teologia. A Nagyvárad dove il suo vescovo l’aveva
condotto con sé da Györ, venne ordinato sacerdote il 24 agosto 1915; diventò
viceparroco a Gyula e in seguito, durante la guerra, fu cappellano militare su
un treno ospedale della Croce Rossa.
Per
un anno, dal 1917 al 1918 fu nominato dal vescovo, docente di teologia
dogmatica e prefetto degli studi nel seminario di Nagyvárad. A 26 anni divenne
il più giovane parroco d’Ungheria, a Gyula, dove espletò il suo mandato con
zelo e comprensione per tutti; il periodo non era dei più felici per
l’Ungheria, con il trattato di Trianon, lo Stato era stato smembrato
comportando disorientamento, povertà e caos morale.
La
rivoluzione comunista e l’invasione militare rumena, avevano sconvolto la
tranquillità anche della città di Gyula; il giovane parroco diventò un punto di
riferimento, dimostrando forza d’animo e decisione; fece ripristinare l’abolito
insegnamento della religione nelle scuole; si recò di persona alla corte di
Bucarest per ottenere la liberazione di alcuni concittadini presi in ostaggio
dai soldati rumeni.
Nel
1938 l’Ungheria venne a trovarsi confinante col Terzo Reich, dopo l’annessione
dell’Austria alla Germania, con conseguente influsso del nazionalsocialismo. Il
parroco Vilmos Apor, insieme ad altri confratelli, si distinse nel segnalare
questo pericolo per la nazione ungherese e per la cristianità.
Il
21 gennaio 1941 papa Pio XII lo nominò vescovo di Györ, diocesi fondata da s.
Stefano. Nello stesso 1941 anche l’Ungheria entrò in guerra a fianco della
Germania e il nuovo vescovo dovette conformare il suo clero alla nuova dolorosa
situazione e quando nel 1944 la Germania occupò l’Ungheria, vennero promulgate
anche le leggi razziali.
Il
vescovo prese posizione in difesa delle vittime dell’ingiustizia, difese gli
ebrei alzando la voce anche contro gli stessi politici al potere, emanò scritti
e diverse prediche, condannando le azioni disumane, mettendo a rischio anche la
propria sicurezza.
Si
oppose alla costruzione di un ghetto a Györ e quando iniziarono le deportazioni
di massa, creò gruppi di soccorso, lungo il percorso dei convogli che
attraversavano la sua diocesi. La città di Györ, posta in posizione strategica,
importante nodo ferroviario e centro di produzione bellica, era sempre più
spesso bombardata dall’Armata Rossa; il fronte si avvicinò sempre più alla
città e il vescovo pur turbato, non volle abbandonare il vescovado; ricevé le
notizie che i soldati russi “liberatori” stupravano le donne e uccidevano chi
si opponeva a loro e il 29 novembre 1944 esortò quanti erano intenzionati a
suicidarsi a conservare la loro vita e affrontare la prova con coraggio.
Ci
fu a più riprese la conquista della città da parte dei russi, poi ripresa dai
tedeschi e ancora dopo una vasta offensiva dai russi, che iniziarono i
combattimenti nella Settimana Santa; la sera del mercoledì santo 28 marzo 1945,
i primi soldati comparvero nel palazzo vescovile, dove erano rifugiate molte
ragazze impaurite.
Il
vescovo si pose sulla porta delle cantine a sbarrare il passo ai soldati,
dicendo che erano sotto la sua protezione; lì restò notte e giorno, il giovedì
santo celebrò la sua ultima Messa in cantina. Il venerdì santo poté leggere
solo la “Passione di Cristo”, verso le 18,30 si presentarono dei soldati con un
maggiore, che a voce alta intimò alle ragazze di uscire per ‘pelare le patate’,
il vescovo si oppose, dicendo di prendere gli uomini e le donne anziane
volontarie, per quello scopo; intanto i soldati trovate le ragazze, presero a
trascinarle fuori, fra le alte grida delle stesse, il vescovo corse gridando ai
soldati di uscire, ma questi aprirono il fuoco contro di lui, colpendolo con
tre proiettili.
In
seguito a ciò i soldati si allontanarono dal palazzo e le ragazze furono salve;
adagiato su una barella fu trasportato per strade oscure e dissestate al
lontano ospedale, dove alla luce di lampade ad olio, in una vasta cantina, fu
operato all’addome senza anestetico.
Dalle
sue labbra uscì solo un sussurro: “Ringrazio Dio che mi ha preparato un Venerdì
santo così bello”. Il sabato fu un giorno di sofferenza e preghiera, il mattino
della Domenica di Pasqua ricevé la Santa Comunione; poi sopraggiunse la
peritonite, si confessò e ricevé l’estrema unzione, esortò per ultimo i suoi
sacerdoti perché rimanessero fedeli alla Chiesa, aiutando la desolata patria a
risollevarsi dalle macerie.
Morì
all’alba del lunedì dell’Angelo 2 aprile 1945 e venne sepolto nella cripta
della chiesa dei Carmelitani Scalzi. Nel 1948 iniziò a Györ, il processo per la
sua beatificazione, ma poi sopravvenne “la Chiesa del silenzio” e per 40 anni
la causa rimase sospesa; nel maggio del 1986, finalmente le sue spoglie
poterono essere trasferite nella cattedrale di Györ, riprendendo anche le
procedure per la causa.
L’8
aprile 1997 è stato riconosciuto il suo martirio e quindi secondo le nuove
norme, papa Giovanni Paolo II, dopo aver pregato sulla sua tomba nel 1996,
durante il suo viaggio in Ungheria, l’ha beatificato domenica 9 novembre 1997,
in piazza S. Pietro a Roma.
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