SAN MARCO EVANGELISTA
La
figura dell’evangelista Marco, è conosciuta soltanto da quanto riferiscono gli
Atti degli Apostoli e alcune lettere di s. Pietro e s. Paolo; non fu certamente
un discepolo del Signore e probabilmente non lo conobbe neppure, anche se
qualche studioso lo identifica con il ragazzo, che secondo il Vangelo di Marco,
seguì Gesù dopo l’arresto nell’orto del Getsemani, avvolto in un lenzuolo; i
soldati cercarono di afferrarlo ed egli sfuggì nudo, lasciando il lenzuolo
nelle loro mani.
Quel
ragazzo era Marco, figlio della vedova benestante Maria, che metteva a
disposizione del Maestro la sua casa in Gerusalemme e l’annesso orto degli
ulivi.
Nella
grande sala della loro casa, fu consumata l’Ultima Cena e lì si radunavano gli
apostoli dopo la Passione e fino alla Pentecoste. Quello che è certo è che fu
uno dei primi battezzati da Pietro, che frequentava assiduamente la sua casa e
infatti Pietro lo chiamava in senso spirituale “mio figlio”.
Discepolo
degli Apostoli e martirio
Nel
44 quando Paolo e Barnaba, parente del giovane, ritornarono a Gerusalemme da
Antiochia, dove erano stati mandati dagli Apostoli, furono ospiti in quella
casa; Marco il cui vero nome era Giovanni usato per i suoi connazionali ebrei,
mentre il nome Marco lo era per presentarsi nel mondo greco-romano, ascoltava i
racconti di Paolo e Barnaba sulla diffusione del Vangelo ad Antiochia e quando
questi vollero ritornarci, li accompagnò.
Fu
con loro nel primo viaggio apostolico fino a Cipro, ma quando questi decisero
di raggiungere Antiochia, attraverso una regione inospitale e paludosa sulle
montagnae del Tauro, Giovanni Marco rinunciò spaventato dalle difficoltà e se
ne tornò a Gerusalemme.
Cinque
anni dopo, nel 49, Paolo e Barnaba ritornarono a Gerusalemme per difendere i Gentili
convertiti, ai quali i giudei cristiani volevano imporre la legge mosaica, per
poter ricevere il battesimo.
Ancora
ospitati dalla vedova Maria, rividero Marco, che desideroso di rifarsi della
figuraccia, volle seguirli di nuovo ad Antiochia; quando i due prepararono un
nuovo viaggio apostolico, Paolo non fidandosi, non lo volle con sé e scelse un
altro discepolo, Sila e si recò in Asia Minore, mentre Barnaba si spostò a
Cipro con Marco.
In
seguito il giovane deve aver conquistato la fiducia degli apostoli, perché nel
60, nella sua prima lettera da Roma, Pietro salutando i cristiani dell’Asia
Minore, invia anche i saluti di Marco; egli divenne anche fedele collaboratore
di Paolo e non esitò di seguirlo a Roma, dove nel 61 risulta che Paolo era
prigioniero in attesa di giudizio, l’apostolo parlò di lui, inviando i suoi
saluti e quelli di “Marco, il nipote di Barnaba” ai Colossesi; e a Timoteo
chiese nella sua seconda lettera da Roma, di raggiungerlo portando con sé Marco
“perché mi sarà utile per il ministero”.
Forse
Marco giunse in tempo per assistere al martirio di Paolo, ma certamente rimase
nella capitale dei Cesari, al servizio di Pietro, anch’egli presente a Roma.
Durante gli anni trascorsi accanto al Principe degli Apostoli, Marco
trascrisse, secondo la tradizione, la narrazione evangelica di Pietro, senza
elaborarla o adattarla a uno schema personale, cosicché il suo Vangelo ha la
scioltezza, la vivacità e anche la rudezza di un racconto popolare.
Affermatosi
solidamente la comunità cristiana di Roma, Pietro inviò in un primo momento il
suo discepolo e segretario, ad evangelizzare l’Italia settentrionale; ad
Aquileia Marco convertì Ermagora, diventato poi primo vescovo della città e
dopo averlo lasciato, s’imbarcò e fu sorpreso da una tempesta, approdando sulle
isole Rialtine (primo nucleo della futura Venezia), dove si addormentò e sognò
un angelo che lo salutò: “Pax tibi Marce evangelista meus” e gli promise che in
quelle isole avrebbe dormito in attesa dell’ultimo giorno.
Secondo
un’antichissima tradizione, Pietro lo mandò poi ad evangelizzare Alessandria
d’Egitto, qui Marco fondò la Chiesa locale diventandone il primo vescovo.
Nella
zona di Alessandria subì il martirio: fu torturato, legato con funi e
trascinato per le vie del villaggio di Bucoli, luogo pieno di rocce e asperità;
lacerato dalle pietre, il suo corpo era tutta una ferita sanguinante.
Dopo
una notte in carcere, dove venne confortato da un angelo, Marco fu trascinato
di nuovo per le strade, finché morì un 25 aprile verso l’anno 72, secondo gli
“Atti di Marco” all’età di 57 anni; ebrei e pagani volevano bruciarne il corpo,
ma un violento uragano li fece disperdere, permettendo così ad alcuni
cristiani, di recuperare il corpo e seppellirlo a Bucoli in una grotta; da lì
nel V secolo fu traslato nella zona del Canopo.
