SAN BERNARDO TOLOMEI
Ha
aspettato 661 anni per vedersi proclamare santo: vicende storiche e
l’incessante scorrere dei secoli hanno pesato sulla sua causa di
canonizzazione, al punto che solo domenica 26 aprile il Papa ha potuto
dichiarare santo Giovanni Bernardo Tolomei, il fondatore degli Olivetani. Nasce
il 10 maggio 1272 a Siena e viene battezzato con il nome di Giovanni; la sua è
una delle famiglie più nobili e potenti della città, e questo potrebbe fare la
differenza tra noi e lui; ma la crisi politica, economica e morale che
caratterizza il periodo in cui vive lo rende straordinariamente nostro
contemporaneo, a dimostrazione che nulla di nuovo avviene sotto il sole e,
soprattutto, che in qualsiasi momento si può fare della nostra vita un
capolavoro d’amore. Un brillante percorso scolastico e una memoria prodigiosa
fanno di lui, ancora giovanissimo, uno dei docenti di Giurisprudenza nella
prestigiosa università senese. Sono stati invece i domenicani della città a
trasfondergli una fede autentica, una carità operosa e un grande amore per la
preghiera: virtù che non lo abbandonano, anche quando si lascia avvolgere dai
fasti di una vita spensierata e gaudente. In età matura attraversa una crisi
religiosa, dalla quale emerge con fatica. Tutto inizia con una misteriosa
malattia agli occhi, che peggiora al punto da portarlo alla completa cecità;
unico barlume di speranza, in questo periodo buio dentro e fuori di lui, resta
quello che ha imparato dai Domenicani e che lo porta a promettere di donarsi
interamente a Dio se solo potrà recuperare la vista. Che prodigiosamente
ritorna, almeno in quantità tale da permettergli una vita autonoma e da
consentirgli, alla soglia dei 40 anni, di adempiere il suo voto. Ma non dai
Domenicani (ai quali pure deve tanta riconoscenza) e neppure in una delle
congregazioni già esistenti: le tante crisi che agitano il Trecento e forse
anche il ricordo dei suoi recenti anni troppo gaudenti, gli impongono di
cercare Dio nella solitudine, nella preghiera e nella contemplazione. È così
che, insieme ad un paio di amici, nobili e ricchi come lui, e come lui
desiderosi di incontrare Dio, si rifugia in una proprietà della sua famiglia,
ricca di rovi e di vecchi ulivi, da dissodare e disboscare. Quei giovanotti,
con le mani ben curate e senza calli, faticano ad adattarsi a quei lavori
manuali, ma compiono progressi straordinari sulla strada che porta a Dio. E
sono contagiosi, perché attirano, con il loro esempio e con la loro vita
austera, tanti altri. La comunità cresce, arricchita da “nobili e ignobili”,
come dicono le cronache del tempo: cioè dai figli delle famiglie nobili come da
quelli delle famiglie proletarie: vivono in fraternità, secondo lo spirito
delle prime comunità cristiane, mettendo tutto in comune e lavorando per
vivere; come cella non hanno altro che le grotte di cui la zona è ricca. La
gelosia finisce anche per lambire questa straordinaria comunità penitente e
orante, facendo circolare voci malevoli. Arrivano i legati di papa Giovanni
XXII, mandati a controllare cosa ci sia di vero, e devono ammettere che tutto
funziona; solo si raccomandano che la nuova comunità, viste le proporzioni che
sta assumendo, si dia una regola, scegliendola tra quelle esistenti e già
approvate dalla Chiesa. Nasce così la congregazione e il monastero di Santa
Maria del Monte Oliveto: la Regola cui si rifanno è quella di San Benedetto, il
loro abito è di colore bianco in onore della Madonna e Giovanni Tolomei sceglie
il nome di Bernardo, in onore dell’abate di Chiaravalle, anch’ egli innamorato
di Maria. Non accetterà mai di essere ordinato prete giudicandosene indegno e
accontentandosi di essere semplice diacono; come non accetterà per lungo tempo
di essere abate del monastero che ha fondato: ufficialmente, dice, per i suoi
problemi di vista e per le sue incapacità; in realtà, per l’umiltà che gli
impone di essere l’ultimo di tutti e al servizio di tutti. Quando capisce che
l’essere abate è il modo vero per mettersi a completo servizio dei confratelli,
accetta anche questa nomina, diventando il modello dei monaci. Che crescono di
numero, come i monasteri che bisogna aprire ovunque, e che in quella carica lo
riconfermano, ogni anno, per 26 anni, praticamente fino alla morte. La peste
nera del 1348 mette alla prova la coerenza e la carità di Fra Bernardo e dei
suoi monaci: non solo li manda a curare gli appestati, ma lui stesso scende a
Siena per incoraggiarli e sostenerli. Muoiono a decine (almeno 80) e anche Fra
Bernardo ne è contagiato. Muore di peste il 20 agosto, vittima dell’amore che
non solo ha insegnato, ma concretamente esercitato. Fino al dono completo di
sé.
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