SAN LUCA – L’EVANGELISTA
San Luca col suo Vangelo ha voluto imprimere alla storia dell’uomo, considerata dal filosofo greco Eraclito come «un giuoco di dadi fatto da bambini» (frammento 52, un senso in Gesù Cristo, il coordinatore di quel groviglio di eventi, salvatore dal male e dall’assurdo che si annida nelle vicende umane, l’«evangelizzatore» della speranza, della libertà e della gioia. Questa citazione del cardinal Ravasi racchiude in sintesi la portata del grande evangelista Luca, dal nome già indicativo, portatore di luce. Luca (in greco Loukás; Antiochia, 10 dC.; † Tebe, 93 dC.) è l'evangelista autore dell'omonimo Vangelo e degli Atti degli Apostoli. A quanto pare non conobbe direttamente Gesù, ma fu un fedele seguace di Paolo e suo compagno nel secondo e terzo viaggio di Paolo. Anche se il suo ruolo nella Chiesa primitiva non appare come di primo piano, la sua importanza indiretta è fondamentale: grazie in particolare agli Atti degli Apostoli ci ha permesso di conoscere l'evoluzione e la storia delle comunità cristiane dei primi decenni. La sua festa è celebrata il 18 ottobre; il suo emblema è il bue. È venerato come santo dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa.
Le
fonti storiche e le Sacre Scritture
Nei
Vangeli e negli Atti, Luca non viene esplicitamente nominato. Assumendo però la
sua paternità degli Atti degli apostoli , appare come protagonista implicito di
parte della predicazione di Paolo descritta nelle cosiddette "sezioni
noi" (At 16,10-17; 20,15-21; 27,1-28,16): in esse la narrazione passa
dalla terza persona (p.es. andò, andarono) alla prima persona plurale
(andammo), lasciando intendere che l'autore fosse protagonista degli eventi
narrati. Nelle lettere paoline, Luca viene citato fugacemente tre volte (Col
4,14; Fm 24; 2Tim 4,11), confermando l'ipotesi desumibile da At che fosse uno
stretto e fedele collaboratore di Paolo. Altre informazioni sono presenti in
alcune opere di autori cristiani successivi, la cui storicità non appare però
sempre certa.
La
vita
Secondo
il cosiddetto Prologo antimarcionita a Marco (II sec., testo lat. e gr.), Luca
era nato ad Antiochia (di Siria) da famiglia siriaca, non ebrea, ed esercitava
la professione di medico (v. anche Col 4,14). Non è chiaro se prima di aver
aderito al cristianesimo fosse stato o meno un simpatizzante del giudaismo
(proselito): dato però che l'annuncio cristiano aveva inizialmente luogo
principalmente tra gli Ebrei e solo in seguito (con Paolo) tra i pagani
greco-romani, la prima ipotesi è più verosimile. Sia dalle indicazioni del
Prologo, sia dallo stile delle opere attribuitegli (Lc e At), Luca sembra aver
avuto una robusta formazione greco-ellenista, che costituiva la cultura
ufficiale del mediterraneo orientale dell'epoca, elemento che sarebbe in
accordo col medio-alto stato socio-economico corrispondente alla professione
esercitata. Il greco nel quale sono redatti i suoi scritti è fluente ed
elegante, mostra un'ottima conoscenza della Bibbia greca (Settanta) e, di tanto
in tanto, affiorano punti di contatto con il modo di scrivere degli storici
greci del suo tempo. Non sono note con chiarezza le modalità della sua adesione
al cristianesimo. Secondo il Canone muratoriano (circa 170) non conobbe
direttamente Gesù, cosa che sarebbe confermata dalle ricerche presso i
testimoni oculari accennate nell'incipit del suo Vangelo (1,1-4). È verosimile
che abbia conosciuto il cristianesimo nella sua città natale, Antiochia,
attorno agli anni 40, dove era presente una florida comunità cristiana e dove Paolo
arrivò attorno al 44. Attorno al 375 Epifanio[1] lo identifica con uno dei
settanta discepoli inviati in missione da Gesù (Lc10,1), ma si tratta
probabilmente di una leggenda tardiva. Altre tradizioni tardive e leggendarie
