SANT’AGATA DA CATANIA
Secondo la leggenda, Agata nacque in una famiglia siciliana ricca e nobile, nell'anno 235, indicata come di origine palermitana, ma da altre fonti catanese. Agata, assieme a santa Cristina, santa Ninfa esant'Oliva, è una delle quattro sante protettrici della Città Felicissima ossia Palermo, caput regni et sedis regis della Sicilia (Santa Rosalia nascerà nel XII secolo). La sua statua è presente nell'ordine superiore della facciata est dei Quattro Canti di Città, a protezione del quartiere Tribunali (generalmente noto come Kalsa).
I documenti narrativi del martirio di
Agata indicano però in tre punti che, sebbene possa essersi rifugiata a Palermo
alla Guilla, la Santa
è nata a Catania: il primo punto è quello relativo all'inizio del processo,
secondo il testo fornito dalla redazione latina. Tale redazione esordisce
rilevando nel vers. 1 che Agata fu martirizzata a Catania; nel vers. 24 la
stessa redazione latina riferisce che Quinziano interpella Agata invitandola a
dire di che condizione fosse, e nel vers. 25 riferisce che Agata rispose a
Quinziano dicendo: "Io non solo sono libera di nascita, ma provengo anche
da nobile famiglia, come lo attesta tutta la mia parentela": con queste
parole Agata dichiara che tutta la sua parentela era presente e residente a
Catania, oltre a esservi residente lei stessa e a essere nativa proprio di lì.
Il secondo punto è quello relativo all'apparizione dell'Angelo che, nel momento
in cui il cadavere di Sant'Agata viene seppellito, depone dentro il suo
sepolcro una lapide di marmo in cui era scolpito che Agata era "anima
santa, onore di Dio e
liberazione della sua Patria": a tale proposito i versetti 102-104
rilevano che, per dimostrare la verità di quanto espresso in quella lapide e
cioè che Agata era la liberazione della sua Patria, Dio, a un anno appena dalla
sua morte, fa arrestare la lava dell'Etna, che stava invadendo
Catania. II terzo punto è quello relativo al fatto che il testo della redazione
greca, riportato nel manoscritto del Senato di Messina, espressamente recita
che "Catania è la patria della magnanima S. Agata": tale testo è di
assoluto valore storico perché risale all'epoca in cui a Catania ancora non era
stato eretto alcun tempio ad Agata.
Secondo la tradizione cattolica
Sant'Agata si consacrò a Dio all'età di 15 anni circa, quando fece questa richiesta
al Vescovo di Catania che accolse il suo desiderio e le
impose il velo rosso portato dalle vergini consacrate. Però studi
storico-giuridici approfonditi rivelano, al momento della sua morte, un'età non
inferiore ai 21 anni: non prima di questa età, infatti, una ragazza poteva
essere consacrata diaconessa come effettivamente era Agata, cosa
documentata dalla tradizione orale catanese, dai documenti scritti narranti il
suo martirio e dalle raffigurazioni iconografiche ravennate, con particolare
riferimento alla tunica bianca e al pallio rosso; possiamo quindi a ragione
immaginare che, sebbene si fosse consacrata a Dio a 15 anni grazie al consenso
speciale del Vescovo, non fosse più una ragazzina al momento del martirio, ma
piuttosto una donna con ruolo attivo nella sua comunità cristiana: una
diaconessa aveva infatti il compito, fra gli altri, di istruire i nuovi
catecumeni alla fede cristiana (catechesi)
e preparare i più giovani al battesimo,
alla prima
comunione e alla cresima.
Ciò porterebbe a retrodatare di almeno sei anni la data di nascita, che
tradizionalmente si colloca all'8 settembre 235, poiché si riteneva
fosse morta a 15 anni il 5 febbraio 251.
Inoltre, da un punto di vista
giuridico, Agata aveva il titolo di "proprietaria di poderi", cioè di
beni immobili. Per avere questo titolo le leggi vigenti
nell'impero romano pretendevano
il raggiungimento del ventunesimo anno di età. Rimanendo sempre in tema
giuridico, durante il processo cui Agata fu sottoposta, fu messa in atto la Lex Laetoria,
una legge che proteggeva i giovani d'età compresa tra i 20 e i 25 anni,
soprattutto giovani donne, dando a chiunque la possibilità di contrapporre una actio polularis contro gli abusi di potere commessi
dall'inquisitore: prova ne sia che il processo di Agata si chiuse con
un'insurrezione popolare contro Quinziano, che dovette fuggire per sottrarsi al
linciaggio della folla catanese.
