GIOVANNA SPANU
La
vita
"Terra
voluta da Dio, pensata e creata per noi con quelle bellezze naturali, quel
colore del mare, del cielo, quel profumo intenso di mirto, di lentisco..."
Così
Giovanna descrive la "sua" Sardegna, in un biglietto indirizzato ad
un'amica. È in Sardegna infatti, precisamente a Bidunì, frazione di Alghero
(SS), che Giovanna nasce il 9 dicembre 1955.
Nella
famiglia Spanu si respira amore: un legame tenerissimo, alimentato da mille
attenzioni quotidiane, unisce papà Antonio e mamma Leonarda; mentre intesa
profonda e affettuosa complicità caratterizzano il rapporto fra Giovanna e la
sorella minore Maria.
Approdata
a Parma all'età di dieci anni, Giovanna compirà nella città emiliana gli studi
fino a conseguire il diploma di fisioterapista, professione che eserciterà con
passione e competenza per anni.
Nel
frattempo dà vita a rapporti di profonda amicizia con alcuni giovani che
frequentano la parrocchia dello Spirito Santo. E sarà proprio in parrocchia che
la fede, già ricevuta in famiglia, diventa per Giovanna adesione personale alla
chiamata di Gesù.
Dopo
un'esperienza di fidanzamento, da lei definito "bello e santo",
avverte che solo Gesù potrà essere lo sposo cui donare interamente la vita. Il
15 giugno 1980, durante una celebrazione eucaristica, Giovanna esprime il suo
sì totale e definitivo a Dio. L'espressione visibile della sua donazione è
l'uscita di casa il 3 novembre 1981.
In
breve tempo si uniscono a lei alcune sorelle. Si dedica all'apostolato in
parrocchia e alla formazione di una piccola comunità; nel 1989 abbandona la
professione per vivere a tempo pieno il suo ideale.
Il 9
agosto 1999 viene diagnosticata a Giovanna una gravissima forma di tumore.
Durante un incontro dice ad un gruppo di giovani:
"Questa
malattia è stata per la mia vita come una ventata d'aria fresca: impetuosa e
improvvisa. Ha spazzato via tutto quello che doveva cadere e ha lasciato in
piedi ciò che è vero: ho solo Gesù."
Chi
le vive accanto intuisce che anche le sofferenze più grandi diventano per
Giovanna l'occasione per ripetere ogni giorno il suo sì allo Sposo teneramente
e tenacemente amato.
Accoglie
il dolore fisico come l'abbraccio particolare di Gesù; ringrazia per il dono
del "tu-more che diventa sempre più A-more"; prega per i medici, per
gli altri ammalati che incontra nel reparto di oncologia, per i sacerdoti, per
i giovani, per i peccatori, per tutti; regala a ciascuno quel sorriso luminoso
che la contraddistingue e con cui riesce a rasserenare chi si preoccupa per
lei. Negli ultimi tempi invita a sospendere le preghiere con cui si chiede la
sua guarigione perché il desiderio di incontrare Gesù è più forte di qualsiasi
altro legame.
Il
23 luglio 2003 Giovanna conclude la sua giornata terrena, realizzando le sue
stesse parole: "Vale la pena dare la vita per la meraviglia che è la
nostra vocazione".
Il
carisma
"Sentivo
dentro un ritornello continuo: Dai Gio, dammi il tuo cuore, i tuoi progetti, il
tuo corpo, la tua famiglia futura, dammeli ora nei tuoi anni migliori: seguimi.
Avevo una cosa chiara dentro, una luce dentro di me: la mia vocazione è Gesù,
Gesù. Poi i dettagli, cioè come seguirlo, me li avrebbe detti Lui al momento
opportuno."
Il
14 maggio 1977, decide nel suo cuore di donarsi interamente a Dio e ai
fratelli. "Quando uno ha la vocazione, quando uno si sente chiamato da
Dio, lo sa, senti che Dio ti chiama, lo avverti. Magari non sai dove, come:
suora, missionaria, focolarina? Una nuova strada, un nuovo progetto non l'avevo
in mente di sicuro." La vocazione di Giovanna è generata da quella del suo
padre spirituale, il parroco della parrocchia dello Spirito Santo. Da anni nel
cuore di questo sacerdote era vivo il desiderio di vivere in pienezza il
comandamento di Gesù "Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato"
(Gv. 13, 34), realizzando quanto si legge nella meditazione "Una città non
basta" di Chiara Lubich: "Se vuoi conquistare una città all'amore di
Cristo, se vuoi trasformare un paese in Regno di Dio, fa' i tuoi calcoli.