lo identificano con l'anonimo discepolo di Emmaus (Lc 24,13-35) o con Lucio di
Cirene (At 13,1). Le "sezioni noi" degli Atti suggeriscono la sua
partecipazione al secondo viaggio di Paolo (iniziato attorno al 50 e durato
circa 4-5 anni, con partenza da Antiochia e predicazione nelle attuali Turchia
e Grecia) e a successivo terzo viaggio (collocato attorno al 54-58 con le
stesse mete del precedente), che termina con l'arrivo a Gerusalemme dove Paolo
viene arrestato attorno al 57-58 e detenuto a Cesarea. Sempre la narrazione in
prima persona suggerisce la sua presenza di fianco a Paolo durante il suo
viaggio verso Roma, in attesa di essere giudicato dall'imperatore, e dove
rimase in una sorta di arresti domiciliari per almeno due anni. Durante questo
soggiorno forzato di Paolo a Roma, attorno al 60-62, la vicinanza di Luca
all'apostolo sarebbe testimoniata dai tre passi succitati (Col4,14; Fm 24; 2Tim
4,11), contenuti però in lettere la cui attribuzione paolina non è del tutto
condivisa. Secondo il Prologo antimarcionita, Luca rimase celibe tutta la vita
e non ebbe figli, e morì (senza accenni a un suo martirio) a Tebe, in Beozia
(nell'attuale Grecia), all'età di 84 anni, e lì sarebbe stato anche sepolto.
Secondo Gaudenzio di Brescia (IV secolo, PL XX,962) e Gregorio di Nazianzo
invece fu martirizzato a Patrasso (sempre nell'attuale Grecia) assieme
all'apostolo Andrea. Secondo quando riportato da San Girolamo (De viris
illustribus 7), le sue ossa furono trasportate a Costantinopoli. Le sue spoglie
giunsero poi a Padova, dove tuttora si trovano nella basilica di santa
Giustina; solo la testa è invece conservata a Praga.
L’evangelista
e l’autore degli Atti
A
Luca è attribuita la paternità del terzo vangelo e degli Atti degli Apostoli,
che ne costituisce una sorta di prosecuzione. Le più antiche indicazioni in tal
senso si trovano nel Canone Muratoriano[2] (circa 170), Ireneo di Lione
(Adversus Haereses 3, 1, 1, circa 180), il succitato Prologo antimarcionita
(fine II secolo). Entrambe le opere, scritte probabilmente tra il 70-80 d.C.,
sono dedicate a un certo Teòfilo (probabilmente un eminente cristiano), in ciò
seguendo l'uso degli scrittori classici, che appunto erano soliti dedicare le
loro opere a personaggi illustri. Altra ipotesi è che egli intendesse dedicare
il proprio Vangelo a chi ama Dio (Teofilo = "amante di Dio"). Come
ogni altro evangelista (come Marco, Matteo, Giovanni), Luca narra l’esperienza
che la sua comunità cristiana ha fatto e fa della persona di Gesù:
concretamente il significato dei suoi gesti, delle sue parole, delle sue azioni
e lo riporta al contesto, al luogo e momento storico attuale. Cosa c’entra
Gesù, le sue scelte, il suo modo di relazionarsi, il suo progetto; con le
domande, le difficoltà, le problematiche, le gioie, le speranze, con la fede,
con gli intenti di una vita alternativa che questa comunità stava cercando di
vivere? Dove era andato a finire il Sogno di Dio narrato da Gesù? Quanto i
cristiani lo avevano fatto proprio? Come aveva cambiato il loro stile di vita,
di relazione con gli altri, di porsi davanti alla mentalità imperiale? Luca
scrive per verificare e confermare la consistenza della fede dei suoi
destinatari (1, 1-4). Inizia il suo vangelo con il tema della fedeltà del Dio
di Gesù, narra come le promesse si siano realizzate nella nascita di Gesù; chiude
il vangelo con questo stesso tema quando narra come Dio abbia mantenuto le sue
promesse risuscitando Gesù dai morti. Questo Dio, che non permise che il Santo
di Dio vedesse la corruzione (At 2,27), sicuramente sarà fedele alle promesse
fatte ai seguaci di Gesù che vengono da tutti gli angoli della terra per
prendere posto al banchetto celeste con Abramo, Isacco e Giacobbe. Per chi?
