SERVA DI DIO ELENA SPIRGEVICIUTE
Elena Spirgevičiūtė è nata il 23 dicembre 1924 in Lituania, precisamente nel distretto di Tvirtovės in Kaunas. Di famiglia altolocata (il papà e il nonno sono ufficiali dell’esercito) che può permettersi il lusso di farla studiare, riesce a formarsi questa coscienza chiara e questi ideali solidi prima sui banchi di scuola (frequenta il ginnasio dalla suore) e poi nello scautismo. È proprio nell’ottica di “contribuire a qualche cosa di buono ed essere utile” che subito dopo il diploma, conseguito a pieni voti nel 1943, si iscrive alla Facoltà di medicina all’Università di Vytautas Magnus con il sogno di diventare pediatra.
La giovinezza di Elena coincide, purtroppo, con
un periodo politicamente buio per la Lituania, prima con l’annessione
all’Unione Sovietica nell’agosto 1940 e poi a luglio 1941 con l’occupazione da
parte dei Nazisti. Sono questi ultimi a chiudere l’ateneo prima ancora che
Elena cominci a frequentarlo e allora, per non perdere tempo, decide di
studiare francese e tedesco da autodidatta e di seguire a Kaunas alcuni corsi
brevi di pedagogia per futuri insegnanti, grazie ai quali ottiene un incarico
nel distretto di Jonava. Intanto, dentro di lei comincia a farsi strada un
desiderio particolare, di cui si trova traccia nel suo diario intimo ma che
continua a restar celato anche ai suoi più intimi, addirittura ai genitori. Il
mio cuore è pieno di qualcosa. Gioisco per aver capito la felicità. Ma sto
seriamente pensando che una pace più grande possa essere trovata dietro la
grata. Convento. Il nome stesso parla chiaramente di solitudine, silenzio e
pace. Signore, questi sono sogni seri, voglio questo con gran certezza… Vorrei
lasciar tutto… Oh, spero che la guerra finisca presto! Vorrei finire la scuola
ed entrare là…”. È una confidenza del febbraio 1942, che con il passare dei
mesi non solo non si attenua, ma sembra solidificarsi sempre più. È forse per
questo che, pur se molto corteggiata, Elena non ha il fidanzato e si fa spesso
rimproverare da mamma per il look troppo modesto e per niente ricercato e anche
per il suo atteggiamento troppo taciturno e riservato. Addirittura finisce per
trascurare anche le feste scolastiche e le serate di ballo, di cui diceva “Non
vado a caccia di conoscenze, voglio solo ballare e divertirmi”; sul suo diario
adesso annota: “Anche i balli a cui ogni tanto vado, pensandoci più
profondamente, sono solo vanità e immodestia. Questi possono essere evitati
soltanto con voi, Signore…”. La strada in salita che Elena ha intrapreso punta
ad un traguardo ambito, al raggiungimento di una bellezza interiore che non può
reggere il confronto con una pur splendente bellezza fisica: “Desidero questo,
non perché non sono bella, no, non penso a questo. La bellezza è polvere. Uno
diventa vecchio, s'incurva e la bellezza svanisce… Desidero essere bella
internamente...".
Nella tarda serata del 3 gennaio 1944 quattro uomini armati bussano prepotentemente alla porta di casa sua; al papà, che va ad aprire, si presentano come ufficiali di polizia incaricati del controllo dei documenti, ma appena entrati si qualificano come partigiani sovietici e subito si danno alla razzia di alcool, vestiti e pane. Uccidono la zia di Elena che in preda al panico ha tentato di fuggire dalla stanza e subito dopo le loro attenzioni si concentrano su Elena, che tiene testa con fermezza alle avances del più intraprendente dei quattro. Per circa un’ora, sotto la costante minaccia di una pistola puntata, strattonata da una stanza all’altra, Elena resiste a lusinghe, promesse e minacce, facendo risuonare per tutta la casa i suoi determinati “No” a tutte le proposte che le vengono fatte. “Preferisco morire”, dice con determinazione ai familiari, dai quali si accommiata con un segno di croce. Pochi minuti dopo un colpo di pistola in pieno volto diventa la risposta al suo ennesimo determinato rifiuto a chi voleva piegare la sua dignità di donna e di cristiana. La sua gente non ha mai avuto dubbi sull’autenticità del martirio di Elena e ne ha conservato la memoria, tanto che nel 1999 il Vaticano ha concesso il nulla osta per l’avvio del processo di canonizzazione.
Nella tarda serata del 3 gennaio 1944 quattro uomini armati bussano prepotentemente alla porta di casa sua; al papà, che va ad aprire, si presentano come ufficiali di polizia incaricati del controllo dei documenti, ma appena entrati si qualificano come partigiani sovietici e subito si danno alla razzia di alcool, vestiti e pane. Uccidono la zia di Elena che in preda al panico ha tentato di fuggire dalla stanza e subito dopo le loro attenzioni si concentrano su Elena, che tiene testa con fermezza alle avances del più intraprendente dei quattro. Per circa un’ora, sotto la costante minaccia di una pistola puntata, strattonata da una stanza all’altra, Elena resiste a lusinghe, promesse e minacce, facendo risuonare per tutta la casa i suoi determinati “No” a tutte le proposte che le vengono fatte. “Preferisco morire”, dice con determinazione ai familiari, dai quali si accommiata con un segno di croce. Pochi minuti dopo un colpo di pistola in pieno volto diventa la risposta al suo ennesimo determinato rifiuto a chi voleva piegare la sua dignità di donna e di cristiana. La sua gente non ha mai avuto dubbi sull’autenticità del martirio di Elena e ne ha conservato la memoria, tanto che nel 1999 il Vaticano ha concesso il nulla osta per l’avvio del processo di canonizzazione.
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