BEATO JUAN DUARTE MARTIN
Juan Duarte Martín nacque il 17 marzo 1912 a Yunquera, a sessantacinque
chilometri da Malaga, quarto dei dieci figli, di cui sei sopravvissuti, nati
dal matrimonio fra Juan Duarte Doña e Dolores Martín de la Torre, contadini. Ricevette
il Battesimo tre giorni dopo la nascita e la Prima Comunione e la Cresima fra i
sette e gli otto anni. Ai suoi fratelli sembrava che la vocazione al sacerdozio
fosse qualcosa d’innato in lui, sin da bambino: il suo divertimento preferito
era preparare piccoli altari e, durante la Settimana Santa, fare delle
processioni per gioco. Era pure molto incline alla carità e chiedeva alla madre
di soccorrere i poveri che bussavano alla loro porta.
I suoi genitori, quindi, non si stupirono quando dichiarò loro che voleva diventare sacerdote: gli unici dubbi erano dovuti agli scarsi mezzi economici di cui possiedevano. Per tranquillizzare il padre, Juan gli disse: “Non preoccuparti, Dio ti aiuterà”; così, a dodici anni, entrò nel Seminario di Malaga. Moltissimi testimoni hanno dichiarato che era serio, pio e servizievole verso i suoi compagni, al punto che regalava agli studenti più piccoli i libri che non gli servivano più. Quando tornava a casa per le vacanze non veniva meno ai suoi doveri di studio e di pietà e cercava di aiutare suo padre nelle faccende dei campi. Nel tempo libero, radunava i bambini che sentivano inclinazione al sacerdozio e, dopo aver tenuto delle brevi lezioni, li conduceva alla visita al Santissimo Sacramento o in gita presso alcune chiese in campagna. Tutte le sere, lui presente, la famiglia pregava il Rosario, dopo il quale, prima di andare a dormire, il giovane s’inginocchiava davanti alla porta di camera sua per l’esame di coscienza, come raccontò sua sorella Carmen, in seguito entrata fra le Carmelitane Scalze. I suoi studi compresero in tutto tre anni di Latino, due di Retorica, tre di Filosofia e quattro di Teologia.
In quegli anni, però, la vita iniziava a diventare difficile: l’11 marzo 1931 Juan uscì pressoché illeso dall’incendio della chiesa parrocchiale della Mercede di Malaga, dove si era rifugiato. Anche se la preoccupazione cresceva, egli era convinto che il Signore avrebbe trionfato e, dopo le vacanze, rientrò in Seminario e contribuì personalmente a ricostruirlo. Il 1 luglio 1935 fu ordinato suddiacono a Granada, mentre il 6 marzo 1936, nella cattedrale di Malaga, ricevette il diaconato. Nonostante i tempi critici, non perse occasione di rendere testimonianza a Cristo, correggendo fraternamente chi bestemmiava o si comportava in maniera scorretta in chiesa, come pure camminando per il paese con la veste talare: forse fu per questo che, il 18 luglio di quell’anno, casa Duarte venne per la prima volta perquisita da parte dei cosiddetti “rossi”.
Il 7 novembre, Juan era solo in casa con la madre e stava pregando il Breviario: avvisato dell’arrivo dei miliziani, si nascose nel porcile che era nel cortile di casa, ma dimenticò il libro di preghiere, che fu preso dai perquisitori. A causa della delazione di una vicina di casa, che l’aveva visto nascondersi, fu infine arrestato così com’era, in maniche di camicia, e condotto a “la Garipola”, una sorta di prigione municipale.
I persecutori volevano obbligarlo a bestemmiare, ma, visto che egli rispondeva solo. “Viva Cristo Re!”, lo prendevano a bastonate. Di fronte alla sua ostinazione, prepararono torture più atroci, come infilargli canne sotto le unghie o fargli prendere scosse elettriche ai genitali per due ore al giorno, tramite un cavo collegato alla batteria di un’automobile. Tale supplizio lo conduceva a confessare la sua fede con maggior coraggio, a tal punto che una volta, al pari di san Lorenzo, diacono anch’egli, arrivò ad avvisare i suoi aguzzini che non sentiva nulla perché il cavo si era staccato. Spesso, poi, veniva condotto attraverso il paese in groppa ad un asino, come a parodiare le processioni della Settimana Santa: per la gente, però, non si trattava di una presa in giro perché nel diacono, col volto e il corpo pieni di percosse, vedeva davvero Gesù sulla via del Calvario. Non ci furono solo atti di violenza verso di lui, ma anche gesti di pietà, come quello di una donna che riuscì a fargli avere una camicia pulita o di coloro che gli procuravano fortunosamente da mangiare e da bere. I persecutori provarono perfino a tentarlo nella purezza, introducendo nella sua cella una ragazza di sedici anni: dato che ella non riuscì nel suo intento, le fu ordinato di tagliargli i genitali con un coltello da barbiere.
Dato che nemmeno quel tormento era valso a qualcosa, i miliziani decisero di portare Juan presso il ruscello Bujia, a circa un chilometro da Álora, per ucciderlo. Dapprima lo aprirono con un coltello nella schiena, poi lo cosparsero di benzina e gli diedero fuoco. In mezzo alle fiamme, il diacono gridò: “Lo sto già vedendo!”. “Chi stai vedendo?”, chiese uno dei miliziani, finendolo con un colpo di pistola alla testa. Restò insepolto per alcuni giorni, finché un uomo lo seppellì presso un olivo.