Nel periodo fra la fine del 250 e l'inizio del 251 il proconsole Quinziano,
giunto alla sede di Catania anche con l'intento di far rispettare l'editto
dell'imperatore Decio, che chiedeva a
tutti i cristiani di abiurare pubblicamente la loro fede, mise in atto una
feroce persecuzione. La tradizione riferisce che Agata fuggì con la famiglia a
Palermo, alla Guilla, ma Quinziano li scovò e li fece tornare a Catania. Il
punto che la giovane catanese attraversò per uscire da Palermo e tornare alla
sua patria, oggi è detto Porta
Sant'Agata. Quando la vide di presenza, Quinziano s'invaghì della
giovinetta e, saputo della consacrazione, le ordinò, senza successo, di
ripudiare la sua fede e adorare gli dèi pagani.
Si può ipotizzare, coesistente a ciò, anche un quadro più complesso: ovvero,
dietro la condanna di Agata, la più esposta nella sua benestante famiglia,
poteva esserci l'intento della confisca di tutti i loro beni. Di certo, era un
contesto storico estremamente drammatico per i cristiani: Papa Fabiano era morto, ucciso, da più di un anno,
la sede era vacante, e il successore Cornelio sarebbe stato eletto ben 14 mesi dopo
il suo martirio.
Al rifiuto deciso di Agata, il
proconsole l'affidò per un mese alla custodia rieducativa della cortigiana
Afrodisia e delle sue figlie, persone molto corrotte. È probabile che Afrodisia
fosse una sacerdotessa di Venere o Cerere,
e pertanto dedita alla prostituzione sacra. Il fine di tale
affidamento era la corruzione morale di Agata, attraverso una continua
pressione psicologica, fatta di allettamenti e minacce, per sottometterla alle
voglie di Quinziano, arrivando a tentare di trascinare la giovane catanese nei
ritrovi dionisiaci e relative orge, allora molto diffuse a Catania. Ma Agata,
in quei giorni, a questi attacchi perversi che le venivano sferrati,
contrappose l'assoluta fede in Dio; e pertanto uscì da
quella lotta vittoriosa e sicuramente più forte di prima, tanto da scoraggiare
le sue stesse tentatrici, le quali rinunciarono all'impegno assunto,
riconsegnando Agata a Quinziano.
Rivelatosi inutile il tentativo di
corromperne i principi, Quinziano diede avvio a un processo e convocò Agata al
palazzo pretorio. Memorabili sono i dialoghi tra il proconsole e la santa che
la tradizione conserva, dialoghi da cui si evince senza dubbio come ella fosse
edotta in dialettica e retorica.
Breve fu il passaggio dal processo al
carcere e alle violenze con l'intento di piegare la giovinetta. Inizialmente
venne fustigata e sottoposta al violento strappo delle mammelle, mediante delle
tenaglie. La tradizione indica che nella notte venne visitata dal Principe
degli Apostoli, San Pietro,
che la rassicurò portandole conforto e ne risanò miracolosamente le ferite.
Venne infine sottoposta al supplizio dei carboni ardenti. La notte seguente
all'ultima violenza, il 5 febbraio 251, Agata spirò nella sua
cella.
Nel 1040 il generale bizantino Giorgio
Maniace trafugò le reliquie della Santa per portarle a Costantinopoli.
Nel 1126 due soldati dell'esercito bizantino, Gisliberto e Goselmo (uno
di origine francese e l'altro calabrese), rubarono i resti della martire per
restituirle al Vescovo di Catania Maurizio, la consegna avvenne nel Castello di
Aci, l'odierna Aci Castello.
Il 17 agosto 1126, le reliquie
rientrarono nel duomo di
Catania. Questi resti sono oggi conservati in parte all'interno del prezioso
busto in argento (parte del cranio, del torace e alcuni organi interni) e in
parte dentro a reliquiari posti
in un grande scrigno,
anch'esso d'argento (braccia e mani, femori, gambe e piedi, la mammella e il
velo).
Altre reliquie della Santa, come ad
esempio piccoli frammenti di velo e singole ossa, sono custodite in chiese e
monasteri di varie città italiane ed estere.
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