Luca scrive per i Cristiani provenienti dal paganesimo che avevano dubbi su
Gesù. Loro volevano capire, chiarire dubbi sulla vita di Gesù di Nazaret.
Teofilo (nome greco che significa Amico di Dio) è icona di questa categoria di
persone. Luca, mentre scrive, ha in mente le persone e comunità situate nelle
grandi città, dove c’erano forti contrasti sociali, con una minoranza di
privilegiati e una maggioranza di esclusi ed emarginati. Scrive per persone di
provenienze culturali diverse con molte barriere e pregiudizi reciproci, che
rendevano difficile la convivenza. Le donne non erano riconosciute nella loro
dignità. La fame di pane e di relazioni sociali più giuste sicuramente era
molto sentita. Scrive per una comunità che conosce dubbi, crisi,
scoraggiamento, che si sentiva minoranza insignificante di fronte all’immensità
dell’Impero.
L'attenzione
data da Luca agli incontri di Gesù con i Samaritani va vista in ottica
missionaria: la missione nei loro confronti costituisce l'inizio della missione
fra i non-giudei e fa parte del piano di Dio. Non ci sono preclusioni: con Gesù
il tempo della salvezza è arrivato per tutti, compresi quelli che venivano
disprezzati. Va notato, però, che in Luca il superamento delle esclusioni e la
prospettiva universale si accompagnano ad un suo netto atteggiamento positivo
verso il popolo giudeo, la sua religione e cultura. La missione è universale, ma
parte da Gerusalemme. Quando e dove scrive? Anche se non è semplice stabilire
una data esatta, si può arrivare per approssimazione considerando molti altri
avvenimenti storici ad ampio raggio. Luca usa come una delle sue fonti il
Vangelo di Marco, che fu scritto poco prima della guerra giudaica del 66-70. Lc
21, 5-38 presuppone che la distruzione di Gerusalemme sia già avvenuta; quindi,
si impone una data dopo il 70. Luca negli Atti non riflette una conoscenza
della dura persecuzione avvenuta nell’ultimo periodo dell’Impero di Domiziano
(81-96), né riflette l’aspra controversia che oppose la chiesa e la sinagoga
dopo la ricostruzione del giudaismo a Iamnia (85-90 d.C) Da queste
considerazioni si può concludere, per la composizione di Lc-At, ad una data tra
l’80 e l’85. Altri studiosi suggeriscono 80-90. Il luogo esatto dove fu scritto
non è possibile definirlo, ma certamente deve essere stato qualche città
dell’Impero Romano, e probabilmente Antiochia di Sira, Efeso, o Filippi che
sono i luoghi ben conosciuti da lui.
Scriba
e Medico
Dante
lo ha definito lo “scriba della mansuetudine di Cristo” per il predominio, nel
suo Vangelo, di immagini di mitezza, di gioia e di amore. Compagno e collaboratore di san Paolo, che lo
chiama «il caro medico». La qualifica di medico attribuita a Luca viene
confermata, secondo gli studiosi, dall’esame interno delle sue opere. La sua
cultura e la preparazione specifica erano sicuramente note tra le comunità di
cui faceva parte; potrebbe addirittura avere curato la Madre del Signore.
