SAN NICOLA D’ONOFRIO
Fin da bambino vuole essere Camilliano: un po’ perché al suo paese (che
dista meno di dieci chilometri da Bucchianico, dov’è nato San Camillo) se ne
respira l’aria, un po’ anche perché ne sente il fascino tramite un suo giovane
compaesano appena ordinato. Sono quelli di casa a mettersi di traverso: mamma,
perché ancora accetterebbe un figlio prete, ma religioso proprio no; papà,
perché deve rinunciare a due braccia robuste che potrebbero aiutarlo nel lavoro
dei campi; le zie, che sono pronte a dichiararlo loro unico erede se rinuncia
ad entrare in seminario. La spunta lui, dopo un anno di lotte, di preghiera e
di sacrifici che irrobustiscono la sua vocazione. Nicola d’Onofrio, nato a
Villamagna (provincia di Chieti) nel 1943, entra così nel seminario dei
Camilliani di Roma nel 1955, dimostrando subito una vocazione che via via si fa
più sicura e solida e un’attitudine particolare nella cura dei malati, che è
poi il carisma specifico della congregazione: ai tre tradizionali voti comuni a
tutti i religiosi, aggiungono infatti quello specifico di servizio agli
ammalati e sofferenti, “sempre, anche con rischio della vita”. Un piccolo
diario spirituale, che il tempo ha risparmiato, ci delinea il suo cammino
gioioso e insieme faticoso verso Dio, facendo emergere la fisionomia pulita ed
affascinante di un giovane, che a prezzo di sacrifici e di lotte è riuscito ad
arrivare ad una straordinaria intimità con Gesù, legandosi alla Madonna con un
affetto delicato e filiale. Ai nuovi tentativi di papà di ancora riportarselo a
casa reagisce con rispettosa fermezza, a dimostrazione di una vocazione ormai
definita e che sfocia il 7 ottobre 1961 nell’offerta dei voti temporanei. Già
fiero dell’abito che porta, contraddistinto dalla tradizionale croce rossa propria
del suo Ordine, Nicolino è adesso anche gioioso di appartenere a pieno titolo
alla famiglia camilliana. “Se un giorno dovrò buttare come tanti l’Abito santo,
fa che io muoia prima di riceverlo per la prima volta”, aveva chiesto con
insistenza a Gesù. Sua maestra spirituale è la Santa di Lisieux, la piccola
Teresa, che gli traccia un cammino di santità semplice e gioiosa, che Nicolino
percorre con entusiasmo, suscitando l’ammirazione di superiori e confratelli.
"Tutto qui si fa per Gesù, per suo amore. Nessuno mi chiede cose
eccezionali, come dormire per terra, digiunare. Io faccio solo quello che devo
fare – per amore – come S. Teresina, che non ha fatto nulla di particolare; a
24 anni è morta di TBC ed è diventata santa": quando scrive queste parole,
ancora non sa che di Teresina sarà chiamato a condividere anche l’esperienza
unica, personalissima ed irripetibile dell’appuntamento con Gesù sul calvario.
Le prime avvisaglie del male si manifestano sul finire del 1962, ma ci vogliono
sei mesi prima che si formuli la diagnosi di teratosarcoma. Subisce
l’intervento chirurgico, si sottopone alla cobaltoterapia, affronta cure
dolorose in assoluta docilità e obbedienza ai superiori, pur nella convinzione,
se dipendesse solo da lui, che “se è la Madonna che mi chiama, io sono felice
di partire…”. Sempre per obbedienza va pellegrino a Lourdes ed a Lisieux, per
chiedere il miracolo come vogliono i superiori, avvertendo però che “non
chiederò la guarigione, ma che io possa compiere in pieno la volontà di Dio”. Ed
è proprio questa la grazia che ottiene, tornando a casa con un polmone ormai
intaccato dalle metastasi del cancro che sta demolendo tutto il suo fisico.
L’unico dispiacere è di non poter raggiungere il sacerdozio ed il veder così
spegnersi le sue tante speranze di servire i fratelli, ma tutto offre perché
quella sua sofferenza possa raggiungere chi è lontano da Dio, chi ha bisogno di
aiuto spirituale. Il 10 maggio 1964,
in anticipo rispetto ai tempi canonici e perciò con
dispensa della Santa Sede, emette i voti perpetui: è ormai completamente
debilitato, costretto in carrozzella e smagrito da far paura. Si spegne un mese
dopo, il 12 giugno, lucido e orante fino alla fine, soffrendo atrocemente. La
causa per la sua beatificazione, avviata solo nel 2000, è proceduta tanto
speditamente da approdare già il 5 luglio dell’anno scorso nella dichiarazione
di venerabilità. E visti i “rumors” di grazie straordinarie ottenute per sua
intercessione, c’è da credere che la beatificazione non tarderà ad arrivare,
perché quel ragazzo, di 21 anni appena compiuti, è riuscito a far propria la
massima di Padre Kolbe: “Si vive una volta sola, non due. Bisogna diventare
santi non a metà, ma totalmente”.
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