Prenditi degli amici che abbiano i tuoi sentimenti, unisciti con loro nel nome
di Cristo e chiedi loro di posporre ogni cosa a Dio. Poi statuisci con essi un
patto: promettetevi amore perpetuo e costante..."
Giovanna
accoglie con gioia la proposta di dar vita ad una vera e propria famiglia
spirituale, formata dal sacerdote e da quei fedeli che, uniti a lui "nel
nome di Cristo", rendono presente Gesù Buon Pastore: "Dove due o tre
sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt. 18, 20).
Consapevole
di essere la prima a vivere una forma di consacrazione assolutamente nuova,
Giovanna si esprime così:
"Avevo
davanti un modello grande che il Signore aveva sempre pensato per me sulla
strada della mia gioia, della mia vita: era un sacerdote. Ad un certo punto il
Signore mi ha fatto capire: non è un caso che tu sia donna! Guarda Maria! Maria
era la Madre, colei che per Gesù dava la vita. Allora capivo come potevo vivere
in concreto: essere Maria accanto a dei sacerdoti, a dei pastori... questo
potevo farlo sempre".
Giovanna
risponde così all'invito di Gesù ad essere pastore accanto al pastore; figura
femminile, materna, accanto a chi è chiamato ad essere padre di anime,
concretizzando le parole di Giovanni Paolo II: "Il celibato del pastore
esprime il legame che lo unisce ai fedeli, in quanto comunità nata dal suo
carisma e destinata a totalizzare tutta la capacità di amore che un sacerdote
porta dentro di sé, in modo che il suo tempo, la sua casa, le sue abitudini, le
sue risorse finanziarie, Casa di Giovannasiano condizionate solo da quello che
è lo scopo della sua vita: la creazione attorno a sé di una comunità
ecclesiale".
Conseguenza
del suo essersi donata totalmente a Gesù sarà quella di lasciare la casa dei
suoi genitori per andare ad abitare in una soffitta, messa a disposizione da un
parrocchiano. A chi esprime perplessità di fronte a questa scelta, Giovanna
risponde:
"Può
sembrare a molti una cosa strana, per me è una cosa normale. Una persona che si
sposa lascia la famiglia e va col suo sposo. Io ho sposato Gesù ed è normale
che vada a vivere con Lui!".
La
gioia schietta, limpida e la profonda libertà interiore che la caratterizzano
sono contagiose: una dopo l'altra alcune ragazze della parrocchia bussano alla
sua porta chiedendole di unirsi a lei. La famiglia cresce e, di pari passo,
cresce la capacità di Giovanna di vivere ed esprimere, in modo fermo e dolce,
la sua maternità spirituale. Alle sorelle che Gesù le dona, dedica affetto,
tempo, energie, non risparmiandosi in alcun modo per la crescita della loro
anima.
Il
desiderio di formare accanto al sacerdote una famiglia spirituale non viene
espresso solo dal gruppo di ragazze che si stringono attorno a Giovanna:
ragazzi, donne, coppie di sposi costituiscono quel nucleo di una trentina di
persone circa che assumerà il nome di Piccola Comunità Apostolica e di cui
Giovanna sarà madre e punto di riferimento.
Con
chiarezza, parlando della sua esperienza, definisce anche quello che ritiene
essere il suo campo di apostolato:
"Una
parrocchia, 8.000 abitanti, un sacerdote... ma non si può considerare questa
una terra di missione? È vero, non si prende nessun aereo, non si va lontano,
non si parla una lingua straniera, però ti guardi intorno e dici: quanti
fratelli, quanti poveri! Magari poveri di fede, di Dio, di amore. Quante
persone per cui dare la vita, per cui amare, per cui soffrire".
Parrocchia
intesa quindi come vera e propria terra di missione, come luogo ben preciso
dove spendersi fino al dono totale di sé, mantenendo sempre al primo posto
quello stile comunitario che garantisce la presenza di Gesù.
"È
importante quella meditazione: Se siamo uniti Gesù è fra noi. Questo vale più
di tutto. Vale più della catechesi, della liturgia, viene prima degli impegni
di parrocchia, delle iniziative, della pastorale. Viene prima questo amarci tra
noi, vivere il comandamento nuovo."
Quel
piccolo gruppo attorno a lei vive il desiderio costante di generare amore
all'interno della comunità parrocchiale, sull'esempio di santa Teresa di Gesù
Bambino: "Nel cuore della Chiesa io sarò l'amore".
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