BEATO MARCELLO CALLO
Nasce a Rennes (Francia)
nel 1921, in una famiglia dove Cristo è di casa, secondo di una nidiata di nove
fratelli. A 13 anni è già apprendista in una tipografia, ma spiritualmente ha
già fatto un lungo cammino: come chierichetto, prima; come boy scout, fino al
1935; da quella data in poi nella JOC, il movimento di Azione Cattolica tra la
gioventù operaia. E’ soprattutto lo scoutismo a segnare in modo indelebile la
sua formazione cristiana e se lo lascia è soltanto per obbedienza all’assistente
ecclesiastico, che lo vuole impegnato in mezzo ai giovani lavoratori.
Soprannominato per disprezzo “Gesù Cristo” dai compagni di lavoro, che lo
boicottano e per un bel pezzo non gli rivolgono la parola, riesce ad imporsi
alla loro stima per la serietà e l’applicazione con cui lavora e per essersi
speso nel difendere la dignità lavorativa di qualche collega. Approfitta di
questo varco che è riuscito a crearsi in quel clima anticlericale per aiutare
chi può, comporre i dissidi tra gli operai, difendere il loro posto di lavoro,
incitarli al bene. Alla mamma che gli
chiede se non sente l’inclinazione al sacerdozio come il suo fratello maggiore,
candidamente risponde: “Io non mi sento chiamato al sacerdozio; ritengo di fare
maggiormente del bene restando nel mondo". E lo testimonia, anche,
conoscendo una brava ragazza e fidanzandosi ufficialmente. Con l’armistizio del
1940 e l’occupazione nazista della Francia, Marcello viene precettato: lo
attende il servizio di lavoro obbligatorio in Germania. Mentre c’è chi fugge a
questa quasi deportazione e sceglie la Resistenza, Marcello decide invece di
partire: “Parto come missionario, per aiutare gli altri a resistere”. E’ il 19
marzo 1943 quando saluta la famiglia, lascia la fidanzata e prende il treno che
lo porta in Germania: con sé ha soltanto, di veramente prezioso, la croce della
Promessa Scout e il suo distintivo di giovane operaio cattolico. In terra tedesca si da subito da fare:
trovare una chiesa in cui far celebrare messe in francese per i suoi connazionali,
animare le liturgie, commentare le
letture, ma anche dirigere un coro, organizzare una squadra di calcio, mettere
insieme un gruppo teatrale, coordinare le visite ai malati e distribuire le
medicine. Un’attività così intensa non può passare inosservata e i nazisti lo
arrestano insieme ad altri undici amici, il 19 aprile 1944, con l’accusa di
essere “troppo cattolico”. Il 7 ottobre li spediscono nel campo di sterminio, e
Marcello viene destinato a quello tristemente famoso di Mathausen. Trattati con
brutalità, denutriti, costretti ad un lavoro sfibrante reso impossibile dal
freddo e dall’umidità, i prigionieri del lager vengono colpiti da cancrene,
diarree, ulcere, tubercolosi e cominciano a morire come mosche. Anche Marcello,
che pure avrebbe potuto evitare tutto ciò se solo si fosse dimostrato non
“troppo cattolico”. “Cristo è un amico
che non ti lascia nemmeno un istante e che ti sa sostenere, con Lui si sopporta
tutto…”, aveva scritto e Gesù diventa davvero un amico prezioso nella
desolazione del lager. Tanto che Marcello non perde la bussola, non viene meno
alla sua Promessa, non perde la fede. Quando il 19 marzo 1945 lo tirano fuori
dalla latrina in cui è caduto e lo portano in infermeria, gli trovano stampato
in fronte un sorriso che impressiona chi lo soccorre. Ad assisterlo, nei
momenti estremi, un solo prigioniero, non credente, che dopo la guerra finisce
per convertirsi, e al processo di beatificazione di Marcello dichiarerà
testualmente: “"Se io, non credente, che ho visto morire migliaia di
prigionieri, sono stato colpito dallo sguardo di Marcello, è perché in lui
c'era qualcosa di straordinario. Per me fu una rivelazione: il suo sguardo
esprimeva una convinzione profonda che portava verso la felicità. Era un atto
di fede e di speranza verso una vita migliore. Non ho mai visto in nessuna
parte, accanto ad ogni moribondo (e ne ho visti migliaia), uno sguardo come il
suo. Per la prima volta nel viso di un deportato vedevo un'impronta che non era
unicamente quella della disperazione".
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