Il
Vangelo
Il
Vangelo scritto da Marco, considerato dalla maggioranza degli studiosi come “lo
stenografo” di Pietro, va posto cronologicamente tra quello di s. Matteo
(scritto verso il 40) e quello di s. Luca (scritto verso il 62); esso fu
scritto tra il 50 e il 60, nel periodo in cui Marco si trovava a Roma accanto a
Pietro.
È
stato così descritto: “Marco come fu collaboratore di Pietro nella predicazione
del Vangelo, così ne fu pure l’interprete e il portavoce autorizzato nella
stesura del medesimo e ci ha per mezzo di esso, trasmesso la catechesi del
Principe degli Apostoli, tale quale egli la predicava ai primi cristiani,
specialmente nella Chiesa di Roma”.
Il
racconto evangelico di Marco, scritto con vivacità e scioltezza in ognuno dei
sedici capitoli che lo compongono, seguono uno schema altrettanto semplice; la
predicazione del Battista, il ministero di Gesù in Galilea, il cammino verso
Gerusalemme e l’ingresso solenne nella città, la Passione, Morte e
Resurrezione.
Tema
del suo annunzio è la proclamazione di Gesù come Figlio di Dio, rivelato dal
Padre, riconosciuto perfino dai demoni, rifiutato e contraddetto dalle folle,
dai capi, dai discepoli. Momento culminante del suo Vangelo, è la professione
del centurione romano pagano ai piedi di Gesù crocifisso: “Veramente quest’uomo
era Figlio di Dio”, è la piena definizione della realtà di Gesù e la meta cui
deve giungere anche il discepolo.
Le
vicende delle sue reliquie - Patrono di Venezia
La
chiesa costruita al Canopo di Alessandria, che custodiva le sue reliquie, fu
incendiata nel 644 dagli arabi e ricostruita in seguito dai patriarchi di
Alessandria, Agatone (662-680), e Giovanni di Samanhud (680-689).
E
in questo luogo nell’828, approdarono i due mercanti veneziani Buono da
Malamocco e Rustico da Torcello, che s’impadronirono delle reliquie
dell’Evangelista minacciate dagli arabi, trasferendole a Venezia, dove giunsero
il 31 gennaio 828, superando il controllo degli arabi, una tempesta e
l’arenarsi su una secca.
Le
reliquie furono accolte con grande onore dal doge Giustiniano Partecipazio,
figlio e successore del primo doge delle Isole di Rialto, Agnello; e riposte
provvisoriamente in una piccola cappella, luogo oggi identificato dove si trova
il tesoro di San Marco.
Iniziò
la costruzione di una basilica, che fu portata a termine nell’832 dal fratello
Giovanni suo successore; Dante nel suo memorabile poema scrisse. “Cielo e mare
vi posero mano”, ed effettivamente la Basilica di San Marco è un prodigio di
marmi e d’oro al confine dell’arte.
Ma
la splendida Basilica ebbe pure i suoi guai, essa andò distrutta una prima
volta da un incendio nel 976, provocato dal popolo in rivolta contro il doge
Candiano IV (959-976) che lì si era rifugiato insieme al figlio; in
quell’occasione fu distrutto anche il vicino Palazzo Ducale.
Nel
976-978, il doge Pietro Orseolo I il Santo, ristrutturò a sue spese sia il
Palazzo che la Basilica; l’attuale ‘Terza San Marco’ fu iniziata invece nel
1063, per volontà del doge Domenico I Contarini e completata nei mosaici e
marmi dal doge suo successore, Domenico Selvo (1071-1084).
La
Basilica fu consacrata nel 1094, quando era doge Vitale Falier; ma già nel 1071
s. Marco fu scelto come titolare della Basilica e Patrono principale della
Serenissima, al posto di s. Teodoro, che fino all’XI secolo era il patrono e
l’unico santo militare venerato dappertutto.
Le
due colonne monolitiche poste tra il molo e la piazzetta, portano sulla sommità
rispettivamente l’alato Leone di S. Marco e il santo guerriero Teodoro, che
uccide un drago simile ad un coccodrillo.
La
cerimonia della dedicazione e consacrazione della Basilica, avvenuta il 25
aprile 1094, fu preceduta da un triduo di penitenza, digiuno e preghiere, per
ottenere il ritrovamento delle reliquie dell’Evangelista, delle quali non si
conosceva più l’ubicazione.
Dopo
la Messa celebrata dal vescovo, si spezzò il marmo di rivestimento di un
pilastro della navata destra, a lato dell’ambone e comparve la cassetta
contenente le reliquie, mentre un profumo dolcissimo si spargeva per la
Basilica.
Venezia
restò indissolubilmente legata al suo Santo patrono, il cui simbolo di
evangelista, il leone alato che artiglia un libro con la già citata scritta:
“Pax tibi Marce evangelista meus”, divenne lo stemma della Serenissima, che per
secoli fu posto in ogni angolo della città ed elevato in ogni luogo dove portò
il suo dominio.
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