SUOR ENRICHETTA ALFIERI
Al
San Vittore ci finisce per caso. E non per espiare. Suor Enrichetta Alfieri
nasce a Borgo Vercelli il 23 febbraio 1891, in una famiglia semplice, che la
cresce a fede e lavoro: dopo le elementari subito a darsi da fare, in casa e
nei campi, imparando anche il ricamo negli scampoli di tempo. Deve aspettare i
20 anni per entrare in convento, perchè i genitori glielo chiedono: così la sua
vocazione si irrobustisce e diventa ancor più solida. Tra le figlie della
Carità di Santa Giovanna Antida Thouret, a Vercelli, sembra subito trovare il
suo posto; qui si accorgono delle sue spiccate attitudini educative e la fanno
studiare. Nel 1917 inizia a lavorare come maestra in un asilo a Vercelli, ma
pochi mesi dopo si deve fermare per motivi di salute. I medici cincischiano un
bel po’ prima di diagnosticare la sua malattia, che solo nel 1920 ha un nome
preciso: spondilite degenerativa, ossia la “malattia di Pott”, una tubercolosi
vertebrale, che la immobilizza in un letto tra dolori atroci e con una prognosi
infausta.
Nel
1922 i Superiori decidono per lei un pellegrinaggio a Lourdes alla ricerca di
un miracolo, ma ne torna nelle medesime condizioni, anzi affaticata ed
aggravata dai disagi del viaggio. Ha già imparato a soffrire “con dignità, con
amore, con dolcezza e con fortezza” e alla Grotta le viene donata una maggior
serenità per affrontare il dolore. In più, si porta a casa da Lourdes una
bottiglietta d’acqua, che sorseggia quando il dolore si fa proprio
insopportabile. A gennaio 1923 viene dichiarata spacciata dai medici e il
successivo 5 febbraio riceve l’Unzione degli Infermi. Mentre si aspetta da un
momento all’altro il suo trapasso, il 25 febbraio si alza dal letto
completamente ristabilita, dopo aver sorseggiato per l’ennesima volta un goccio
dell’acqua di Lourdes. Di fronte alla guarigione improvvisa, e per i medici
anche inspiegabile, tutta Vercelli è in fermento, al punto che i Superiori
pensano bene ad un trasferimento di convento dell’ex malata, proprio per
sottrarla a tutto il clamore che il presunto miracolo le ha suscitato intorno.
Alcuni
mesi dopo è così destinata al carcere milanese di San Vittore, a dispetto del
suo diploma di maestra e della sua predisposizione all’insegnamento. Per lei si
prospetta una parentesi tra lunghi corridoi, strette finestre, alte sbarre,
tanta rabbia e infinito dolore: vi resterà per quasi 30 anni, cioè fino alla
morte. “La vocazione non mi fa santa, ma mi impone il dovere di lavorare per
diventarlo...” e tanto, per non perdere tempo, investe subito le sue doti, di
mente e di cuore, nel restituire dignità, speranza e redenzione alle detenute,
abbruttite non soltanto dal vizio o dal delitto, ma anche dalle disumane
condizioni di detenzione. Luogo preferito per ricevere le loro confidenze e per
tentare un colloquio spirituale è la grotta di Lourdes, realizzata nel
cortiletto del carcere, dove le raduna volentieri e dove avvengono miracoli di
conversione.
Con
la guerra il carcere si riempie di prigionieri politici ed ebrei e la carità di
Suor Enrichetta di dilata allora ancor di più, per procurare contatti, favorire
incontri, trasmettere informazioni. Indro Montanelli e Mike Buongiorno sono
testimoni diretti (in quanto detenuti anch’essi al San Vittore) di quanto
questa suorina riesca a fare per sventare perquisizioni ed arresti, salvare
ebrei dalla deportazione, mettere in salvo partigiani. Naturalmente a suo
rischio e pericolo, come quando i tedeschi, intercettando uno dei suoi tanti
messaggi fatti uscire dal carcere, le mettono le mani addosso, rinchiudendola
in una cella del medesimo carcere. Rischia la fucilazione o la deportazione in
Germania e solo il tempestivo intervento del cardinal Schuster riesce a
scongiurare entrambe, facendole commutare nella pena del confino, che la suora
dovrà scontare in un manicomio a Grumello del Monte.
Con
la liberazione di Milano può rientrare a San Vittore, ad assistere quelli che
erano i nemici di ieri, che hanno preso in cella il posto degli antifascisti.
Per tutti, di qualsiasi colore, è “l’angelo di San Vittore” o, meglio ancora,
“la mamma di San Vittore”, perché il fascino della sua bontà riesce a
conquistare anche i cuori più duri: “soffrirò, lavorerò e pregherò per attirare
anime a Gesù” è il suo desiderio e sembra, dai risultati, che ci riesca molto
bene. La frattura del femore per una brutta caduta in piazza Duomo nel 1950,
segna l’inizio del duo declino. Si spegne il 23 novembre 1951, consumata dal
male ma soprattutto dall’amore donato senza misura. È stata beatificata il 26
giugno 2011
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