Sette mesi dopo, i suoi familiari riuscirono a recuperare il suo corpo, che fu traslato da Álora a Yunquera il 3 maggio 1937 e, nel corso del processo di beatificazione, fu infine posto nella chiesa di Nostra Signora dell’Incarnazione a Yunquera, di fronte all’altare, il 17 novembre 1985. Il 28 ottobre 2007 è stato beatificato in piazza san Pietro, inserito nel gruppo di 498 martiri della guerra civile.
I suoi genitori, quindi, non si stupirono quando dichiarò loro che voleva diventare sacerdote: gli unici dubbi erano dovuti agli scarsi mezzi economici di cui possiedevano. Per tranquillizzare il padre, Juan gli disse: “Non preoccuparti, Dio ti aiuterà”; così, a dodici anni, entrò nel Seminario di Malaga. Moltissimi testimoni hanno dichiarato che era serio, pio e servizievole verso i suoi compagni, al punto che regalava agli studenti più piccoli i libri che non gli servivano più. Quando tornava a casa per le vacanze non veniva meno ai suoi doveri di studio e di pietà e cercava di aiutare suo padre nelle faccende dei campi. Nel tempo libero, radunava i bambini che sentivano inclinazione al sacerdozio e, dopo aver tenuto delle brevi lezioni, li conduceva alla visita al Santissimo Sacramento o in gita presso alcune chiese in campagna. Tutte le sere, lui presente, la famiglia pregava il Rosario, dopo il quale, prima di andare a dormire, il giovane s’inginocchiava davanti alla porta di camera sua per l’esame di coscienza, come raccontò sua sorella Carmen, in seguito entrata fra le Carmelitane Scalze. I suoi studi compresero in tutto tre anni di Latino, due di Retorica, tre di Filosofia e quattro di Teologia.
In quegli anni, però, la vita iniziava a diventare difficile: l’11 marzo 1931 Juan uscì pressoché illeso dall’incendio della chiesa parrocchiale della Mercede di Malaga, dove si era rifugiato. Anche se la preoccupazione cresceva, egli era convinto che il Signore avrebbe trionfato e, dopo le vacanze, rientrò in Seminario e contribuì personalmente a ricostruirlo. Il 1 luglio 1935 fu ordinato suddiacono a Granada, mentre il 6 marzo 1936, nella cattedrale di Malaga, ricevette il diaconato. Nonostante i tempi critici, non perse occasione di rendere testimonianza a Cristo, correggendo fraternamente chi bestemmiava o si comportava in maniera scorretta in chiesa, come pure camminando per il paese con la veste talare: forse fu per questo che, il 18 luglio di quell’anno, casa Duarte venne per la prima volta perquisita da parte dei cosiddetti “rossi”.
Il 7 novembre, Juan era solo in casa con la madre e stava pregando il Breviario: avvisato dell’arrivo dei miliziani, si nascose nel porcile che era nel cortile di casa, ma dimenticò il libro di preghiere, che fu preso dai perquisitori. A causa della delazione di una vicina di casa, che l’aveva visto nascondersi, fu infine arrestato così com’era, in maniche di camicia, e condotto a “la Garipola”, una sorta di prigione municipale.
I persecutori volevano obbligarlo a bestemmiare, ma, visto che egli rispondeva solo. “Viva Cristo Re!”, lo prendevano a bastonate. Di fronte alla sua ostinazione, prepararono torture più atroci, come infilargli canne sotto le unghie o fargli prendere scosse elettriche ai genitali per due ore al giorno, tramite un cavo collegato alla batteria di un’automobile. Tale supplizio lo conduceva a confessare la sua fede con maggior coraggio, a tal punto che una volta, al pari di san Lorenzo, diacono anch’egli, arrivò ad avvisare i suoi aguzzini che non sentiva nulla perché il cavo si era staccato. Spesso, poi, veniva condotto attraverso il paese in groppa ad un asino, come a parodiare le processioni della Settimana Santa: per la gente, però, non si trattava di una presa in giro perché nel diacono, col volto e il corpo pieni di percosse, vedeva davvero Gesù sulla via del Calvario. Non ci furono solo atti di violenza verso di lui, ma anche gesti di pietà, come quello di una donna che riuscì a fargli avere una camicia pulita o di coloro che gli procuravano fortunosamente da mangiare e da bere. I persecutori provarono perfino a tentarlo nella purezza, introducendo nella sua cella una ragazza di sedici anni: dato che ella non riuscì nel suo intento, le fu ordinato di tagliargli i genitali con un coltello da barbiere.
Dato che nemmeno quel tormento era valso a qualcosa, i miliziani decisero di portare Juan presso il ruscello Bujia, a circa un chilometro da Álora, per ucciderlo. Dapprima lo aprirono con un coltello nella schiena, poi lo cosparsero di benzina e gli diedero fuoco. In mezzo alle fiamme, il diacono gridò: “Lo sto già vedendo!”. “Chi stai vedendo?”, chiese uno dei miliziani, finendolo con un colpo di pistola alla testa. Restò insepolto per alcuni giorni, finché un uomo lo seppellì presso un olivo.
Sette mesi dopo, i suoi familiari riuscirono a recuperare il suo corpo, che fu traslato da Álora a Yunquera il 3 maggio 1937 e, nel corso del processo di beatificazione, fu infine posto nella chiesa di Nostra Signora dell’Incarnazione a Yunquera, di fronte all’altare, il 17 novembre 1985. Il 28 ottobre 2007 è stato beatificato in piazza san Pietro, inserito nel gruppo di 498 martiri della guerra civile.
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