Certamente la sua cultura generale e la sua esperienza degli uomini erano
piuttosto notevoli. Una lunga tradizione lo vuole originario di Antiochia,
tanto da essere denominato “il medico antiocheno”, ed è per questo patrono di
tutti i medici e i chirurghi.
Patrono
dei pittori e iconografo
Un'antica
tradizione cristiana dice che Luca fu il primo iconografo e che dipinse quadri
della Madonna, di Pietro e Paolo. La tradizione che vuole Luca pittore e
iniziatore della tradizione artistica cristiana sorge nel contesto della
controversia iconoclastica (730-843). Al di là della speculazione teologica sui
passi biblici dell'Esodo e del Deuteronomio che esplicitamente avversano la
raffigurazione del divino, sorse tra il VIII e il IX secolo una ricerca minuziosa
delle antiche tradizioni che avvalorassero l'idea di un'origine apostolica
dell'uso delle effigi sacre. Tali racconti riportano l'esistenza di personaggi
che si preoccuparono di eseguire ritratti delle figure più importanti che
ruotarono attorno a Gesù durante la sua vita, conservando la memoria del loro
aspetto terreno. In questo contesto si portava l'esempio della Immagine di
Edessa dove secondo la tradizione cristiana il volto di cristo rimase impresso
su di un lino fatto dono al re armeno Abgar V di Edessa. I ritratti eseguiti da
Luca sarebbero stati conservati per secoli a Roma e a Gerusalemme, dando il via
ad una vera e propria scuola del ritratto religioso. I teologi del periodo
scelsero Luca probabilmente perché, tra gli evangelisti, fu quello più accurato
nelle descrizioni dei personaggi sacri, finendo con ciò con colmare diverse
lacune degli altri "sinottici". Si aggiunga che fu Luca stesso ad
avere premura di ricordare, nel prologo del proprio vangelo, di essere stato
molto scrupoloso nel raccogliere informazioni da "testimoni oculari"
(1,1-4) e qui si pensa in particolare alla stessa Madre di Gesù. Fu, di fatto,
l'unico a inserire nel racconto notizie accurate sulla Vergine e sull'infanzia
di Gesù. D'altra parte, il suo ruolo di medico suggeriva una familiarità con la
pittura, che nella tradizione tardo-antica e non solo in quella, era ritenuta
imprescindibile strumento per la riproduzione, in repertori illustrati, di
piante officinali e del corpo delle persone. Agli stessi artisti è stata sempre
necessaria una certa competenza in ambito botanico per la confezione dei
colori.La più antica attestazione della leggenda è il Trattato sulle sante
immagini di Andrea da Creta (VIII secolo), in cui l'autore si dichiara certo
dell'accuratezza massima dei ritratti lucani, al contrario di quanto accade con
le fisionomie riportate da Giuseppe Flavio nel Testimonium Flavianum. Risulta
interessante la testimonianza di Simeone Metafraste (950-1022), che nel suo
Menologio (raccolta di vite di santi ordinate secondo il calendario liturgico),
oltre ad attribuire a Luca raffinati studi in Ellade ed Egitto, sottolineava
come l'evangelista, per le sue opere, si era avvalso di "cera e
colori" (la cosiddetta pittura ad encausto, la più diffusa in età antica e
in epoca proto-bizantina, prima di essere sostituita dai più versatili colori a
tempera), con ciò dimostrando un'insospettabile consapevolezza (almeno per un
agiografo) delle trasformazioni della pratica artistica. Ciò fa sospettare che
egli conoscesse qualche antico dipinto del genere sopravvissuto
all'iconoclastia.
Nell'ambito
della competizione tra Roma e Gerusalemme nella promozione e conservazione
degli originali lucani, il canonico Nicolao Maniacuzio (1145) associa la
qualità del ritrattista dell'evangelista al suo essere di origine greca. Fu, di
fatto, la cultura orientale ad accaparrarsi la determinazione ex postdelle
caratteristiche stilistiche e tecniche del Luca pittore, tanto che questi
apparì poi soprattutto una sorta di iconografo bizantino ante litteram, cioè un
pittore di icone su tavole (in particolare di legno di palma). Il giureconsulto
Burgundio da Pisa (1153) realizzò una traduzione del Trattato sulla fede
ortodossa di Giovanni Damasceno basandosi su un manoscritto greco interpolato
con il passaggio dello pseudo-Andrea da Creta sugli originali lucani conservati
a Roma e Gerusalemme. Con ciò, la tradizione di Luca pittore trovò una
consacrazione ufficiale e autorevole, quella cioè di un padre della Chiesa.
Tommaso d'Aquino riprese da Giovanni Damasceno gli elementi teorici per
affermare la necessità di rispettare tradizioni venerabili quali quella di
eseguire e onorare le immagini sacre.
Sono
molte le immagini bizantine a lui attribuite, tra cui:
-
L'icona della Madonna di Częstochowa, in latino Imago thaumaturga Beatae
Virginis Mariae Immaculatae Conceptae, in Claro Monte, in Slavo ecclesiastico
Ченстоховская икона БожиеМатери, Čenstohovskaja ikona Božiej Materi.
-
L'icona Theotokos di Vladimir (in greco: Θεοτόκος του Βλαντιμίρ, Theotókos tou
Blantimír), detta anche Nostra Signora di Vladimir o Vergine di Vladimir (in
russo: Владимирская Богоматерь, Vladimirskaja Bogomater‘).
-
La Madonna Costantinopolitana che si trova nella Basilica di santa Giustina a
Padova, gelosamente custodita perché molto rovinata. Si racconta che il prete
Urio, custode della basilica dei Dodici Apostoli di Costantinopoli, tra l'VIII
e il IX secolo l'avrebbe portata a Padova, a santa Giustina, insieme al corpo
di Luca e alle reliquie di san Mattia, per sottrarli alla furia iconoclasta.
-
Una antica immagine della Vergine, detta Salus populi romani, conservata nella
Basilica di Santa Maria Maggiore, nella Cappella Paolina, a sinistra
dell'altare centrale. L'icona della Madonna è collocata sull'altare in una
cornice di angeli che la recano in gloria, splendendo sul fondo turchino di un
cielo di lapislazzuli. Le lettere greche che campeggiano ai lati della Vergine
sono, di nuovo, l'abbreviazione del suo titolo di Madre di Dio, affermazione
rovesciata e identica della divinità di Gesù.
-
La Madonna di san Luca a Bologna.
Le
reliquie
Secondo
san Girolamo, le ossa di san Luca furono trasportate a Costantinopoli nella
famosa basilica dei Santi Apostoli dopo la metà del IV secolo;[24] le sue
spoglie giunsero poi a Padova, dove tuttora si trovano nella basilica di Santa
Giustina. L'abate del monastero Domenico e il vescovo di Padova Gerardo
Offreducci assieme a papa Alessandro III si ritrovarono per certificare che il
corpo fosse effettivamente del santo evangelista. La stessa fonte infatti racconta
che la sua reliquia giunse fino a Padova assieme a quella di san Mattia al
tempo dell'imperatore romano Flavio Claudio Giuliano (361-363); altri scritti
invece datano il trasferimento al secolo VIII durante una persecuzione
iconoclastica.[24]Una parte del suo cranio fu traslata dalla basilica di Santa
Giustina alla cattedrale di San Vito a Praga nel XIV secolo per volontà di
Carlo IV di Lussemburgo, allora re di Boemia.[24] Una costola del corpo del
santo è stata donata il 17 settembre 2000 al metropolita Hieronymos della
Chiesa greco-ortodossa di Tebe.[24] Esiste un'altra reliquia della testa nel
Museo Storico Artistico "Tesoro" nella basilica di San Pietro in
Vaticano.[25] Un reliquiario contenente un'altra parte della testa di san Luca
è custodito a Cremona nella chiesa omonima gestita dai padri barnabiti.
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